Lo stadio finale dell’evoluzione tumorale è la formazione di metastasi, che possono dare origine a tumori secondari in organi diversi da quello di origine; recentemente è stato però messo a punto un vettore, veicolante un comune farmaco chemioterapico, in grado di eludere i meccanismi difensivi di queste cellule.
La Doxorubicina (dox) è un farmaco chemioterapico, utilizzato da diverso tempo, che altera il DNA nel nucleo delle cellule tumorali, interferendo così con la loro replicazione; purtroppo questa molecola presenta problemi di cross-reattività con la muscolatura cardiaca, portando spesso alla necessità di ridurre il dosaggio o dilazionare la somministrazione in più intervalli.
Nella speranza di ottenere una certa specificità d’azione, un gruppo di ricercatori guidati da Mauro Ferrari, esperto in nanomedicina nonché presidente dello Houston Methodist Research Institute in Texas, ha messo a punto delle particelle porose di silicio in grado di trasportare meglio il farmaco. Le dimensioni micrometriche e la forma discoidale permettono a queste particelle di viaggiare senza ostacoli nel torrente sanguigno, arrestandosi e fuoriuscendone in prossimità delle formazioni tumorali, la cui vascolarizzazione è generalmente tortuosa e parzialmente non continente.
Tuttavia resta il problema delle difese metastatiche, tra le quali troviamo un gruppo di proteine-canale localizzate sulla membrana cellulare appartenenti alla famiglia delle MDRP (Multidrug Resistance Proteins), che sono letteralmente in grado di pompare fuori il farmaco inoculato.
Per ovviare a questo inconveniente il gruppo di Ferrari ha creato dei polimeri a cui associare le molecole di dox, come si trattasse di una collana di perle; particelle di silicio “caricate” con questi polimeri sono state iniettate in topi su cui erano state impiantate metastasi di origine umana; dopo le 2-4 settimane necessarie alla degradazione del silicio, i polimeri associati alla dox si sono raggruppati in piccole sfere di pochi nanometri di diametro, la dimensione standard delle molecole che sono normalmente scambiate tra le cellule, facendo in modo che rispetto al solito, fosse assorbito un quantitativo maggiore di farmaco dalle cellule metastatiche.
A questo punto è accaduto qualcosa che nemmeno il team di Ferrari aveva previsto:
Buona parte dei polimeri, una volta internalizzati, sono stati automaticamente trasportati verso il nucleo, lontano dalle proteine di membrana responsabili della resistenza.
Anche se non completamente predeterminato, questo è esattamente quanto i ricercatori speravano di ottenere, poiché in prossimità del nucleo l’acidità è ottimale per il dissolversi dei legami del polimero, garantendo il rilascio del farmaco nel punto in cui esso è più efficace.
Circa il 50% dei topi con impianti metastatici che sono stati trattati non hanno mostrato presenza di metastasi per un periodo di circa 8 mesi (l’equivalente di 24 anni) per cui si è deciso di dare inizio, entro un anno, a trial su pazienti umani. Questa modalità di somministrazione che ottimizza specificità ed efficacia è potenzialmente adattabile a svariate molecole impiegate nei trattamenti, rappresentando quindi sicuramente un grande passo in ambito oncologico.
- Science (sciencemag.org)