It Follows: un film da “buona la seconda”

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Presentato ben due anni fa al Sundance Film Festival e arrivato nei cinema statunitensi nel Marzo 2015, esce anche da noi, a partire dal 6 Luglio, It Follows, horror movie dell’indipendente David Robert Mitchell.

A farsi carico dei nuovi e giovani talenti della scena indipendente (e non solo) è la Midnight Factory, etichetta specializzata nell’horror e parte del gruppo Koch Media. Indubbiamente il cinema horror trattato da questa distribuzione è ancora più di nicchia, ma non sono pochi i titoli che hanno saputo farsi conoscere e attendere dai fan, come per esempio Sinister di Christopher Young e il caso evento dello scorso anno Babadook di Jennifer Kent.

It Follows è la storia della diciannovenne Jay (Maika Monroe) che, dopo aver avuto un rapporto sessuale con un ragazzo di nome Hugh, (Jake Weary) inizierà a essere perseguitata da una presenza inquietante.

La presenza non si fermerà fino a quando non ucciderà il prescelto… a meno che quest’ultimo non passi “il morbo”, per via sessuale, a un’altra persona.

La pellicola si apre con le immagini angoscianti di una ragazza che sembra agire in preda alla follia. Scappa, come se fosse inseguita da qualcuno; qualcuno invisibile agli occhi degli altri, incapaci di comprendere l’ansia della perseguitata.

Fingendo che tutto sia nella norma, la ragazza scappa arrivando fino ad una spiaggia. Qui, da un semplice sguardo in camera, capiamo la rassegnazione verso qualcosa di terrificante. Ma cosa?

 

It Follows

 

Da questo punto si apre la storia di Jay che coinvolgerà sua sorella Kelly (Lili Sepe), gli amici Paul (Keir Gilchrist) e Yara (Olivia Luccardi) e il vicino di casa Greg (Daniel Zovatto).

Un horror dove i protagonisti assoluti sono solo adolescenti. Ragazzi che si autogestiscono, dove la presenza genitoriale è inesistente o una mera figura sullo sfondo intenta a scolarsi un bicchiere di troppo.

Ragazzi che esplorano, per la prima volta, la sessualità, i rapporti con il prossimo, i legami affettivi e gli ostacoli della vita. Personaggi portati al baratro, al limite delle azioni possibili da compiere, senza un minimo di supporto alle spalle.

Il territorio esplorato dal giovane David Robert Mitchell è molto interessante e particolare. Non è un caso se il regista abbia scelto, sicuramente anche a causa delle possibilità economiche, degli attori così giovani e sconosciuti, portando a focalizzare l’attenzione del pubblico unicamente sulla storia.

Le chiavi di lettura per It Follows sono molte, ma questo non è un punto a suo favore.

Partiamo immediatamente dalle note dolenti di questo film che, seppur dimostrando un enorme coraggio e una grande inventiva di approccio al genere horror, risulta a una prima visione del tutto superficiale e anche molto goffo.

 

It Follows

 

Il vero primo punto debole di It Follows è il genere.

Il vero primo punto debole di It Follows è il genere. C’è una vera e propria mescolanza di forme, dallo slasher movie al paranormale, passando per il puro coming of age, senza però riuscire a svilupparne davvero uno.

Un continuo rimando alla cinematografia horror tra gli anni ’80 e i ’90, soprattutto nelle tematiche (la punibilità del sesso, must nell’horror slasher) nella fotografia e in alcune sequenze tipiche dell’horror adolescenziale del periodo. La pellicola, in questo caso, ne risente e finisce portando con sé la sensazione di aver visto qualcosa che non ha forma, proprio perché non riesce a trovare una via propria.

Da un punto di vista strettamente legato all’immagine, It Follows manca completamente di armonia e composizione. Movimenti di macchina molto sciolti e un uso massiccio di steadycam, sicuramente coinvolgenti e che danno la sensazione del terzo occhio vigile e costante, ma che non vengono mai tenuti abbastanza.

 

 

It Follows

Non pensa. Non ha pietà. Non si ferma.

Mitchell parte con la volontà di trasmettere allo spettatore le stesse sensazioni che provano i protagonisti, ma poi il tutto si banalizza mostrando troppe volte quelli che dovrebbero essere “gli invisibili”.

 

 

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La costruzione dell’immagine è quindi piuttosto amatoriale, sebbene voglia essere pregna di significato metaforico, facendo intuire l’inesperienza che risiede dietro la macchina da presa. Questo elemento, per esempio,  il regista avrebbe potuto usarlo a suo vantaggio, ma alcuni errori che vengono successivamente compiuti in sceneggiatura pesano anche sulla resa filmica rendendo il lavoro approssimativo.

Nella parte iniziale della pellicola c’è una dilatazione dei tempi eccessiva. Per un attimo si esce dall’ottica di film horror e si entra in quel del film d’autore e di genere, dove i lunghi silenzi e gli sguardi persi nel vuoto, su scenari bucolici o nature morte, regnano sovrani sull’immagine.

Alcune scene di questo tipo avrebbero avuto sicuramente senso di esistere soprattutto nella fase di esasperazione dei personaggi, incapaci di capire con cosa dover combattere; successivamente, questo tipo di elemento in stile Il giardino delle vergini suicide di Sofia Coppola, stanca ed è fuori luogo.

Un altro problema di regia, probabilmente sentito già dalla sceneggiatura, è la direzione dei personaggi. In particolar modo con quello di Jay, spesso dominato da una furia del tutto irrazionale e priva di senso che sfocia in scene che non hanno alcun fine per la narrazione o, peggio, sfociano nello stereotipo più scialbo.

 

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La suspense non è perfettamente dosata. David Robert Mitchell parte da scene dal forte impatto visivo e narrativo portando il climax a un livello superiore… per poi far abbassare di colpo tutto l’impianto costruito, sbagliando totalmente le tempistiche.

Tra la seconda parte centrale e il finale si inizia davvero a far fatica a stare dietro alla pellicola. Si passa da una serie di azioni velocissime, dove spesso è anche difficile capire lo svolgimento della linea temporale, a scene eccessivamente prolungate, rendendo l’azione ridondante e poco efficace.

I problemi di sceneggiatura sono fondamentalmente due: dialoghi e dettagli.

I problemi di sceneggiatura sono fondamentalmente due: dialoghi e dettagli. Nel primo caso, errore piuttosto comune ma che può pesare non poco su una scena, si sente moltissimo l’inesperienza della penna. I dialoghi sono finti, sfociano nel ridicolo (non sempre voluto) portando a far sorridere lo spettatore, quindi distruggendo totalmente tutta l’atmosfera ansiogena creata fino a quel momento.

I dettagli riguardano degli elementi precedentemente seminati ma poi non raccolti o, peggio, proprio dimenticati. Questi errori, per lo più vere e proprie dimenticanze, denotano una certa superficialità e incoerenza nello sviluppo generale del lavoro, che risente, il più delle volte, di una direzione non precisa.

 

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La storyline sulla quale poggia l’intero film è molto interessante, questo fa pensare che il soggetto a monte doveva essere davvero vincente ma che, successivamente, non è stato sviluppato quanto avrebbe meritato.

Molti degli elementi, soprattutto quelli legati maggiormente all’entità della “malattia” di cui si parla nel film, restano in superficie, senza scavare in profondità.

Si rimane, per tutto il tempo, con la sensazione che qualcosa manchi. Un pezzo fondamentale all’interno della storia, utilissimo per lo spettatore che, comunque, viene portato, anche piuttosto bene, a incuriosirsi e investigare sull’entità del “morbo”.

Elemento di forte disturbo, che aiuta la costruzione della suspense e della paranoia e sulla quale gioca moltissimo il regista, è la musica.

Elemento di forte disturbo, che aiuta la costruzione della suspense e della paranoia e sulla quale gioca moltissimo il regista, è la musica. Una colonna sonora fortemente studiata ma dall’insistenza eccessiva, a tal punto da diventare disturbante (non nel senso positivo del termine) e invasiva. Una marcatura leggermente inferiore sarebbe stata apprezzata molto di più.

Le chiavi di lettura, come si diceva all’inizio, sono molte proprio perché la trama potrebbe suggerire diverse interpretazioni interessanti, da una feroce critica nei confronti della società, in particolar modo quella adulta che non è più in grado di coprire il suo ruolo genitoriale, a una sorte di campagna di sensibilizzazione nei confronti del sesso e dei suoi rischi. Non sarà sicuramente un caso se David Robert Mitchell abbia scelto proprio il sesso come chiave di volta per il suo film, eppure nella pellicola non vengono dati degli elementi per capire, fino in fondo, quale fosse l’intento del regista.

Un vero peccato non essere riusciti ad andare oltre, perché è proprio il sottotesto ciò che rende It Follows, al di fuori dei suoi palesi errori tecnici, un film degno di nota.

Palese quanto elevata sia la voglia di Mitchell nel voler raccontare un mondo grottesco, decaduto sotto lo sguardo rassegnato di adolescenti costretti alla reclusione in una bolla di isolamento.

 

 

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It Follows è un film con buone probabilità di diventare un franchising che avrebbe non poche cose da raccontare.

It Follows è un film con buone probabilità di diventare un franchising che avrebbe non poche cose da raccontare. Un’idea originale e fresca, sicuramente fuori dall’ordinario horror che potrebbe essere apprezzata, spiegando anche l’enorme (a mio parere eccessivo) entusiasmo della stampa americana. Eppure ci vuole qualcosa di più, e non solo la trama, per fare di un’opera un vero film a 360°.

Una cura dalla regia alla sceneggiatura, dalla recitazione al montaggio, aspetti in cui It Follows, sicuramente anche per motivi legati a budget e inesperienza, è molto carente.

Una pellicola che avrebbe potuto dare molto ma che, alla fine della giostra, lascia veramente poco. Non una vera e propria bocciatura ma, piuttosto, un rimandare alla prossima occasione. Caro David Robert Mitchell, ti tengo d’occhio!

It Follows arriva nella sale cinematografiche italiane dal 6 Luglio.

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