Riprendiamo il discorso iniziato qualche tempo fa, parlando di quanto sia opportuno tassare.

Ovviamente tutti vorrebbero zero tasse e 100% di servizi, ma nel mondo reale questo non è possibile :D Stabilito che la tassazione è necessaria, nei secoli si è diffusa la constatazione empirica che oltre un certo livello di tassazione l’introito della stessa si abbassa.

Questo perché si preferisce chiudere le attività economiche quando il loro rendimento non è più considerato adeguato allo sforzo per tenerle aperte: potrebbero non essere in passivo, ma chi le gestisce potrebbe avere altre possibilità con un costo opportunità più basso.

Ci sono numerosi fattori che influenzano questo rapporto, quindi formalizzarlo è piuttosto difficile: il formalismo più noto è la curva di Laffer.

Ogni attività economica è frutto di una scelta, come minimo tra effettuarla oppure no :D Non facendola si rinuncia a un guadagno, ma si ha tempo per fare altre attività, economiche o meno (sociali, intrattenimento, ecc.). Il costo opportunità è in pratica il mancato guadagno (quindi considerato un costo) non effettuando una certa attività.
In inglese questo si esprime con la frase: There is no such thing as a free lunch.

 

 

La storia

Arthur Laffer, molto onestamente, dice di non aver inventato il concetto ma di essersi ispirato agli scritti di Keynes e a quelli di Ibn Khaldun, tanto che la curva è anche detta di Khaldun-Laffer. Ibn Khaldun non ha confermato nè smentito, essendo vissuto tra il 1332 e il 1406. :D

[more]Ibn Khaldun sarebbe Abū Zayd ‘Abdu r-Raḥmān bin Muḥammad bin Khaldūn Al-Ḥaḍrami, cioè Abdur-Rahman figlio di Maometto figlio di Khaldun l’Adramitico (cioè dell’Hadramaut, antico regno e attuale regione dello Yemen), padre dell’abbondanza (un soprannome augurale).

Letteralmente Abdul vuol dire “servo”. Abdu-r-Rahman è “servo del grande misericordioso”, dove il “grande misericordioso” è uno dei nomi di Dio nel Corano.

Poichè i nomi usati di solito in arabo sono relativamente pochi, e come cognome si usa il patronimico bin / ibn  $nome_del_padre,  per identificare le persone si usano soprannomi ufficializzati come Al-$mestiere o Al-$provenienza o Al-$caratteristica, un pò come si usa in giro per paesini d’Italia: Giuseppe il biondo, figlio di Antonio di Vattelappesca di sotto, o Marco il ciccione, figlio di Giovanni il tabaccaio.

Altri soprannomi sono augurali, come Abi/Abu $qualcosa: Ibn Khaldun non era certamente “padre dell’abbondanza” in senso letterale.
Ovvio quindi che i nomi arabi tendano a diventare un pochino prolissi :D[/more]

Il concetto si può ritrovare, sempre non formalizzato, anche in tempi più antichi: esempli classici sono la lettera 53 del Califfo Ali ibn Abi Talib al governatore dell’Egitto Malik al-Ashtar, del 658, e la poetica frase dell’iperatore romano Tiberio ai governatori provinciali che chiedevano di poter alzare la tassazione locale: “le pecore vanno tosate, non scorticate” :D

In tempi pù recenti (1700), concetti simili vennero espressi da David Hume e Adam Smith.

[more]Ali ibn Abi Talib sarebbe il quarto Califfo, nonchè cugino e genero di Maometto, e il nome vuol dire Ali’ figlio di Abu Talib, cioè Ali’ figlio del padre del cercatore (altro nome augurale).

Alì vuol dire “l’alto” o “l’elevato”, per completezza.

Malik al-Ashtar sarebbe Malik “lo sfregiato” per il taglio ad una palpebra che ebbe durante la battaglia dello Yarmuk.

Malik (o Melik, o Melek), deriva da mesopotamico e vuol dire “re”, “principe” o “capo”. Le lingue semitiche non usano segni vocalici all’interno di una parola, quindi la traslitterazione è sempre approssimativa.

La lettera 53 è numerata in quanto fa parte del corpus Nahj al-Balagha, cioè “la via/il picco dell’eloquenza”, composto dagli scritti dell’ultimo Califfo imparentato con Maometto. E’ talmente nota in ambito musulmano che Rajiv Ghandi la distribuì ai membri del suo nuovo governo, e fu indicata dall’ONU come una dei più importanti scritti riguardanti la giustizia dei tempi passati.

L’India moderna non è a maggioranza musulmana per la secessione di Pakistan e Bangladesh, ma tutte e tre le nazioni furono parte dell’Impero Moghul (discendenti di Tamerlano quindi di origine mongola, ma musulmani) nell’arco di due secoli.

David Hume fu un filosofo e storico scozzese, e Adam Smith, suo contemporaneo, filosofo e fondatore dell’economia classica.

Curiosamente “Hume” è una variante di “Holmes” che può significare isola in mezzo a un fiume o a uno stretto, oppure agrifoglio.

L’Inglese moderno è una lingua con radici celtiche e latine, nonchè numerosi prestiti dall’anglo-sassone e dal norreno, ovvero lingue germaniche potentemente innestatevici in epoche successive. Come risultato, usano suoni simili per indicare cose diverse.

Smith in genere è l’artigiano, e quando usato professionalmente si pospone al nome dell’arte praticata: gunsmith (armaiolo), blacksmith (fabbro).

I nomi sono biblici ma hanno un loro significato: David deriva dall’ebraico dwd, “amato”, mentre Adam probabilmente dall’accadico adamu “creare, fare” o dall’ebraico ‘adamah “terra”. Visti i vari livelli di lettura con cui si divertivano gli antichi scrittori, è probabile che sia stato un gioco di parole intenzionale.
:D
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Ibn Khaldun parlò della tassazione nel suo libro più famoso, la muqadimmah, in occidente nota come prolegomena (introduzione), in cui esprimeva la sua visione del mondo e discettava di sociologia, storia, demografia, ma anche chimica e naturalmente economia. In particolare era un fautore del mercantilismo e dell’evoluzione, prima ancora che questi concetti venissero formalizzati.

Quasi letteralmente, Ibn Khaldun scrive: “all’inizio le tasse sono leggere, e si preleva poco da molti. Man mano che procede la civiltà i bisogni aumentano e così le tasse, ma alla fine queste non bastano perché chi produce è scoraggiato dal confronto tra i profitti e il fardello delle tasse. La produzione quindi cade, la tassazione grava sempre di più su sempre meno persone, e la raccolta scende”.

 

 

Il concetto

Laffer descrisse la questione in termini più scientifici durante un incontro con Dick Cheney e Donald Rumsfeld nel 1974, in cui si discuteva su come e quanto ridurre le tasse, probabimente semplificando a giovamento del pubblico :troll: .

In soldoni, disse che quando la percentuale di tassazione è dello 0%, lo Stato non riceve introiti dalle attività economiche (you don’t say?), mentre quando la tassazione è al 100% gli attori non sono incentivati a mantenere queste attività o trovano modo di evitarla, ad esempio con il baratto, e quindi di nuovo lo Stato non riceve introiti. Tra lo 0% e il 100% deve quindi esserci un livello di tassazione che provoca un massimo di introiti.

Questa definizione è stata molto criticata, ad esempio perchè non è detto che tornando a un livello precedente di tassazione l’introito torni ad essere lo stesso. Inoltre come ci sono molte entità diverse e infiniti modi di tassarle, e le diverse combinazioni non sono prese in considerazione dalla curva di Laffer.

 

Matematicamente, è criticabile considerare l’introito una funzione continua e biettiva del livello di tassazione, senza distinguere tra i diversi tipi e livelli di tassazione possibili. Inoltre e’ possibile che l’introito sia una funzione sia multi-punto, cioè che alzando la tassazione e poi facendola tornare al livello di prima l’introito non sia lo stesso, agendo più o meno come l’isteresi:

 

 

La pratica

La domanda a cui nè Ibn Khaldun nè Laffer rispondono è ovvia: qual’e’ la percentuale di tassazione che ottiene il massimo degli introiti? Non è nemmeno chiaro se di queste percentuali ce ne sia una sola, probabilmente anzi ce n’è più di una perchè come detto di tributi ce ne sono per tutti i gusti e a tutti i livelli.

Alcune valutazioni empiriche parlano di un 65/70% del reddito totale [1], ma non si specifica come dovrebbe essere distribuito tra le diverse categorie possibili.

Ad esempio, una valutazione sulla tassazione in USA indica un valore tra il 30 e il 35% per le tasse federali [2], ma questo fa nascere altre domande: vuol dire che una tassazione del 35% a livello locale dovrebbe essere il massimo possibile? E il livello “locale” quale sarebbe? Restando in ambito anglosassone, lo Stato o la Contea? Le Città non possono quindi imporre altri pagamenti?

Le limitazioni della curva di Laffer ne impediscono un uso consistente: ciò nonostante viene ricordata ed usata per vari motivi. Innanzitutto, è utile nella valutazione di quanto e come gestire il livello di tassazione globale: se siamo oltre il 60%, per dire, si rischia di essere già oltre il massimo introito possibile, e non è detto che ci sia un altro punto di massimo aumentando ulteriormente la tassazione.

 

Questo è è il punto che nel 99,9% dei casi è citato assolutamente a sproposito: chiunque può dire “le tasse sono troppo alte”, ma non è detto che questo sia una valutazione lafferiana, cioè non è detto che l’affermazione “se mi alzano troppo la $tassa ci saranno serbatoi vuoti, gomme a terra, portafogli vuoti, lavanderie nullafacenti, funerali, crolli, terremoti, inondazioni, cavallette”. (cit.) sia vera.Per fare un esempio, la famosa campagna contro la tassazione della prima casa trascurava il fatto che la tassazione stessa era assolutamente marginale sul singolo attore tassato, e non aveva quindi un effetto lafferiano (es. vendite massive di prime case) sul bene interessato.Ovviamente questo è successo anche perchè il bene tassato è necessario, ma come citato in altri articoli è il bene ad esserlo, non la modalità in cui è disponibile – in soldoni, è sempre possibile vivere in affitto.

 

In secondo luogo, la curva di Laffer è usabile per stimare l’ottimalità della tassazione, almeno a livello pratico, cioè la tassazione minima possibile che ottiene l’introito massimo possibile. Stimando questa quantità per il singolo tributo è possibile usare effettivamente la curva di Laffer, almeno in senso statistico.

 

La tassazione ottimale può anche essere definita come quella che produce meno distorsione dell’economia stessa, che è un concetto più accademico: ovvero “quanto posso alzare questo tributo senza cambiare sensibilmente le cose per chi lo deve pagare?” dove “cambiare sensibilmente le cose” significa che l’attore rinuncia a quella attività economica, per dire.

 

Per ultimo, la curva di Laffer può essere usata per ricordare che una minore tassazione potrebbe addirittura aumentare gli introiti :troll: , incentivando attività che potrebbero essere state scartate prima per il loro alto costo opportunità.

È però necessario considerare la tassazione globale, quindi inserendo anche costi che potrebbero essere trascurati ad una prima analisi. Un modo per farlo è considerando le tasse come percentuale del PIL.

 

Reaganomics

Per fare un esempio, tra il 1981 e il 1989 (presidenza Reagan) l’introito della tassazione rimase quasi costante in rapporto al PIL: dal 19% scese al 18.4%, ma come quantità aumentò quasi fino al doppio, nonostante come detto la percentuale di tassazione globale fosse scesa dal 70% al 31%.

Occorre però tenere presente che come detto, non ci sono pasti gratis: il reddito dei più ricchi nello stesso periodo praticamente raddoppiò, mentre per i più poveri aumentò marginalmente. In termini economici, il coefficiente di Gini aumentò di molto.

La cosa non è necessariamente negativa : gli indici servono per sapere rapidamente dove potrebbero esserci delle criticità, ma non è detto che sia necessario intervenire immediatamente. Ne parleremo comunque in una puntata successiva, se volete :)

 

 

Conclusioni

La curva di Khaldun-Laffer è un semplice strumento per valutare in termini macroeconomici la convenienza della variazione delle tasse. Il problema è che appunto agisce in termini macroeconomici, cioè esaminando la tassazione globale: non è quindi possibile usarla per previsioni puntuali, ad es. fare delle stime sulla variazione di un singolo tributo.

Può essere ragionevolmente utile solo per stimare se la tassazione globale è ottimale, nel senso del “minimo indispensabile”, ma si può essere più precisi esaminando il passivo dello stato patrimoniale :D

La sua utilità principale è quindi nel ricordarci che molte manovre puntuali sulla tassazione potrebbero avere effetti contrari a quelli desiderati, e occorre sempre valutare il sistema nel suo complesso, cosa che dovrebbe essere fatta da chiunque proponga una variazione (in più o in meno) di un qualsiasi tributo.

Grazie a @Nicholas per l’aiuto su quest’ultimo paragrafo 

[more]Se vi chiedete cosa vuol dire il cognome Laffer, sappiate che non sono riuscito a trovarlo :D

In compenso il suo nome, Arthur, deriva molto probabilmente dal celtico Arth Gwir, “orso coraggioso”.

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Fonti

 

Riferimenti

 

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