In questo approfondimento ripercorriamo insieme le ragioni che hanno reso Shadow of The Colossus di Fumito Ueda un videogioco indimenticabile ed unico nel suo genere.

Non è un caso che questo articolo esca proprio oggi, 7 novembre 2016. Fra esattamente un mese infatti arriverà finalmente nei negozi l’attesissimo The Last Guardian di Fumito Ueda.

Un titolo che ha avuto una gestazione molto travagliata durata quasi un decennio, e che ha attraversato il passaggio tra la scorsa e l’attuale generazione per giungere, infine, a vedere la luce con l’avvento della nuova versione high-end della console di Sony, PlayStation 4 Pro.

Lo scorso mese qui su Lega Nerd vi abbiamo parlato di ICO, altro grande capolavoro del maestro Ueda, ponendo l’accento sulla sua componente artistica (qualora vi foste persi il nostro approfondimento trovate di seguito un collegamento ad esso).

 

 

Così ho pensato che il modo migliore per ingannare l’attesa di questo mese che ci separa dall’uscita dell’ultima fatica del maestro, fosse di approfondire l’altro grande videogioco che ha saputo traghettare forti emozioni in questa industria: Shadow of The Colossus.

Uscito originariamente per PlayStation 2 a ben quattro anni di distanza da ICO, nel 2005,  è frutto del sapiente lavoro del Team Ico e della direzione di Fumito Ueda e Kaido Kenji, rispettivamente progettista e produttore del titolo.

Prima di partire nell’analisi del titolo però, una piccola curiosità che forse non tutti sanno: sebbene sia uscito anni dopo, lo stesso Ueda ha precisato che Shadow of The Colossus condivide lo stesso universo narrativo di ICO e ne costituisce una sorta di prequel spirituale.

 

 

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Shadow of The Colossus è un videogioco che risulta difficile classificare nei tradizionali schemi.

Shadow of The Colossus è un videogioco che risulta difficile classificare nei tradizionali schemi categorici del medium. Lo si può vedere di certo come un action adventure, ma anche come una sorta di puzzle game in cui proprio l’ambientazione è uno dei protagonisti.

Un giovane, che identificheremo con un nome che è più un epiteto, ovvero Wander, viaggia in sella al suo cavallo, Agro, e attraversando un enorme ponte di gelida pietra, sospeso su dei lunghi pilastri, giunge in una terra arida, vasta e desolata, fino ad arrivare all’entrata della sua destinazione: un enorme tempio noto col nome di Sacrario del Culto.

Un foro circolare filtra la luce del sole e le permette di fluire attraverso il soffitto, illuminando un altare di pietra al centro del gigantesco spazio ai cui lati svettano le statue di sedici idoli.

Wander è giunto in quel luogo con uno scopo preciso. Egli intende salvare Mono, la pallida fanciulla morta a causa di un destino maledetto, che egli ha condotto fin lì da chissà dove e che ci viene mostrata nel momento in cui Wander la posa, dolcemente, sull’altare.

Quella di Shadow of The Colossus è una narrazione silenziosa, quasi ambientale. Mai prima di questo titolo la componente sonora (oltre a quella contemplativa) hanno avuto un ruolo di così forte spessore all’interno di un videogioco. Una delle rare sequenze esplicative, se così le vogliamo definire, arriva proprio con un flashback dopo aver posato Mono sull’altare.

 

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Quel posto è nato dalla risonanza di punti di intersezione – così narra la leggenda raccontata dalla maschera – sono ricordi sostituiti da entità e dal nulla, e sono incisi nella pietra.

Sangue, giovani virgulti, cielo…

E colui che ha la capacità di controllare gli esseri nati dalla luce…

Si dice che in quel mondo, se uno lo desidera, può riportare in vita le anime dei morti…

Ma sconfinare in quella terra, è assolutamente proibito.

 

D’un tratto, nell’enorme tempio, tuona una voce dal timbro sia maschile che femminile. È la voce di Dormin, l’enigmatica divinità che riconosce in Wander il portatore dell’antica spada e accende la flebile luce della speranza per la sorte dell’incantevole Mono. 

Le anime, una volta perdute, non possono essere recuperate. Non è questa la legge dei mortali?

Le anime, una volta perdute, non possono essere recuperate. Non è questa la legge dei mortali? Dapprima le parole di Dormin non lasciano spazio a interpretazioni di sorta, ma forse una possibilità per Mono c’è. Si tratta di un’impresa disperata: per riportare in vita l’innocente fanciulla, vittima di un destino maledetto, il nostro eroe dovrà far cadere tutti e sedici gli idoli che svettano nel tempio. Vagano infatti, per quella terra desolata che si estende a perdita d’occhio, sedici Colossi che rappresentano l’incarnazione di ogni statua.

Sedici creature spaventose che possono essere sconfitte solo da colui che possiede la spada antica e la determinazione necessaria per tale impresa, tenendo a mente che nel compierla si corre il rischio di pagare un prezzo molto alto.

 

 

 

 

Il mondo di Shadow of The Colossus è dominato dalla magia che incarna il più classico dei paradigmi, la contrapposizione tra luce e oscurità. I Colossi sono creature oscure, mentre la spada di Wander è alimentata dalla luce ed è grazie a questo potere che egli potrà avere la meglio su di loro, scovandoli uno ad uno in quelle lande ai confini del mondo.

Grande punto d’unicità del titolo è anche il suo originalissimo gameplay.

Nella ricerca dei Colossi non troveremo alcun dungeon da esplorare, né alcuna città. Nessuna persona con cui parlare o interagire, né altri nemici con cui fare pratica e guadagnare esperienza. L’altro grande punto d’unicità del titolo è il suo originalissimo gameplay. Siamo solo noi, Wander, contro i Colossi. Passeremo la maggior parte del tempo galoppando su Agro per arrivare nel punto in cui combatteremo il nemico, attraversando panorami tanto spogli quanto pieni di un’enorme carica artistica e di un forte impatto emotivo.

Ogni Colosso presenta un’anatomia differente e tutti sembrano all’apparenza inespugnabili a causa delle dimensioni -passatemelo – colossali. Hanno dei punti deboli ben nascosti che permetteranno però a Wander di sconfiggerli sfruttandoli a dovere. Per tutto il corso della nostra avventura saremo infatti armati della sola spada e di un arco con frecce, motivo per cui l’interazione con lo scenario è fondamentale per ottenere la vittoria e si declina in una originale formula che muta in parte il gameplay da quello di un action adventure a quello di un vero e proprio puzzle game, come dicevamo anche sopra.

 

 

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Shadow of The Colossus è un’opera multimediale interattiva che fa della semplicità il suo punto di forza, e dimostra come anche in assenza di una narrazione esplicita, si possano creare prodotti artistici di altissimo livello nel medium videoludico anche solo di gameplay.

Un concetto di cui Fumito Ueda è stato convinto fautore già dagli inizi degli anni 2000 e che di sicuro continuerà ad elevare con l’attesissimo The Last Guardian.

Un concetto che è però alla base di tantissimi nuovi progetti che hanno catturato  i cuori e l’attenzione di tantissimi giocatori nel mondo. Tra questi basti pensare al genere Souls dei titoli From Software, partoriti dalla mente di un altro geniale game designer dei nostri tempi, Hidetaka Miyazaki, che speriamo siano solo l’inizio di una lunga serie di opere capaci di intrattenere ed emozionare allo stesso tempo.