Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Ma soprattutto era più forte Manzinga Z o Jeeg? E Koros capiva veramente le indicazioni di Don Zauker? A queste e ad altre domande tenta di rispondere la Guida ai super robot di Jacopo Nacci
La mia generazione, figlia degli ultimi anni ’70, è cresciuta con poche certezze: l’Unione Sovietica era cattiva, Giulio Andreotti era immortale, ma soprattutto per combattere un’invasione di mostri giganti provenienti dallo spazio l’unica soluzione era costruire un super robot da combattimento.
Il Giappone, fiancheggiato da una programmazione compiacente delle televisioni italiane, è colpevole di aver diffuso anche a casa nostra quest’ultima bizzarra convinzione stabilendo, allo stesso tempo, un curioso ponte culturale tra due nazioni così distanti nello spazio e nella sensibilità.
Comunque l’okonomiyaki ormai è fatto e non si può certo dire che non sia gustoso o che i ragazzi del Bel Paese non l’abbiano apprezzato tanto quanto i loro coetanei del Sol Levante.
Arrivati fin qui è importante fare il punto della situazione per capire e capirsi, sfruttando come testa di ponte verso la conoscenza una delle tante mostruosità tecnologiche partorite dal mare, dalla Fortezza della Scienza o prestato con benevolenza da qualche lontano pianeta.
Ma i super robot, ben accasati da qualche parte nel nostro immaginario collettivo, possono diventare strumento di riflessione e non solo divertimento fine a se stesso? Ci prova Jacopo Nacci con la sua corposa Guida ai super robot (Odoya edizioni, 295 pagine, 17 euro) che non è, come potrebbe erroneamente pensare qualcuno, solo una guida ragionata ai super robot dell’animazione e dei manga.
L’autore
Jacopo Nacci, per chi non lo conoscesse, è romanziere e saggista, ha firmato Dreadlock! e Sangue. Negli anni ’90, l’epoca d’oro dei blog letterari in Italia, era tra i pionieri dell’utilizzo delle licenze Creative Commons ed era molto attivo in Rete.
Sul suo blog Yattaran.com aveva cominciato da tempo una disamina critica del genere super robot giapponesi. Mi domandavo come avrebbe “tradotto” nel formato più istituzionale di una guida le sue riflessioni.
Quale linguaggio avrebbe usato? Come avrebbe trattato il tema per una platea di lettori inevitabilmente più vasta degli appassionati che già lo seguivano in Internet? E qui le acque del mare di Pesaro, città natale di Nacci, si aprono, il robot gigante esce pronto alla battaglia ed entra in campo un provetto e insospettabile pilota, alter ego del nostro: lo Jacopo Nacci filosofo.
In principio c’era l’atomica
Qual era il rapporto tra Hiroshi, il pilota di Jeeg, e sua madre Kikue che vuole emanciparsi trovandosi un lavoro? Perché Haran Benjo guidava un’auto della polizia e chi erano veramente i cattivi in Daitarn 3? Che significato aveva il sacrificio di Musashi Tomoe nell’ultimo episodio di Getter Robot? Chi era il nemico da cui il Giappone fantasticava di difendersi con l’uso di robot giganti?
Per prenderla alla lontana, potremmo dire che in principio, forse, ci sono i due bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. La tecnica e la scienza americana avevano annientato, senza alcuna possibilità di appello, qualsiasi speranza del Giappone di uscire vincitore dalla Seconda Guerra Mondiale. Già, perché all’epoca per i giapponesi c’erano solo due scelte da fare: combattere e vincere oppure combattere e morire. Come suggeriva l’Hagakure, testo di riferimento per ogni samurai che si rispetti, “quando arriva il momento di scegliere tra la vita e la morte, è meglio scegliere subito la morte”.
Ma per fortuna le cose sono andate diversamente e, una volta ricostruita la nazione, il vuoto lasciato nell’immaginario collettivo giapponese dal fallimento della morale militarista andava colmato. Comincia così una rielaborazione culturale che ci ha consegnato in primo luogo autori come Yasunari Kawabata e Yukio Mishima, poi, a partire dal 1972 e su un diverso piano narrativo, i super robot di Gō Nagai, Yoshiyuki Tomino e dei loro colleghi. Già perché forse quando l’abisso in cui hai curiosato comincia a scrutarti dentro, è meglio essere seduti in un robot di venti tonnelate pronto a difenderti.
Il classico robottone giapponese, con le sue caratteristiche tipiche, è ormai un personaggio stabile dell’immaginario collettivo: è un gigante di metallo di notevole potenza distruttiva; è pilotato dall’interno dall’eroe della storia; quando l’eroe attiva specifiche armi ne grida il nome; l’eroe e il robot difendono la Terra da un nemico che vuole conquistarla; questo nemico invia sulla Terra diversi mostri, anch’essi giganteschi, che puntualmente il robot annienta; i mostri vengono mandati sulla Terra uno dopo l’altro, uno per ogni episodio.
Il libro
La Guida ai super robot parte dal 1972 perché in quell’anno viene trasmesso per la prima volta Mazinger Z, considerato da Nacci l’anime su cui si fonda il genere dei super robot.
Seguirono Getter Robot, Jeeg, il Grande Mazinga, eccetera, eccetera. Una fiumana di storie che avevano caratteristiche comuni come la volontà giapponese di dominare la tecnica e la scienza (ricorda qualcosa?), la critica al militarismo, il conflitto generazionale, il rapporto tormentato con i genitori, e non è un caso se molti piloti di super robot erano orfani.
Nacci mette in fila i momenti fondamentali di questa lunghissima epopea culturale con schede dettagliate degli anime presi in esame. Sviscera, servendosi anche degli strumenti analitici della filosofia, significati più o meno nascosti e meccanismi di storie per ragazzi solo all’apparenza innocue.
Siamo di fronte a un’operazione nostalgia? È un libro per adolescenti mai cresciuti? È un libro didascalico? La risposta a queste domande per una volta c’è ed è un secco no. Non è da tutti scrivere quasi trecento pagine di guida ai super robot senza mai annoiare il lettore. Nacci c’è riuscito in pieno, la Terra è salva.