Ci sono vette che non possono essere superate: quando sei arrivato in cima, anche se hai eguagliato altri prima di te, più su non si può andare. Nel mondo dei media questo significa che certi successi possono essere replicati, molto difficilmente oscurati o migliorati.
Nella musica una bassissima percentuale delle cover riesce a far dimenticare l’originale, nel cinema le varie pratiche di remaking spesso riescono appena a dare una spolverata di modernità, senza però lasciare gli spettatori a lustrarsi gli occhi.
Questo però non significa affatto che le varie catene prequel – reboot – remake siano prive di senso e dignità.
In termini di vero e proprio “senso”, sembra che la serie della NBC “Hannibal” abbia raggiunto il non trascurabile traguardo di inserirsi con innovazione, originalità e qualità a pacchi nel longevo franchise che prende le mosse dai libri di Thomas Harris.
E dire che questo presenta già una struttura piuttosto complicata, dal momento che la sua sequenzialità a livello letterario è stata sconvolta dai risultati al botteghino (e non solo) delle trasposizioni cinematografiche.
Nel 1981 con “Il delitto della terza luna” Harris centra un buon successo letterario, un gran bel thriller seguito dal poco incisivo film “Manhunter“. Non memorabile, diciamo.
Parte dei personaggi sono poi protagonisti dell’epica accoppiata libro/film “Il silenzio degli Innocenti” che a cavallo tra gli ’80 e i ’90 ridefinisce le regole del genere nobilitandolo e lanciando un filone che per anni vivrà di grandi successi fino all’apice con il bellissimo “Seven” di Fincher.
L’interpretazione di Anthony Hopkins, Oscar per nemmeno 20 minuti di recitato, dà una sterzata alla serie promuovendo il Dott. Hannibal Lecter da co-protagonista a vero e proprio personaggio centrale dei prodotti a venire. Cambiamento testimoniato dal successivo “Hannibal” di Ridley Scott e dalla strana piega logica presa dal film “Red Dragon”, che è contemporaneamente nuova trasposizione del primo libro della serie, remake di “Manhunter” ma per il suo sviluppo è soprattutto un prequel de “Il silenzio degli Innocenti” in quanto sviluppa all’indietro il personaggio di Hannibal e si aggancia a numerosi eventi citati nel capolavoro penta-Oscar di Johnatan Demme.
Ovvio che lo spirito originale di “Red Dragon” non poteva essere questo, essendo stato pensato e realizzato prima de “Il Silenzio degli Innocenti” e avendo visto una seconda nascita principalmente per ritornare sulle gesta di Hannibal “The Cannibal”.
Un po’ quello che succede ora con Lo Hobbit che si aggancia “all’indietro” alla trilogia de “Il Signore degli Anelli” mentre in realtà è questa ad essere sequel dell’avventura del giovane Bilbo. Andando indietro come i gamberi si arriva al “monografico” “Hannibal Lecter – Le origini del male” che sancisce ineluttabilmente la centralità del Dottore nel franchise in un film a mio parere molto scarso, a tratti imbarazzante, infarcito di puttanate e indegno dei suoi predecessori.
E la serie Hannibal? Come la inseriamo in questo casino in mezzo a cotanti successi?
La inseriamo nell’unico spazio logico-temporale rimasto scoperto, pieno di possibilità e denso di curiosità, cioè prima di “Red Dragon”, romanzo al quale la serie fa deliberatamente riferimento con un intelligente outing nei titoli di testa.
[spoiler]Torniamo quindi agli eventi occorsi prima che Will Graham inchiodasse Hannibal Lecter rivelando l’identità dello Squartatore di Chesapeake e ci troviamo davanti ad un oceano di storie di raccontare, di personaggi da sviluppare, di ancore di senso alle quali appenderci e di collegamenti da sfruttare con gli altri capitoli.[/spoiler]
Hannibal è giovane e libero ed è uno stimato psichiatra criminologo, fortunatamente non un mezzo ninja armato di katana. Will Graham è il detective sensitivo che abbiamo solo intuito nel film “Red Dragon”, una figura colossale che già dalla sua comparsa nei primi anni ottanta aveva influenzato corposamente l’idea a venire del poliziotto tormentato ed empatico.
Tra queste due figure iconiche, un universo di crime allo stato puro che si sviluppa per due stagioni con una libertà creativa unica, quasi che da una miniera creduta infruttuosa si fosse trovato improvvisamente un clamoroso filone d’oro.
Eppure le possibilità sono sempre state sotto gli occhi di tutti: l’esplorazione del personaggio di Graham e del suo rapporto con il Dottore, l’ossessione per la cucina, il buongusto, la psichiatria deviata e l’etica distorta di Hannibal, le sue gesta di assassino crudele e cannibale aspettavano solo di essere esplorate.
Per trent’anni abbiamo raccolto indizi sulle gesta passate di Hannibal senza in sostanza mai capire perchè, fin da “Red Dragon”, fosse dietro le sbarre.
E c’è da togliersi il cappello davanti all’opera degli sceneggiatori, che hanno sfruttato tutta questa libertà per creare una storia interessante, tesa e drammatica, senza mai dimenticare “quello che già sappiamo”… orizzonte ultimo e scoglio principale nella strutturazione di un prequel.
“Hannibal” è tutt’altro che una sterile cucitura di notizie, è piuttosto una splendida storia originale che è impreziosita, come da un ricamo di gran classe, proprio da quelle strizzatine d’occhio ai capitoli precedenti… volevo dire successivi.
Le puntate sono pervase da un forte senso di familiarità. con l’apparire di numerosi personaggi chiave del franchise, che vengono evocati e rimescolati in vicende già note, la storyline della giovane aspirante FBI l’esempio più calzante, a loro volta totalmente rivisitate per dare una nuova direzione alla storia.
E’ proprio su questa china, alla fine della seconda stagione, che la serie rivela la sua vera natura: un’esplosione di senso che tramuta il prequel in un reboot.
Lì dove il finale sembra scritto, di fatto dovrebbe esserlo poiché un prequel finisce in un modo già noto, cioè l’inizio del capitolo a cui si aggancia, “Hannibal” sorprende con un finale inatteso che cambia totalmente le prospettive della serie.
Cavalcando la tendenza ormai consolidata di girare attorno alla figura di Hannibal, l’ultima puntata lascia con la bocca aperta facendo presupporre per la serie una sfumatura quasi antologica, riassuntiva dell’intera epopea del serial killer cannibale.
D’un tratto perde quasi il suo senso di prequel, che pure sviluppa in maniera mirabile, per configurarsi come un reboot del franchise che presumibilmente si svilupperà lungo le coordinate già note del percorso di Hannibal.
La sensazione è che nella testa degli sceneggiatori si aggancerà molto di più all’ “Hannibal” di Ridley Scott che non a “Red Dragon” e “Il silenzio degli innocenti”, ribadendo l’esigenza di un Hannibal Lecter libero e attivo sulla scena, non confinato dietro le sbarre come nei due capitoli citati.
Tutto questo è figlio anche di una grandissima interpretazione di Mads Mikkelsen, che dona fisicità e pericolosità al personaggio, riuscendo a non sfigurare a confronto di Hopkins se non nell’interpretazione, almeno nel creare quel “concetto di Hannibal Lecter”, raffinato carnefice dal gusto barocco e manieristico per le composizioni coi corpi umani.
Per il futuro il personaggio di Will Graham sembra una spalla perfetta su cui puntare, in parte per le sembianze nevrotiche e tormentate dell’ottimo Hugh Dancy, in parte perché… diciamocelo: spacca il culo cento volte a Clarice Starling ed offre millemila soluzioni in più, non ultima quella capacità di emergere dall’ombra di Hannibal che manca totalmente a mio parere al personaggio reso celebre dall’interpretazione di Jodie Foster.
La seconda stagione è ancora inedita in Italia, grazie alla lungimiranza della sempre ottima Mediaset che ce la proporrà, bontà sua, nel 2015 mentre negli U.S.A. andrà in onda la terza.
Il consiglio, come sempre, è di procurarsela in lingua originale e di rimanere al passo. Se avete seguito l’esordio su Italia Uno (bravi, io non ce l’ho fatta) affrettatevi perchè la seconda è eccezionale e la terza che verrà a breve promette fuochi d’artificio.
Non perdetevi assolutamente “Hannibal”, e se avete qualche remora… fate un tentativo, non vi mangia mica…