Ogni anno, a fine gennaio, i fumettisti di tutto il mondo si ritrovano ad Angoulême per il Festival de la Bande Dessinée, vera e propria esperienza mistica.
Per alcuni è un momento di altissima sfida professionale, per altri è una vacanza, per gli editori pare sia l’annuale svago tra addetti ai lavori. Siamo andati in missione anche noi, con le migliori intenzioni e i nostri disegni alla mano!
Stipati in cinque in una Mistupisci Colt per 14 ore, tra calzini umidi e patatine al formaggio, col bagagliaio pieno di pasta e sughi per scongiurare la cucina d’oltralpe e i progetti da presentare impaginati la sera stessa, abbiamo intrapreso il pellegrinaggio minuziosamente documentato dai flash degli autovelox.
Il requisito primario del viaggio della speranza era che fosse il più possibile low cost e questo ha comportato: l’arruolamento del quinto elemento reperito all’ultimo online per dividere la benza, la richiesta di accrediti per il Festival vantando fantomatiche doti fumettare, l’ospitalità del mitico Pierre che ogni anno riempie casa di gente a caso per fare festa, provvigioni alimentari nostrane dalla dubbia commestibilità.
Pierre: vive ad Angoulême, ma non ha idea di chi sia Goscinny. Mangia pasta con ketchup e marmellata e ha eletto il biére pong sport nazionale di casa sua. Ha il cesso al primo piano e la doccia al secondo. Ama travestirsi da pinguino o da stregatto, cambiandosi spesso nel corso della serata. Nessuno ha mai capito che lavoro faccia. La sua password del wi-fi è jagerbomb.
Ogni anno Pierre elegge un cocktail da somministrarci senza tregua per tutta la durata della B.D. (così lui chiama il Festival). Negli anni ho sperimentato lo jaeger redbull (servito in ciotole), il vodka pastis (in bicchieri a piramide), whisky cola e altre gastriche alchimie. Per questa edizione andava il cognac schweppes.
Ma queste sono contingenze, noi siamo andati ad Angoulême per cose serie!
Angoulême: non è Lucca. Non ci sono cosplay. L’affluenza di gente è limitata agli addetti del settore e i veri amanti del fumetto. I muri della città sono dipinti.
Ci sono vari padiglioni del festival, concentrati nel centro della città. Noi abbiamo presenziato per lo più al Pavillon Jeunes Talents per incontrare gli editor delle principali case editrici francesi, dove le file sono interminabili e dove si assiste a una rara e particolare circostanza, per cui gli italiani rispettano diligentemente l’ordine e si arrabbiano se un francese prova a superarli.
Gli editori che non sono presenti al Jeunes Talents possono essere stalkerati presso gli stand del Monde des Bulles (dove ci sono le maggiori case editrici francesi), ma non sempre saranno disponibili: per esempio, entrare nel dietro le quinte di Soleil e cercare di arrivare ai pasticcini destinati agli autori, non è una buona idea.
Un’altra zona del Festival degna di nota è Le Nouveau Monde, spazio per le case editrici indipendenti (BD Alternative) e quelle internazionali.
Per chi poi, come noi, avesse voglia di affogare tra le produzioni underground, Angoulême offre un festival alternativo a quello ufficiale: il FOFF! Micro editoria indipendente, birra e vino a costi popolari, muri sgretolati, tatuaggi borderline, serigrafie, fumetti marci, concerti e molto altro.. .un bel posto, insomma!
La giornata tipo ha previsto una sveglia disomogenea del gruppo, in cui solo gli intrepidi alle 9 erano in fila per i rendez vous professionali (di solito con 4 ore di sonno alle spalle), per poi proiettarsi tra fumetti, pause crêpes (leggi come kebab), eterne camminate, inseguimento editor per raccattare un contratto e visite a musei e esposizioni.
Verso le 19 tutti tornavano al quartier generale “chez Pierre”, per doccia (facoltativa) e festa.
Abbiamo visitato luoghi ameni che, innocui di giorno, si trasfomavano in caraibiche balere di notte, ci siamo infiltrati alla festa degli editori con fare troppo sospetto per non attirare l’attenzione, abbiamo stretto la mano a grandi illustri, e con alcuni di essi abbiamo condiviso la cena, consolidando il gemellaggio italo armeno che si perpetua da anni in nome del “gesticolare parlando” che ci accomuna.
Angoulême si rivela sempre un tour de force di resistenza che ha inizio con un viaggio infinito e approda all’avvelenamento alcolico; mantenere un basso profilo nelle circostanze serie è una sfida dal retrogusto sempre nuovo, quasi nostalgico, e, sopravvivere ai quattro giorni, è una maratona epatica in cui il poliglottismo schiuma con la sindrome di Tourette.
Quando arriva il momento di ripartire piove sempre. Serve un po’ a sciogliere l’inerziale volontà di “io di qui non mi muovo”, per restare invece imbevuti di una sensazione che quando torni a casa poi pensi “Angoulême? É successo davvero?”.