From Software negli ultimi anni ha subito una radicale trasformazione alla ribalta delle produzioni video-ludiche grazie alla serie Dark Souls e agli altri progetti che ne sfruttano meccaniche e atmosfera. Scopriamo insieme come tali giochi siano passati dall’essere odiati dalla massa per la loro difficoltà a diventare un fenomeno di culto dell’intera industria.
From Software nasce nel Novembre del 1986 e si fa conoscere in un primo momento al grande pubblico grazie a titoli del calibro di Tenchu e la serie Armored Core.
Tra le loro produzioni meno note figurano però anche King’s Field e King’s Field II usciti a cavallo tra il 1995 e il 1996 per la prima indimenticabile PlayStation. Questi saranno le basi su cui il talentuoso game designer Hidetaka Miyazaki cementificherà la costruzione di un brand a noi tutti noto che è entrato di diritto nella hall of fame del videogioco. In questo articolo analizzeremo i fattori del successo dei videogiochi della “famiglia Souls”.
Chi ha vissuto nel pieno lo scontro della scorsa generazione di console ricorderà bene le difficoltà iniziali riscontrate da PlayStation 3 contro la diretta rivale Xbox 360. La console Microsoft era infatti riuscita ad accaparrarsi una enorme fetta di pubblico grazie a strategie di marketing azzeccate, un prezzo più competitivo della controparte giapponese, un lancio anticipato e una effettiva facilità di programmazione che spezzava le gambe all’ammiraglia Sony.
Complici questi e chissà quanti altri fattori, il colosso giapponese corse ai ripari con una strategia che a lungo termine si sarebbe rivelata davvero efficace, ovvero investendo direttamente nella produzione di titoli in esclusiva sia interni che di terze parti, tra cui a noi interessa soffermarci su Demon’s Souls, uscito in esclusiva PlayStation 3 a fine 2009.
Sviluppato da From Software e Sony Computer Entertainment Japan Studios, e pubblicato da Bandai Namco, il titolo riscosse un discreto successo con ottimi voti da parte della stampa di settore e riscontri entusiasti da parte dei giocatori che lo avevano completato. Il perno del tutto sta proprio qui, per completare Demon’s Souls non veniva richiesto al giocatore semplicemente di proseguire in linea retta verso l’obiettivo, scontrarsi con i nemici e vedere il filmato finale.
Miyazaki sperimentò qui per la prima volta la sua concezione di gioco di ruolo, lasciando che il giocatore si immergesse in una esperienza totalizzante nella quale dover usare la testa e tutte le capacità acquisite solo con l’esperienza di gioco per poter proseguire, introducendo una narrazione ambientale ed indiretta, lasciata dunque alla curiosità e bravura del giocatore invece che a sequenze filmate d’effetto.
Com’è che si dice, quando la volpe non arriva all’uva dice che è acerba? Questo più o meno è ciò che accadde a Demon’s Souls, di cui i giocatori sempre più abituati ad esperienze di gioco semplici ed intuitive ritennero la difficoltà artificiosamente alta per lo scopo di “punire” il giocatore ed iniziò così lentamente a diffondersi quel sentir comune per il quale il gioco in questione fosse “troppo difficile per essere completato”.
Tale sentimento era talmente generalizzato che in un primo momento persino i vertici di Sony dichiararono di non essere affatto soddisfatti del titolo, brutto e troppo difficile.
La storia di questa discussione non è documentata negli annali del videogioco, bensì nel sottobosco delle chiacchiere tra amici, tra giocatori sui forum e sulle pagine Facebook e, soprattutto, su YouTube.
Ma su questo aspetto ci torneremo a breve, facciamo un salto temporale di due anni ed arriviamo nel 2011, anno in cui vede la luce un titolo multipiattaforma sviluppato da From Software e diretto sempre da Hidetaka Myiazaki, un titolo rivoluzionario chiamato Dark Souls.
Complice la natura multipiattaforma del titolo, uscito inizialmente su PlayStation 3 e Xbox 360 e convertito in un secondo momento anche per PC, il dibattito tra i giocatori iniziato con Demon’s Souls si espanse a livelli esponenzialmente più grandi creando un vero e proprio caso mediatico intorno a questo titolo ed attirando l’interesse e la curiosità di sempre nuovi giocatori.
Questi volevano mettersi alla prova e vedere se fossero in grado di completare quel Dark Souls che si era guadagnato la nomea di gioco più difficile e punitivo mai realizzato. Se da un lato cresceva l’inarrestabile astio da parte dell’utenza nei confronti di questo titolo (astio che ho potuto vivere in prima persona lavorando in quel periodo nel settore della vendita di videogiochi) dall’altro lato nasceva una corrente di pensiero volta all’apprezzamento del titolo e delle sue raffinate meccaniche di gioco.
“Un mondo ben costruito potrebbe raccontare la sua storia in silenzio.”
Con questa frase Miyazaki sintetizza la sua visione che ha trovato piena realizzazione proprio in Dark Souls. Non siamo infatti davanti a un seguito di Demon’s Souls ma a un titolo che riprende alcune delle sue meccaniche e le porta verso il pieno compimento.
Se infatti in Demon’s Souls avevamo un hub da cui gestire le varie aree di gioco, in Dark Souls ci troviamo immersi in un mondo interconnesso, con aree più o meno vaste che si intersecano tra loro alla perfezione e il nostro hub viene dislocato in diversi punti del mondo di gioco grazie ai quali poter potenziare il nostro personaggio e svolgere molte altre funzioni, i tanto famosi falò.
La narrazione viene ancora una volta lasciata all’abilità del giocatore di saper ricostruire gli eventi che riguardano la lore, parlando con i PNG e portando a termine le loro sub-quest, leggendo la descrizione di oggetti ed armi o anche solo osservando con attenzione determinati particolari delle ambientazioni del gioco.
Lo stesso Hidetaka Miyazaki ha rivelato di essersi ispirato alla sua personale esperienza di bambino per creare questo sistema narrativo così personale.
Il game designer amava infatti leggere libri fantasy (anche di quelli che noi conosciamo come libro-game) made in USA, e non riuscendo a comprendere perfettamente l’inglese spesso colmava ciò che non capiva con la propria fantasia. Il suo intento è proprio far sì che i giocatori riescano a vivere la propria personale storia in un mondo, appunto, talmente ben costruito da poter raccontare la propria in silenzio.
Nel 2012 viene pubblicata un’edizione rivista e completata anche dai DLC rilasciati intitolata Dark Souls: Prepare To Die Edition, quasi a farsi beffe delle critiche ricevute fino a quel momento dai giocatori.
Parallelamente iniziò a svilupparsi un fenomeno che avrebbe cambiato completamente la concezione del gioco al fruitore medio. Alcuni canali YouTube iniziarono a pubblicare video di gameplay in cui mostravano come fosse possibile riuscire a superare fasi particolarmente ostiche e generalmente ritenute impossibili e frustranti dai più, sfidando quasi altri a mettere in mostra le proprie abilità.
Oltre a questi però, alcuni canali come quello di Vaatividya o dell’italiano Sabaku No Maiku iniziarono ad approfondire la lore di Dark Souls, con dei video da cui si evince come ad una più attenta analisi il gioco, da molti considerato privo di una vera e propria storia, ne abbia invece una molto profonda e piena di misteri.
Grazie al lavoro di questi creatori di contenuti Dark Souls è stato non solo rivalutato dall’utenza, ma è diventato un vero e proprio fenomeno di culto. Il segreto era stato svelato, non si trattava di un gioco volutamente difficile e punitivo bensì di un gioco che ti permette di vivere una storia personale senza accompagnarti dall’inizio alla fine tenendoti per mano.
Le vendite ebbero un incremento senza precedenti proprio all’annuncio di un seguito diretto intitolato Dark Souls II, che sarebbe uscito nel corso del 2014 sempre in multipiattaforma (per PC, PlayStation 3 e Xbox 360) sviluppato da From Software e pubblicato ancora una volta da Bandai Namco.
Dark Souls II è riuscito nell’intento di massimizzare l’utenza e attirare un numero sempre più crescente di giocatori appassionati al genere. Le collector’s edition del gioco andarono a ruba in brevissimo tempo e per la prima volta congiuntamente ai voti positivi della critica il titolo From Software ricevette un plauso dall’utenza e un successo di vendite al lancio.
Estremamente migliorato il comparto tecnico sia su console che su PC, anche le meccaniche di gioco subirono una leggera modificazione non gradita proprio da tutti. Se il fantasma del “gioco troppo difficile” che caratterizzò il primo capitolo era del tutto sparito, alcuni ritennero le meccaniche del gameplay di Dark Souls II in parte semplificate e si ebbe quasi un fenomeno opposto di alcuni giocatori che ne criticavano la non eccessiva difficoltà, abituati ormai ad aspettarsi un alto livello di sfida. Personalmente non sono di questo parere e ritengo il gioco un degno seguito, reso ancora più interessante dai tre DLC rilasciati l’anno successivo (le cosiddette Corone Perdute).
Le critiche mosse in questo senso trovano ragion d’essere nel fatto che Hidetaka Miyazaki non ha lavorato direttamente al titolo, ma solo ai tre DLC e in molti lamentavano la mancanza di quel tocco autoriale tipico del game designer. Il motivo della mancanza di Miyazaki nello sviluppo di Dark Souls II ha però un nome che si sarebbe scoperto poco tempo dopo.
Quasi parallelamente, infatti, al rilascio dell’edizione rivista e contente i DLC del titolo, chiamata Dark Souls II: Scholar Of The First Sin (uscita oltre che per le piattaforme originali anche per PlayStation 4 ed Xbox One) uscì nel 2015 in esclusiva per la console Sony l’attesissimo Bloodborne, al quale Miyazaki stava lavorando durante lo sviluppo dell’originale Dark Souls II, ed ecco giustificata la sua assenza dal progetto.
Bloodborne non è Dark Souls e sebbene ne ricalchi alcune meccaniche che possiamo definire come distintive della “macro-famiglia Souls” creata da From Software, in gran parte se ne discosta notevolmente. A differenza del regno di Boletaria in Demon’s Souls che non differisce troppo dai toni e dalle atmosfere di Dark Souls, la gotica Yharnam ci catapulta in tutt’altro contesto.
I toni sono cupi e tenebrosi, il buio regna sovrano e i giochi di luce dal tramonto all’alba della notte della caccia hanno uno scopo tanto estetico quanto funzionale alla narrazione della lore di gioco. Fondamentalmente Bloodborne è pur sempre un GDR-action esplorativo in terza persona con una difficoltà di gioco molto alta, ma il sistema ben noto ai giocatori della serie Souls di arma e scudo viene qui sostituito dalla presenza di armi bianche molto particolari e armi da fuoco.
Lo scudo non è più ponderato, a favore di una maggior dinamicità dell’azione di combattimento che rende il tutto molto frenetico, richiedendo al giocatore ottimi riflessi e meno studio della battaglia che premia invece la velocità, l’impeto e il coraggio di osare.
Pur differenziandosi sostanzialmente dal paradigma della serie Dark Souls, Bloodborne ha superato a pieni voti il suo esame. Apprezzato sia dalla critica che dai giocatori è al momento l’esperienza tecnicamente migliore mai sviluppata da From Software forse anche grazie alle potenzialità di uno sviluppo in esclusiva per PlayStation 4.
Al Tokyo Game Show 2015 è stato annunciata l’espansione The Old Hunters, in uscita in questi giorni, 24 novembre 2015, in contemporanea mondiale. Gli amanti di questi lavori made in From Software però sanno già dallo scorso E3 che a Marzo del 2016 uscirà ufficialmente per PC, PlayStation 4 e Xbox One il tanto atteso Dark Souls III.
Le aspettative per questo terzo capitolo della saga sono altissime e i giocatori contano già i giorni che li separano dalla sua uscita. Peraltro, proprio nei giorni scorsi, Hidetaka Miyazaki ha rivelato che Dark Souls III chiuderà il cerchio narrativo di questa serie.
Sarà dunque un degno finale per una saga epica? Ma soprattutto, riuscirà come Bloodborne a non subire critiche di sorta e ad affermarsi come miglior capitolo della saga?
Per saperlo dovremo aspettare Marzo 2016 e, solo allora, potremo mettere la parola fine a questa lunga storia..