Il segreto dei suoi occhi (Secret in their eyes) è il remake, curato da Billy Ray (Captain Phillips, The Hunger Games) con Chiwetel Ejiofor, Nicole Kidman e Julia Roberts, del Premio Oscar 2010 come Miglior Film Straniero della meravigliosa pellicola argentina del 2009, El secreto de sus ojos, di Juan José Campanella.
Faccio subito una piccola premessa che non vuole essere un “mettere le mani avanti”, ma bensì un’evidente necessità: essendo questo film un remake, inevitabile è muovere critiche e giudizi, nonché argomentazioni varie, tenendo assolutamente conto del film originale dal quale è tratto. Detto questo, mettetevi pure comodi.
Per chi se lo fosse perso, e consiglio vivamente di colmare questa lacuna, El secreto de sus ojos è un avvincente thriller drammatico e psicologico, con uno sfondo realista riflettente sulle ferite politiche dell’Argentina, dove tecnica cinematografica e colpo di scena regnano sovrani.
Famoso in tutto il mondo non solo per la crudezza dei suoi contenuti trattata con una poeticità rara e per un finale a sorpresa sconvolgente da manuale, ma anche per un “misterioso” piano sequenza di ben cinque minuti che tutt’ora lascia senza parole addetti ai lavori, appassionati e semplici spettatori.
Tutto ha inizio col il ritrovamento del corpo di una giovane donna violentata e massacrata fino alla morte. Da questo momento in poi è tutta una caccia all’uomo e ai ricordi, in quanto la pellicola si muove in continua sospensione tra presente e passato (1974-1999), fino ad arrivare a toccare una realtà scioccante.
Il presente dell’ormai ex agente dei tribunali federali, Benjamín Esposito (Ricardo Darín), deciso a scrivere un libro su quell’atroce passato, di ben venticinque anni prima, che lo vede legato al vedovo Ricardo Morales (Pablo Ràgo) e all’affascinante, all’epoca nuova, cancelliere del tribunale, la dottoressa Irene (Soledad Villamil). Il caso lasciò moltissime ferite dolorose sulla pelle di tutti e tre i protagonisti, confinandoli ad un rancore amaro nei confronti dell’assassino di Liliana, “sfuggito” di un soffio, ma anche alla loro inadeguatezza al cogliere l’attimo.
Queste linee guida bastano per poter affrontare il film che dobbiamo trattare. Il segreto dei suoi occhi, il remake, cambia fin dall’inizio le carte in tavola.
Quello che nasce da Esposito come un capriccio, dettato più dall’essere troppo legato alle figure del passato, in particolar modo a quella di Irene, per Ray (Chiwetel Ejiofor), ex agente dell’FBI che nel 2002 era stato assegnato a Los Angeles alla squadra antiterrorismo (il fantasma immortale dell’11 settembre), è una vera ossessione che non lo abbandona da 13 anni.
Il film inizia subito, in presente attuale, con un particolare dello sguardo di Ray che scorre, ossessionato, su una serie di foto segnaletiche al computer. Quando capta qualcosa nel volto di un individuo, tale Beckwith, flashback frammentati di una feroce violenza si alternano nella sua mente. Violenza feroce si, ma molto fredda. Nella versione argentina lo stupro di Liliana è qualcosa che colpisce lo spettatore come un pugno in pieno stomaco durante una camminata tra gli alberi in fiore. Qualcosa di assolutamente stonato e inaspettato.
L’atmosfera che introduce il remake americano è già molto cupa e fredda, quasi annunciatrice di ciò che sta per accadere o, per meglio dire, che è già accaduto. Ma fin qui, trattandosi di un remake possiamo pure sorvolare.
Le primissime dinamiche sono abbastanza simili. Il rientro a Los Angeles di Ray è quasi identico a quello di Benjamín a Buenos Aires, sebbene poi i due personaggi siano totalmente diversi l’uno dall’altro. La drammaticità di Ray, con tutto che parliamo di un grandissimo attore come Ejiofor, non strega lo spettatore; anzi, lo fa quasi allontanare.
L’apparente semplicità di Benjamín, invece, che nasconde la sua stanchezza a causa dei ricordi del tempo, lo rendono molto accattivante e anche un po’ carismatico, sia per lo spettatore ma anche per i personaggi in scena che lo salutano con affetto nonostante siano passati tanti anni.
Il cambiamento si ha già con l’incontro tra Ray e Claire (Nicole Kidman), nel remake un’avvocatessa salita fino ai piani alti, con un passato come supervisore di Ray. L’incontro, quasi aspettato, è caratterizzato da un feroce senso di sbagliato e imbarazzo, che ammazza totalmente il calore di quello che era stato l’incontro tra Benjamín e Irene venticinque dopo.
Ma ciò che più massacra totalmente questa sequenza, oltre al distacco della Kidman che viene inquadrata come se stesse recitando in tutt’altro film tradendo totalmente le origini del suo personaggio, è la totale mancanza di un correlativo oggettivo tra passato e presente.
Il sorriso presente di Irene diventa, nello sguardo di Benjamín, un elegantissimo aggancio con il sorriso della donna venticinque anni prima quando venne affidata proprio al tribunale dell’uomo. Nel remake c’è un mero sfondo nero con tanto di scritta bianca con il salto temporale all’indietro. Trovo impossibile pensare che nel 2015 sia ancora accettabile una trovata, se così si può definire, simile da una regista come Billy Ray.
Nel passato, per poi tornare al presente, viene introdotto il terzo personaggio cardine del remake, Jess (una Julia Roberts troppo teatrale), ex collega di Ray e vittima della perdita “oggetto” del film. La figura quasi ingenua di Morales, marito di Liliana, viene sostituita da un personaggio che in questo caso è molto vicino al protagonista del film, cosa che invece non è nella pellicola argentina.
Questo piccolo particolare è ciò che cambia davvero le carte in tavola e che fa prendere a tutta la pellicola un respiro talmente diverso che la parola remake è assolutamente inappropriata. Ma, purtroppo per entrambe le versioni, di questo si sta parlando.
La vicinanza così intima con la “vittima”, infondo sia Jess che Morales sono le vere vittime dei carnefici delle rispettive figlia e moglie, rende Ray particolarmente instabile e mosso fin dall’inizio da una rabbia inevitabile che lo fa agire non per un senso di giustizia, che è il vero tema de Il segreto dei suoi occhi, ma per un senso di lealtà e vendetta per la sua collega.
Se la giustizia è l’interrogativo che muove gran parte della pellicola argentina, qui funge paradossalmente da ostacolo per la caccia all’uomo intrapresa da Ray nei confronti dell’assassino della figlia di Jess. Dopo il ritrovamento del corpo di Carol, che in questo caso ha toni più sentimentali che drammatici – anche se un po’ troppo giocati con il classico ricatto emotivo nei confronti dello spettatore – rispetto alla pellicola di Campanella dove, addirittura, c’è una scena precedente al ritrovamento del corpo in cui Benjamín e il rivale collega Romano litigano su chi deve sbolognarsi quella rogna, seminando la drammaticità raccolta con l’immagine martoriata di Liliana che distrugge mentalmente Benjamín; per Ray è un continuo cadere, passo dopo passo, negli sgambetti di una finta giustizia, perdendo sempre di più il controllo.
La pellicola di Campanella è ambientata, come detto prima, in un periodo in cui l’Argentina indossava ancora le colpe dei suoi politici, e se un criminale può essere utile alla società, la sua pedina penale può sbiancarsi grazie a uno schiocco di dita dall’alto. Questo contesto da una valenza maggiore alla storia di ingiustizia che racconta Campanella.
Billy Ray usa la paranoia, forzatissima, americana nei confronti del terrorismo, sfruttando in malo modo lo stesso “escamotage” di Campanella con un infiltrato della task-force di Ray stesso. Il senso di ingiustizia, in questo caso, perde di valenza perché diventa talmente poco credibile da non reggere. Eppure i personaggi, a parte Ray, si lasciano cullare da questo modus operandi con finalità di un bene maggiore, come se non fosse davvero possibile andargli contro. Jess stessa sembra quasi distaccarsi dal comportamento troppo ossessivo del collega, sebbene in realtà sia più relegata, nella parte del passato, ad una condizione di prigionia per lo shock, cosa che accade anche a Morales.
«Cosa me ne faccio di quattro colpi?»
Interrogativo che racchiude il senso del dolore e della disperazione del personaggio di Jess/Morales che, in linea di massima, è quello che meno cambia, sul lato psicologico e comportamentale, tra i due film.
Vengono mantenute intatte due sequenze molto significative, una per il suo lato di complicità tra Benjamín e la sua spalla Pablo Sandoval (Guillermo Francella), un alcolizzato giocherellone con problemi coniugali, che nel remake diventa il più bontempone e furbo Bumpy (Dean Norris), e l’altra per l’intelligenza e astuzia, che si rivelano miracolose, di Irene/Claire. Queste due scene: la prima è l’introduzione senza mandato di Benjamín/Ray e Pablo/Bumpy a casa del sospettato, ricreando un quadro “macchiettistico” veramente gustoso anche nel caso americano; la seconda è l’interrogatorio poliziotto buono/cattivo del sospettato con Benjamín/Ray Irene/Claire, dove intelligenza e sensualità femminile vuole dimostrare quanto sia semplice far crollare un uomo, riuscendo a estorcergli addirittura una confessione, colpendo nei punti giusti.
Purtroppo il carisma e audacia usato dal personaggio della Kidman nasce e muore in questa scena. Totalmente piatto e sottotono, addirittura fredda e quasi antipatica. Il rapporto tra lei e Ray è talmente ambiguo da trovare difficile credere che ci sia veramente un coinvolgimento emotivo, a differenza dell’intensa ma silenziosa passione tra Irene e Benjamín, che continua anche dopo venticinque anni di lontananza. Irene è una donna forte, che sa quello vuole e come può ottenerlo, ambiziosa ma non superba. Una donna in carriera carismatica che al tempo stesso è riuscita a costruirsi una famiglia, quasi, perfetta. Claire è solo una donna ambiziosa, senza un minimo di slancio che ha vissuto tutta la sua vita proiettata verso la carriera, che è indubbiamente arrivata a vette altissime, ma senza un briciolo di entusiasmo. Il suo volto austero nasconde una donna fragile con un matrimonio di facciata, privo di figli, che rivela le crepe perfettamente nascoste dal cerone della Kidman.
Inizialmente viene mantenuto un piccolo vizio di Irene: la porta. Irene lascia sempre la porta aperta, e quando finalmente decide di chiudere quella porta, pronta per abbandonarsi a quell’amore che non potrebbe permettersi, una serie di eventi spezzano l’acerbo equilibrio tra le e Benjamín. Anche Claire ha lo stesso vizio, che viene seminato un paio di volte, sia nel passato che nel presente, ma non viene mai raccolto, sprecando l’efficace trovata non scontata di manifestazione dei sentimenti di Campanella.
Il personaggio del killer, del quale volutamente non faccio riferimenti o descrizioni dettagliate né per la versione originale argentina ne per il remake americano, è quello più coerente. Fastidioso. Odioso. Viscido. Un uomo vuoto, per il quale non si riesce a provare pietà neanche nel momento culmine della verità più oscura. Un uomo “protetto”, in entrambi i casi, dalla “giustizia”. Elemento fondamentale che accomuna i due killer è, parafrasando sia Jess per il film di Billy Ray che Pablo per Juan Campanella, è la PASSIONE; ed è proprio la passione che diventa il tallone d’Achille. Giocato nello stesso modo de Il segreto dei suoi occhi di Campanella, la passione per lo sport è chiave per i protagonisti. Addirittura nel remake se ne può trovare una doppia, in quanto Billy Ray gioca nel presente, non usando la scusa del romanzo ma bensì continuando sul fuoco della vendetta e della non rassegnazione, con una serie di qui pro quo che fanno prendere a Ray fischi per fiaschi. In realtà, sembra più uno strafare e mettere troppo carne a cuocere che poi va, inevitabilmente, a gravare sull’effetto sorpresa del finale.
Il Piano Sequenza
Arriviamo al momento più delicato di questo remake che, come ben sospettavo, segna il vero fallimento di questa pellicola: il piano sequenza. Ripresa dall’alto dello stadio, questa volta non La Bombonera di Buenos Aires durante il campionato argentino, bensì il Dodger Stadium di Los Angeles durante una partita di baseball. Immensa panoramica dall’alto che scivola lentamente verso il basso concentrandosi prima su tutti i giocatori e poi su di un unico battitore, di lì nuovamente curva verso l’alto andando ad abbracciare la tifoseria in attesa del punto decisivo. Ray e Bumpy in primo piano. Sguardo ancora sul pubblico e… TAGLIO. Un bel taglio secco e freddo che mi uccide la scena prima ancora che questa possa avere il suo respiro. Non contento Billy Ray ci prova ancora. Recupera con il campo e contro campo sfuocato tra il ricercato e Ray, prima di partire nell’infinita corsa, ma anche qui un bel taglio.
Cinque minuti di piano sequenza magistrali di Juan Campanella buttati così, abbandonati per il classico montaggio di dinamismo per le scene d’azione, e in questo caso tutto l’inseguimento tra gli spalti e nello stadio Ray e il killer. La naturalezza e l’adrenalina che Campanella era riuscito a rendere, facendo provare nel 2009, senza bisogno di 3D o di chissà quale altra computer grafica o tecnologia avanzata, allo spettatore di essere proprio lì, dietro al collo dell’assassino, pronto ad afferrarlo in una corsa a perdi fiato.
Purtroppo l’occasione di un “bis” è stata sprecata. Da una parte la si potrebbe tranquillamente interpretare come un riconoscimento di maestria e bravura ineguagliabile, dall’altra forse mancanza di coraggio. Coraggio, ciò che manca davvero a questo film.
Un giallo che si, si lascia sicuramente guardare, ma senza trasmettere nulla di nuovo. Lasciando l’appassionato o anche solo chi ha amato il capolavoro di Campanella insoddisfatto e infastidito. Un tentativo vano e anche inutile.
Adesso, la domanda qui sorge spontanea: c’era davvero bisogno di fare il remake di un capolavoro abbastanza recente, vincitore di un premio Oscar e di due premi Goya, con una tecnica e una regia degna dei libri di storia del cinema? No.
Non era molto più semplice sfruttare le idee originali inserite all’interno della trama base de Il segreto dei suoi occhi e fare un film hollywoodiano ex novo? Si, e soprattutto avrebbe avuto, forse, più fortuna; perché, probabilmente, questo film di Billy Ray con un altro titolo, con una storia diversa alle spalle, poteva essere anche un discreto giallo. Una storia nella media, e non un remake che rasenta la mediocrità. Inutile fare troppi giri di parole, la dura realtà è questa. Una realtà con la quale è inevitabile farci due conti quando decidi di intraprende un’avventura come questa e cimentarti nel rifacimento di un film così difficile e complesso.
Il segreto dei suoi occhi di Billy Ray ci prova, ma purtroppo non riesce nell’impressa. Piatto e deludente, con personaggi trascinati lungo la storia ma mai veramente in azione. Una passività che caratterizza l’intera pellicola, rendendola totalmente perdente nei confronti di quella argentina. Una storia appesantita dai cambiamenti appiccicati alla trama originale.
Una sceneggiatura che poteva dare molto di più. Una fotografia fredda e rivelatrice.
Un film privo di anima e sentimento come i suoi personaggi.
Il segreto dei suoi occhi uscirà in tutte le sale italiane il 12 Novembre.