È il 12 Giugno 2014 quando una foto cruda fa capolino sulle dashboards americane di Facebook. La foto ritrae una bambina dal volto insanguinato, orribilmente deturpato. Ad accompagnare il sorriso deforme c’è una sola domanda: “Questa faccia ti sembra spaventosa?”

Il volto è della piccola V. (*), che a soli tre anni è stata azzannata dai cani del nonno. I morsi le hanno procurato numerose lesioni facciali e la perdita dell’occhio destro. La storia a lei legata risulterebbe, però, ancora più tragica.

Di ritorno da una clinica in quel di Jackson, nel Mississippi, la nonna accompagna V. a un KFC lì vicino. Ordinano un tè freddo (sweet tea) e una purea di patate – la nonna è convinta che V. sia capace di deglutire qualcosa di molle, nonostante il tubo.
Alcuni minuti dopo, il personale chiede alle due di allontanarsi.

Il motivo è presto detto: il volto della bambina spaventerebbe i clienti.

Profondamente irritata, la nonna decide di confidare la propria vergogna alla zia. La quale riversa tutto sulla pagina Facebook, quella con le cronache della guarigione di V.

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Ed è subito indignazione.

Gente con la bava alla bocca che urla contro l’aridità di cuore delle multinazionali, valanghe di insulti verso lavoratori “complici di un sistema”.

Fioccano le minacce di morte, si abbozzano i primi tentativi di un boicottaggio delle catene KFC.

Il post è così bene in vista da attirare l’attenzione dei giornalisti, i quali rincarano la dose cavalcando il sentimento antimultinazionalitico per qualche facile click. La storia trova eco in Italia con imprecisioni ancora più gravi – non nominerò alcun giornale in particolare, vi basti pensare che la maggior parte di essi parlava di “dirigenti” che cacciano la bambina da una “catena di pub americana”.
Voi non ci pensate, ma è con un’informazione così imprecisa che si alimentano gli stereotipi sulle multinazionali.

In compenso alla nonna e alla zia di V. non potrebbe andare meglio. Mosse dal buon cuore di chi è rimasto colpito, le donazioni diventano sempre più consistenti. Si fanno avanti dottori che promettono di operare la bambina addirittura gratis. Perfino la KFC, nonostante il danno all’immagine, decide di partecipare e versa 30.000 dollari.

Di lì a poco, all’apice della popolarità della storia, i fondi raccolti ammonteranno a 135.000 dollari.

Fin qui sembrerebbe una storia a lieto fine. La famiglia della piccola ha ottenuto i soldi, le cure sono ora a portata di mano e si potrà godere di un intervento di plastica facciale.

Siamo invece all’inizio di un “pasticciaccio brutto”, in cui la parte del leone è giocata dallo sfruttamento dell’immagine di un malato.

Poco tempo dopo il giro della notizia, la testata online Leader-Call.com pubblica alcune rivelazioni di una “talpa” che ha indagato sul caso. La fonte si dimostra attendibile e mette in chiaro alcune incogruenze.

Nessuna prova video

Prima di tutto, la nonna di V. ha affermato che l’incidente è accaduto il 15 maggio: non last week, come riportato dal post, bensì un mese prima dell’accaduto.

Quel giorno, entrambe erano al Blair E. Batson Children’s Hospital di Jackson, Mississippi. Gli unici KFC vicini all’ospedale in questione sono ubicati nel Woodrow Wilson Drive e nel Meadowbrook Drive.

Ebbene,

Surveillance videos show that at no time on the 15th were any children in the store who match the description of V[.]. The tapes were viewed in both the Meadowbrook and Woodrow Wilson KFC locations in Jackson, the source said. In hours of tape, the source said one small boy with his parents is seen, but they order food and leave the store. (Leader-Call.com)

Per i non anglofoni, le telecamere di sicurezza confermano che V. non si trovasse in nessuno dei due fast food. Le registrazioni parlano da sole: l’unico minore entrato in quell’ora in particolare prenota il suo pranzo, poi se ne va assieme ai genitori.

Nessun ordine
di patate e tè.

La nonna di V. ha affermato di aver ordinato “mashed potatoes and sweet tea per la bimba. Dopo aver controllato gli scontrini rilasciati quel giorno, si appura che

No orders were recorded to include mashed potatoes and sweet tea on the same transaction, or even the two items as part of a larger order on May 15. (Leader-Call.com)

Dunque, nessun ordine registrato quel giorno include purea di patate e tè freddo nella stessa operazione. Neppure in un ordine più grande fra quelli registrati il 15 maggio.

Un fast food vicino all’ospedale

Si tenga presente che entrambi i fast food della KFC si trovano in prossimità di un ospedale. Se fosse vera l’accusa della nonna, sarebbe un controsenso proprio in virtù della vicinanza a una struttura medica – i suoi clienti sarebbero per la stragrande maggioranza pazienti di quell’ospedale. In entrambi i locali, oltretutto, vi lavorano persone affette da disabilità fisiche o mentali, come per esempio la sindrome di Tourette.

Indirizzo inesistente

E ancora: la zia avrebbe invitato i fan della propria pagina a “inviare le proprie rimostranze” al KFC incriminato, cioè quello situato tra la State Street e la High Street, invitando così gli indignati a inviare là le proprie rimostranze. Il dettaglio non trascurabile è che il KFC ivi situato è chiuso da diversi anni.

In sintesi, la storia passa dal “caso di coscienza” a una gigantesca montatura allo scopo di racimolare dollari. Questa implicazione sarebbe provata da un exploit della pagina di crowdfunding dedicata a V.

La pagina è stata aperta dalla zia e dalla nonna il 28 Aprile, ma fino al giorno precedente allo j’accuse la famiglia aveva racimolato in tutto 595 dollari (fonte: DoubtfulNews.com).

Com’è logico, le due hanno tentato di difendersi su Facebook… lanciando un ulteriore atto d’accusa: “non credete ai media bugiardi”.

The article circling the web calling this a hoax is untrue. The article it self say the investigation is not complete. It is not over until KFC releases a statement. The media outlet running this story is not connected with KFC. The family has not asked for anything, a attorney is handling all the media publicity for the family pro bono. Please do not believe untrue media. I have personally watched this family go without to provide for V. They have not and would not do anything to hurt V. in any way. (Gawker.com)

L’articolo che gira sul web e che chiama questa storia “una bufala” è falso. Lo stesso articolo dice che le indagini non sono complete. Non è finita finché la KFC non rilascerà una dichiarazione. Gli organi di stampa che riportano queste notizie non sono affiliate con la KFC. La famiglia non ha chiesto nulla, un avvocato si sta già occupando delle dichiarazioni pubbliche pro bono per la famiglia. Non credete ai media bugiardi. Ho visto coi miei occhi cosa ha fatto questa famiglia per dare un futuro a V. Non vogliono né farebbero mai del male a V., in alcun modo.

 

KFC-sign

Per la “gioia” della zia, le dichiarazioni della Kentucky Fried Chicken non si sono fatte attendere. Così afferma il portavoce della KFC, Rick Maynard:

Like the rest of America, the KFC family has been moved by the story of V. injuries and recovery. After the alleged incident was reported to us, two investigations took place, including one by an independent investigator. Neither revealed any evidence that the incident occurred and we consider the investigation closed. (Leader-Call.com)

Come per il resto dell’America, la famiglia KFC è rimasta colpita dalla storia dei dolori di V., e dal suo recupero. Dopo che il presunto incidente è stato a noi riportato, sono state avviate due indagini, di cui una gestita da un investigatore privato. Nessuna delle due ha trovato alcuna prova che l’incidente sia accaduto, e consideriamo il caso chiuso.

 

A seguito di queste rivelazioni, sia la pagina Facebook che la raccolta fondi risultano disattivate. È vero, le indagini non si sono ancora concluse, ma quanto riportato è sufficiente per formulare accuse pesanti nei confronti delle due donne.

Nonostante la comprovata incongruenza, la KFC ha deciso di mantenere la donazione effettuata e pagare le spese mediche di V.

Come conferma Rick Maynard,

“We are committed to the $30,000 donation to assist with [V.’s] medical bills no matter the outcome.”

 

In conclusione, un vero e proprio caso mediatico dai risvolti grotteschi. Un raggiro vittimistico, un’autentica estorsione aggravata dalla volontà di spingere sul pedale dell’emotività.

E l’unica vittima di questo raggiro “a fin di bene” è la piccola V.

(*) Ho deciso di non scrivere il nome della bambina per rispetto nei suoi confronti. Questo caso ha visto apparire il suo nome fin troppe volte.