Il supereroe, così come il termine già lascia intendere, è colui che possiede dei superpoteri e/o delle sovrasviluppate abilità pscico-fisiche, spesso accompagnate da una tecnologia particolarmente avanzata, conferendogli una super-identità nascosta, sfruttabile a fin di bene.
Eppure la parola “super” ci fa subito immaginare qualcosa di molto imponente e mastodontico, basti anche solo pensare a Hulk. Ma se, invece, esistesse un supereroe piccolo piccolo come una formica ma cazzuto tanto quanto Capitan America?
E se questo “micro” supereroe fosse stato addirittura creato prima di qualsiasi altra identità e personalità molto più appariscente come, per esempio, Iron Man? Se, per caso, qualcuno ancora non troppo informato ci fosse ancora, il superpiccoletto in questione esiste. Sto parlando di Ant-Man!
Ant-Man è il nuovissimo cinecomic della Marvel Studios, diretto da Peyton Reed (Yes Man). Il nuovo capitolo dell’Universo Cinematografico Marvel, porta per la prima volta sul grande schermo uno dei membri fondatori degli Avengers (quelli dei fumetti e non quelli dell’Universo Cinematografico): Hank Pym primissimo Ant-Man e creatore delle Particelle Pym, un composto chimico che permette di rimpicciolire le dimensioni del corpo umano e, al tempo stesso, possedere una forza sovrumana.
Ovviamente onde evitare di ridursi in poltiglia gelatinosa è necessario indossare una tuta protettiva. Le sue particolari abilità sono, inoltre, potenziate grazie alla capacità di controllare, comunicando con un elmetto, eserciti di formiche.
Regia: Peyton Reed
Sceneggiatura: Edgar Wright, Joe Cornish, Adam McKay e Paul Rudd
Con: Paul Rudd, Michael Douglas, Evangeline Lilly, Corey Stoll, Bobby Cannavale, Michael Peña, Tip T.I. Harris, Wood Harris, Judy Greer, David Dastmalchian
Prodotto: Marvel Studios
Distribuito: Walt Disney Studios Motion Pictures
Nelle sale italiane dal 12 Agosto
Ant-Man esordisce nell’Universo Marvel nel lontano 1962, un anno prima rispetto ad Iron Man, nel numero 27 di Tales to Astonish, ancora nei panni di scienziato.
È proprio in questo numero che il nostro Hank riesce a creare la formula per la sua straordinaria particella. Ant-Man entra ufficialmente nei supereroi Marvel nel 1963, al fianco degli Avengers, proprio nel primo numero della testata.
Se siete curiosi di sapere di più sul profilo del supereroe più piccolo della Marvel, questo è il posto giusto:
Ant-Man è interessante, perché è stato uno dei primi membri degli Avengers, anche se molte persone non lo sanno.
Nonostante il personaggio di Ant-Man, fino a questo momento, fosse poco conosciuto, nel 2006 Marvel ha intuito, prima ancora di credere fortemente nell’universo cinematografico dei suoi supereroi (e nei big money da botteghino), il potenziale di Ant-Man, soprattutto grazie a Edgar Wright -promettente regista e sceneggiatore- che propose per primo la trasposizione cinematografica del personaggio. Non molto tempo più tardi (la versione ufficiale è una discrepanza di idee), Wright lascia il progetto ed Ant-Man viene rimandato a sette anni più tardi.
Questa è la travagliata storia della versione cinematografica di Ant-Man.
In Ant-Man, uscito da più di un mese negli USA e in uscita nelle sale italiane dal 12 Agosto, la storia subisce un passaggio di testimone sulla nuova identità di Ant-Man, incentrando il tutto sulla figura di Scott Lang (Paul Rudd), ladro “pentito” uscito di galera da pochissimo tempo e già pronto per infilarsi nuovamente nei guai.
L’insana capacità di Scott a non saper stare lontano dai guai, lo porterà alla “casuale” conoscenza del dr. Hank Pym (Micheal Douglas), scienziato in pensione famoso per aver scoperto una straordinaria particella capace di far rimpicciolire, e al suo allenamento per diventare il nuovo Ant-Man.
Pym vuole scongiurare a tutti costi l’inevitabile raggiungimento del segreto della sua particella da parte del proprio ex pupillo Darren Cross (un Corey Stoll “Calabrone” che purtroppo non convince), trasformando la sua invenzione in macchine da guerra, ed evitare che sua figlia Hope (Evangeline Lilly), ovviamente una #turbofiga dal caschetto nero che picchia come un mandingo, indossi la tuta della “piccolezza” per impedire il disastro.
Con un matrimonio distrutto alle spalle, la fedina penale sporca ed un curriculum da ingegnere informatico di cui non frega niente a nessuno (mortacci vostra), Scott è il classico ragazzone dal sorriso sghembo e lo sguardo malinconico che non ha più niente da perdere, ma solo da guadagnare. Insomma, secondo il “vecchio” Ant-Man, una pedina sacrificabile per l’umanità.
Ant-Man è un film che da un punto di vista tecnico riesce a tenere incollato lo spettatore allo schermo, esaltando i più appassionati del genere. Conquista ed intriga, divertendo ma senza esagerare. Si mantiene, in poche parole, in equilibrio tra il serio e l’ironico, con qualche slancio.
Lo scopo della Marvel era quello di creare un cinecomics più action-comedy che, probabilmente, ricalcasse l’ironia de I Guardiani della Galassia, rendendo questo “piccolo uomo”, irresistibile ed adorabile, nonostante il suo passato. Indubbiamente il lavoro sul personaggio funziona alla grande (vuoi anche per la buona interpretazione di Rudd e la sua capacità di essere comico, ma mai di troppo, con poco), e infatti Scott è un personaggio che difficilmente si fa odiare, capace di smontarsi, divertire e prendersi in giro, mood che grosso modo si respira per tutta la durata del film; eppure, la pellicola non ha quella brillantezza riuscita a toccare da James Gunn con I Guardiani della Galassia, anche solo per il semplice fatto che Scott Lang non è una macchietta edonistica come Peter Quill.
Scott Lang è un vinto, un uomo a cui nessun può/vuole dare una seconda possibilità di riscattoma che attraverso una specie di patto mefistofelico riesce a dimostrare, soprattutto a se stesso, di poter essere ancora un vincitore, un eroe.
In questo senso Ant-Man rappresenta, senza ombra di dubbio, una boccata d’aria fresca dagli ultimi film Marvel che o si prendono drammaticamente sul serio (vedi il primo capitolo di Thor o l’ultimo Avangers: Age of Ultron) o sdrammatizzano in modo demenziale con battute che si, fanno ridere, ma fanno perdere gran parte del senso della trama.
Potremmo definirla la rivincita dei piccoli in tutto e per tutto. Il protagonista di questo film è proprio un piccolo grande uomo, che diviene un piccolo grande eroe (scusate il gioco di parole). Eppure, al tempo stesso, il film non riesce ancora a distaccarsi dal peggio dei film Marvel, chiudendo questa seconda fase in modo discreto, ma non proprio ottimale come ben si poteva sperare.
Probabilmente il più grande problema di Ant-Man risiede nella sua troppo piccola controparte, ovvero il suo villain.
Generalmente l’antagonista della storia dovrebbe trasudare, oltre a malvagità più o meno schizoide, anche quel minimo di carisma per renderlo assolutamente accattivante. Odiato ed al tempo stesso adorato dallo spettatore.
Deve sapere colpire e far insinuare nel cervello di chi l’osserva che, probabilmente, l’eroe è veramente in grossi, grossissimi guai e, forse, non ce la farà. Il gioco, per quanto possa valere la candela, deve essere più che pericoloso; deve essere mortale. Insomma, il supercattivo deve essere un supercattivo con i superattributi.
Purtroppo tutto questo nel personaggio di Darren Cross/Calabrone (The Yellow Jacket) viene totalmente a mancare, facendo perdere un po’ di intensità alle scene di combattimento ravvicinato tra lui e Scott (nonostante l’epicità della sequenza sul treno giocattolo). Più che un “cattivo”, Il Calabrone di Cross sembra un genio mezzo autistico con un complesso edipico al contrario. A Cross non importa davvero se il suo piano andrà o non andrà a buon fine, ciò che a lui interessa è fare colpo agli occhi del suo mentore, ovvero Pym, riscattandosi.
di me in te.”
“Rivedevo troppo di me in te.” Le parole di Pym quando, in una specie di confronto da mentore/novizio tra lui e Cross, spiega il perché anni prima si sia totalmente allontanato da quel mondo. Certo, questo farebbe di Cross uno stronzo ipocrita approfittatore, ma il punto è che Cross non è niente di tutto questo. Non è un calcolatore, non è un ipocrita, ed è anche abbastanza ingenuo e debole. Più che Il Calabrone sembra quasi di rivedere sullo schermo un Peter Russo totalmente soggiogato da Frank Underwood (House of Cards, cit.).
Fortunatamente questo “piccolo” dettaglio viene un po’ ovviato dalla grinta del film, sebbene inizialmente si prende un po’ di tempo per ingranare totalmente.
Ant-Man è un film che ha bisogno del suo tempo, e proprio perché le sfumature e le linee narrative e drammatiche di questo personaggio sono molteplici, ottima trovata è quella di concentrare la storia su una nuova identità, appunto un nuovo Ant-Man.
Il lavoro di Reed, alla fine dei conti, è da considerarsi più che dignitoso. Affronta tematiche differenti che si riflettono sulla maggior parte dei personaggi, come per esempio il papà eroe. Non è solo Scott a dover dimostrare qualcosa alla sua famiglia, a continuare a farsi vedere dalla propria bambina come un eroe disposto a morire pur di restare tale, ma anche lo stesso Pym deve tornare ad essere l’eroe di un tempo passato per Hope.
Lo stesso rapporto tra Pym e Scotto, alimentato dal bisogno di un passaggio di testimone, è molto paterno ed inteso. Tutto ciò è giostrato magistralmente, senza cadere nel melenso e nel banale.
“Abbiamo sempre pensato che la storia di questo film avesse bisogno di due protagonisti: un personaggio più anziano che passa il testimone a uno più giovane” afferma Kevin Feige, presidente dei Marvel Studios. “È un elemento che proviene dal fumetto. Il personaggio più anziano è ovviamente Hank Pym, mentre quello più giovane è Scott Lang: il loro rapporto è l’elemento centrale del film.”
Un po’ meno sviluppato, ma tremendamente scontato e superfluo, è il rapporto tra Scott e Hope. Più che una relazione naturale e graduale, sembra rispecchiare un cliché forzato ed ingiustificato, messo un po’ a caso sul finale del film.
I punti forti di Ant-Man sono indubbiamente le innovative scene di passaggio dal mondo umano a quello minuscolo, e per una volta il 3D aggiunge un’esperienza in più alla visione dello spettatore.
Le scene sono ben costruite, a tal punto da risucchiare lo spettatore, rendendo credibile e plausibile la situazione, e trasportarlo in quel mondo piccolo ed estraneo. Eppure, se per la resa scenica non si può che elogiare dall’inizio alla fine il film, per quella drammaturgica ci sono ancora limiti non valicati, legati alla classica esperienza Marvel Universe. Si poteva e si potrebbe osare ancora di più.
Tirando veramente le somme, prima che qualcuno si addormenti (ammesso e concesso che non l’abbia già fatto), Ant-Man è un film che rispetta l’intento primordiale di essere un cinecomics su un “anti-eroe” anarchico e fuori dagli schemi, senza però arrivare all’obiettivo fino infondo. Ironico, ma non divertente quanto ci si poteva aspettare. Sicuramente una buona base per la terza fase dei film Marvel ma, come già detto, un discreto finale per la seconda fase.
Non preoccupatevi, nel film non manca il cameo del nostro amato Stan Lee che, ormai, riscuote più successo lui dei suoi supereroi.
Come sempre ci si raccomanda ad ogni film Marvel, non alzatevi dalla poltrona durante i titoli di coda! E non fatelo neanche dopo la prima clip! I Marvel Studios ci hanno voluto regalare una doppia chicchetta, entrambe premonitrici di ottimi hype. Incrociamo le dita! Intanto, lunga vita ai piccoli eroi ed abbasso i villains da quattro soldi.