Questa anonima sigla identifica una piccola dinastia di motori a dodici cilindri che può fregiarsi di due vittorie assolute alla 24 Ore di Le Mans e può vantarsi di aver dato vita a quella vera e propria icona dell’automobilismo chiamata McLaren F1.
La famiglia di motori BMW S70 è composta da quattro evoluzioni del motore siglato M70B50, il primo motore a dodici cilindri della casa tedesca, del quale mantengono alcune caratteristiche fondamentali come l’angolo di 60° tra le bancate e l’uso della lega di alluminio per testate e monoblocco.
La base di partenza venne prodotta a partire dal 1987, aveva cilindrata totale di 4988 cc (alesaggio x corsa 84×75 mm) e sviluppava una potenza massima di 299 CV a 5200 giri/min. Disponeva di due testate a due valvole per cilindro con distribuzione a singolo albero a camme in testa (SOHC) e iniezione elettronica multipoint Bosch LH-Jetronic. Venne montato sui modelli 750i/750iL (E32) e 850i/850Ci (E31).
Lo sviluppo delle unità della famiglia S70 venne portato avanti dalla divisione M (BMW Motorsport), la divisione aziendale che si occupa dei veicoli da competizione.
S70/1
Sul primo motore della famiglia S70 vige ancora oggi il riserbo più assoluto da parte della casa.
Il motore venne realizzato nel 1990 per equipaggiare la versione più performante della Serie 8, denominata M8, che non venne mai commercializzata né presentata al pubblico.
S70B56
La seconda evoluzione degli S70 ebbe un destino migliore: equipaggiò il modello 850CSi dal 1993 al ’96.
La cilindrata complessiva fu portata a 5576 cc (alesaggio x corsa 86×80 mm), le testate rimasero a due valvole per cilindro SOHC ma fu aumentato il rapporto di compressione da 8,8:1 a 9,8:1 e la centralina elettronica fu sostituita con una più sofisticata Bosch Motronic.
La potenza massima raggiunse i 381 CV a 5300 giri/min.
A questo punto le cose cominciano a farsi dannatamente interessanti…
S70/2
Gordon Murray disegnò lo schizzo di una supercar a tre posti mentre attendeva il volo di ritorno dopo il Gran Premio d’Italia di Formula Uno del 1988 e lo propose a Ron Dennis.
Murray era l’ingegnere che aveva co-disegnato la McLaren MP4/4 che avrebbe vinto quindici Gran Premi di Formula Uno su sedici nella stagione 1988, portando Ayrton Senna al suo primo Mondiale. Dennis era il chairman della McLaren. Lo schizzo rappresentava l’idea di base di quella che sarà la “supercar definitiva”: la McLaren F1.
Ottenuta l’approvazione del suo progetto, Murray chiese alla Honda, allora fornitrice dei motori che spingevano le McLaren di Formula Uno, di realizzare un V12 con almeno 550 CV di potenza massima e un peso non superiore ai 250 kg.
L’ingegnere sudafricano insistette sul fatto che il motore non fosse sovralimentato in alcun modo perché sosteneva che i sistemi di sovralimentazione rendevano l’erogazione della potenza più complessa da gestire, mentre la F1 doveva essere una supercar facile da gestire anche per un normale automobilista.
Dopo il rifiuto da parte della Honda e quello della McLaren alla proposta della poco blasonata Isuzu, si fece infine avanti la BMW.
Il motore
La divisione M sviluppò la versione S70/2 adottando nuove testate a quattro valvole per cilindro e distribuzione a doppio albero a camme in testa (DOHC) con sistema di fasatura variabile (simile al VANOS montato sulle contemporanee M3). I supporti e gli alloggiamenti degli alberi a camme vennero realizzati in lega di magnesio e vennero montati nuovi pistoni in lega di alluminio.
Ognuno dei dodici cilindri venne dotato di un corpo farfallato, controllato dalla centralina elettronica, e di due iniettori: uno venne situato in prossimità delle valvole di aspirazione e agiva ai bassi regimi, mentre l’altro venne posto più a monte, all’interno del collettore di aspirazione, e agiva agli alti regimi.
Come nei motori da competizione, la lubrificazione divenne a carter secco, con due pompe olio. Anche il carter venne realizzato in lega di magnesio.
La cilindrata totale salì a 6064 cc (alesaggio x corsa 86×87 mm) e il rapporto di compressione a 11:1.
L’unità S70/2 arrivò ad erogare 627 CV a 7500 giri/min in questa prima versione, mentre nell’evoluzione montata successivamente sulle McLaren F1 LM arriverà a un massimo di 680 CV a 7800 giri/min.
Questi motori equipaggiarono le F1 dal 1992 fino alla fine della produzione nel 1998.
F1 GTR
McLaren sviluppò una versione preparata per le competizioni, denominata McLaren F1 GTR, equipaggiata con una versione del motore S70/2 depotenziata, per motivi regolamentari, a 600 CV tramite air-restrictor.
Questa versione, affidata a squadre private, debuttò alla 24 Ore di Le Mans nel 1995 vincendola, battendo prototipi costruiti appositamente per le competizioni endurance e portando al traguardo altre quattro vetture: in terza, quarta, quinta e tredicesima posizione. Nell’edizione successiva invece conquistò il terzo posto di classe GT1 (quarto assoluto) dietro alle Porsche GT1.
La F1 GTR vinse i titoli 1995 e 1996 del BPR Global GT Series, allora il massimo campionato internazionale per vetture GT, conquistando, rispettivamente, 10 gare su 12 e 7 su 11.
Nel 1996 due F1 GTR vennero schierate da un team privato nel campionato All Japan Grand Touring Car Championship (JGTC), modificate secondo il regolamento della classe maggiore (GT500). Al termine della stagione la F1 portò a casa il titolo grazie a quattro vittorie. Rimane tuttora l’unica vettura non giapponese ad essere riuscita nell’impresa.
S70/3
L’ultimo esponente della famiglia è una versione con cilindrata ridotta a 5990 cc del S70/2. Il decremento di cilindrata venne ottenuto diminuendo la corsa a 85,9 mm.
Si tratta dell’unità destinata alla F1 GTR versione 1997 (detta “Long Tail” a causa del vistoso prolungamento della coda per aumentarne il carico aerodinamico).
La diminuzione di cilindrata era dovuta al regolamento del nuovo Campionato FIA GT, sostituto del BPR Global GT Series, che prevedeva air-restrictor più stretti per i motori con cilindrata oltre i 5999 cc. Grazie a questo accorgimento il motore poté mantenere i 600 CV di potenza massima erogati dalla versione precedente.
Le McLaren F1 GTR conclusero l’edizione del 1997 della 24 Ore di Le Mans al secondo e terzo posto, ad un solo giro di distacco dal prototipo TWR-Porsche WSC 95.
Lo stesso anno BMW Motorsport schierò una propria squadra ufficiale nel neonato Campionato FIA GT, conquistando 5 gare su 11 e arrivando seconda nella classifica finale dietro alla Mercedes-Benz che conquistò il titolo con le CLK GTR, in pratica dei veri e propri prototipi da competizione.
BMW Motorsport
Alla fine della stagione ’97 gli uomini della divisione M si resero conto che le F1 GTR erano giunte al “canto del cigno” agonistico: la differenza di prestazioni a favore delle nuove GT Mercedes-Benz e Porsche poteva solo aumentare.
Maturò così la decisione di scendere in pista a Le Mans direttamente col marchio BMW, nella classe LMP1 riservata ai prototipi.
Per sviluppare il prototipo BMW V12 LM fu stretta un’alleanza con WilliamsF1, mentre per il motore la scelta non poteva che cadere sul glorioso S70/3.
Sfortunatamente il prototipo si dimostrò inefficiente dal punto di vista aerodinamico e del raffreddamento del motore: le due V12 LM schierate alla 24 Ore di Le Mans del 1998 furono entrambe costrette al ritiro dopo pochi giri.
I bavaresi non si persero d’animo e, sempre con il supporto del partner WilliamsF1, ridisegnarono completamente il loro prototipo ribattezzandolo V12 LMR.
Due V12 LMR debuttarono alla 12 Ore di Sebring del 1999 dimostrandosi subito competitive: nelle prime sei ore dominarono la corsa, poi una di esse dovette ritirarsi a causa di un incidente ma l’altra conquistò il successo finale.
Con queste premesse vennero schierate tre V12 LMR ufficiali alla 24 Ore di Le Mans dello stesso anno dove, contrariamente alla gara di Sebring, si sarebbero confrontate con i prototipi a carrozzeria chiusa della classe LMGTP (Mercedes-Benz CLR, Toyota GT-One, Audi R8C), cui il regolamento permetteva maggiore potenza massima, oltre che con le vetture della stessa categoria LMP1 (Audi R8R, Nissan R391): una delle edizioni con il maggior numero di grandi case automobilistiche schierate.
Nelle prime ore della gara le BMW si alternarono al comando con le Toyota, seguite da vicino dalle Mercedes-Benz che però furono costrette a ritirarsi a causa dello spettacolare decollo di una delle due CLR: il pilota risultò incolume ma la seconda vettura venne comunque ritirata per precauzione.
A quattro ore dal termine infuriava la battaglia tra la BMW numero 15, in testa, e l’unica Toyota superstite, la numero 3, distanziata di un solo giro.
Col vantaggio ridotto a soli 42 secondi (il giro più veloce della corsa fu segnato dalla stessa numero 3 in 3:35.052) in BMW si decise di far pilotare l’ultimo turno a Pierluigi Martini, ritenuto il più veloce dei tre coéquipier, mentre in Toyota si decise di rinunciare al cambio gomme per risparmiare tempo.
La scelta della Toyota non pagò: i tempi salirono a causa dell’eccessivo degrado degli pneumatici, fino all’esplosione di uno di questi, in pieno rettilineo, e alla conseguente perdita di tempo per le riparazioni.
Dopo ventiquattro ore, fu la BMW V12 LMR numero 15 a giungere per prima al traguardo, seguita dalla GT-One numero 3, mentre l’altra BMW superstite, la numero 18 affidata ad un team privato, giunse quinta.
BMW non si presentò all’edizione successiva della 24 Ore, preferendo continuare la neonata partnership con la WilliamsF1 nel Campionato del Mondo di Formula Uno.
La dinastia degli S70 lasciava le competizioni, per entrare di diritto nella storia dell’automobilismo
- BMW S70 (Wikipedia)
- BMW M70 (Wikipedia)
- McLaren F1 (Wikipedia)
- McLaren F1 GTR (Wikipedia)
- Super GT (Wikipedia)
- BMW V12 LM (Wikipedia)
- BMW V12 LMR (Wikipedia)
- 24 Ore di Le Mans 1999 (Wikipedia)