Singapore non è in Cina

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Ci eravamo lasciati con un Partiremo. Ma da qualche giorno abbiamo già battuto i primi 1000 km sui pedali. Questo è il primo post sul nostro lungo viaggio e lo scriviamo mentre stiamo mangiando una montagna di Cevapcici in Bosnia ed Erzegovina.

Amiamo credere che sia culturalmente ammesso sporcarsi la maglia.

Il Cevapcici è una versione molto complessa del classico pane e salsiccia nostrano: invece di avere una salsiccia spaccata a metà ci sono dalle 10 ale 20 mini salsicce che ad ogni morso saltano fuori da tutte le parti. Solitamente il panino viene accompagnato da un mucchietto di cipolla cruda. Amiamo credere che sia culturalmente ammesso sporcarsi la maglia.

 

Tipico Cevapcici imbratta maglietta.

 

Ma veniamo al primo post:

A 500 metri da casa un piccione ha fatto la cacca in faccia alla Chiara.

È incominciato, sotto questo universale segno di buon auspicio, il nostro viaggio di 18000 chilometri in bicicletta: da Cesena a Singapore. Siamo partiti alcuni giorni dopo rispetto alla data prevista a causa di un mix letale di maltempo/ultime cose da fare che non finivano mai.

Il 10 Giugno 2016 alle ore 15.00

Il 10 Giugno 2016 alle ore 15.00, dopo una colossale carbonara celebrativa (negli ultimi 10 giorni ogni pasto era stato colossale e celebrativo), abbiamo inforcato le biciclette. Ed in tutta sincerità vi confido che non avevamo mai provato le biciclette completamente con tutte le borse cariche.

Fino a quel giorno era stato un carico di teoria.

Quasi 30Kg di bagagli per ciascuna bicicletta, tenuti assieme da un filo di pensieri, idee, incoscienza, energia e fantasia. Un filo che ad oggi si è rivelato funzionare benissimo, sotto la spinta di quattro gambe incredule e poco allenate. Noi non siamo ciclisti, e quello che facciamo non è uno sport, la spinta ad andare avanti arriva più dalla testa che dalle gambe.

 

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La stufa pensavamo di lasciarla a casa…

 

Una partenza in sordina.

Una partenza in sordina. Dopo giorni di saluti, baci e abbracci abbiamo preferito partire da casa, salutando a gran voce e con ampi gesti delle braccia vicini e genitori, senza tanti convenevoli. Le prime pedalate sono state surreali: ogni rotazione delle ruote proiettava i miei pensieri lontano, alla fine della via casa sembrava già lontanissima, e noi dentro al viaggio.

Quei pochi metri sancivano la partenza, come fosse il decollo di un aereo per l’altro capo del mondo.

 

 

Il primo giorno ci siamo persi in una pineta a 30 km da casa.

Il secondo giorno eravamo smarriti e confusi tra le zanzare della valle di Comacchio quando un baffuto cacciatore, sbucato dal nulla, ci ha dato indicazioni e ci ha detto che quella mattina erano state avvistate le Volpoche.

 

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Prontamente è sceso dalla macchina e con il binocolo ha iniziato a scrutare le lagune circostanti, poi, abbassandolo sconsolato, ci ha comunicato:

Mi dispiace ragazzi, non ci sono più le Volpoche.

Ci dimostriamo a nostra volta dispiaciuti. Poi ci tiene a sottolineare:

Sono un cacciatore ma le Volpoche le rispetto.

 

In onore di quel momento abbiamo chiamato la bicicletta della Chiara Volpoca, forse anche per scongiurare che qualche cacciatore ci sparasse lungo i 18000 chilometri di strada.

 

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Arriviamo alle Alpi Giulie in Slovenia, delle Volpoche nessuna traccia, tanto verde e grazie a dio scompaiono anche le zanzare di Comacchio.

 

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Facciamo le nostre salite con dignità, seppur alla velocità minima possibile per mantenere l’equilibrio sulle due ruote. In un paesino della Slovenia (impronunciabile senza sputare) un anziano signore, quando ha capito dove stavamo andando, si è passato un pollice lentamente sulla gola e, ridendo ma non troppo, ha esclamato:

 

Bin Laden KAPUTT!

 

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In Croazia, sull’onda della fama causata da un’intervista uscita sul quotidiano nazionale, in partenza da Zagabria veniamo letteralmente inseguiti per strada da una signora che ci riempie di baci e abbracci e ci regala il quotidiano.

 

Notorietà croata.

 

  • Grazie! Peccato che noi non capiamo cosa ci sia scritto.
  • Non importa!

Dice lei che, così come è apparsa correndo, scompare dietro l’angolo.

Ci avviamo verso il centro pronti ad essere accolti come eroi ad ogni incrocio… ma nulla accade. Senza nessun altro abbraccio o caffè pagato, proseguiamo quindi con il nostro passo lento e curioso in direzione Bosnia ed Erzegovina.

 

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Appena passato il confine imbocchiamo la strada sbagliata e un gruppo di uomini seduti al bar ci blocca:

No! No!

facendoci tornare indietro. Un gesto di altruismo fondamentale quando si viaggia in bicicletta dove una deviazione sbagliata può costare ore di fatica. Per essere certi di non commettere altri errori, con molta premura ci disegnano una cartina: ok mettiamo da parte il gps e ci affidiamo a quel pezzo di carta per i nostri giorni in Bosnia.

 

 

Ora, a 1067 km dalla partenza siamo ancora in Bosnia, la Chiara sta bene esattamente come sto bene io, il diabete per ora non è altro che uno box pieno di insulina che va congelato di tanto in tanto.

 

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Una ultima precisazione:
no, Singapore non è in Cina!

 

 

Al prossimo post,
Ricky (e La Chiara).

 

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