Le persone che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo sono quelle che lo cambiano davvero.
Jobs del quasi esordiente Joshua Michael Stern è il primo biopic cui va il difficile compito di raccontare la lunga e complessa storia della scalata al potere di Steve Paul Jobs dopo la sua dipartita.
NdItomi: c’è anche Pirates, ma diciamo che questo è il primo dopo la morte, ne arriveranno tanti altri.
Una vita intensa, dedicata sino all’ultimo minuto al proprio lavoro, frutto di una passione non tanto per l’elettronica quanto piuttosto per l’assoluta voglia di primeggiare su tutto e su tutti.
Questo è probabilmente il messaggio che il regista cerca di trasmettere nei primi minuti della pellicola, mostrando un orgogliosissimo Jobs presentare in anteprima il primo modello di iPod.
Da quel momento inizia un flashback che porta lo spettatore agli inizi della carriera di questo magnate informatico con l’abbandono del college, la costruzione per mano di Steve Wozniak della prima scheda Apple, la creazione della divisione Apple Computer per poi passare al bando del creatore e infine al suo nuovo ingresso trionfale e all’avvento dell’iMac.
Sono numerosi gli episodi significativi della vita di Jobs che volutamente mancano alla pellicola, il rapporto con la figlia è appena accennato e non c’è alcuna menzione delle problematiche coniugali o della malattia.
Manca del tutto l’incontro con Wozniak, mostrato semplicemente come una persona già nota a Jobs.
Anche le dinamiche interne alla Apple si susseguono ad un ritmo a dir poco forsennato che dà per scontati non solo i passaggi storici, ma anche quelli logici.
In più di un’occasione si avverte un senso di smarrimento e ci si trova obbligati a riflettere su quel che è visualizzato sullo schermo, ma è solo avendo letto l’interessante biografia di Walter Isacson che si riesce a cogliere tutto quello che la pellicola grossolanamente va raccontando.
Certo non è semplice attraversare per intero una vita intensa come quella del protagonista, ma se si è già a conoscenza dei tanti retroscena che hanno portato Jobs a compiere certe scelte, l’impressione è che questa pellicola sia stata oggetto di pesanti tagli e rimaneggiamenti, oppure che sia semplicemente il frutto di una sceneggiatura frettolosa.
La passione di Jobs per Bob Dylan trapela dai posters onnipresenti e dall’accompagnamento sonoro, mentre la complessità del suo ego, determinata dalla consapevolezza di essere stato adottato, viene sollevata in un paio di scene con una leggerezza che non dice assolutamente nulla.
Molto evidente sin dal principio l’egoismo del protagonista, mostratoci in tutta la sua spietatezza e aridità relazionale.
Vi sono poi altri pesanti difetti nella recitazione di Ashton Kutcher che imita la camminata e il gesticolare di Jobs con fare poco naturale.
Anche il make up dell’invecchiamento ha un che di posticcio e fa cadere abbastanza nel ridicolo l’introduziuone del film.
Il difetto più grosso è costituito dall’assenza di un vero e proprio amalgama generale nella trama
Pur non condividendo l’omissione di certi passaggi storici Jobs sarebbe potuto essere comunque un film migliore se solo si fosse prestata più attenzione nel rendere omogeneo e chiaro il progredire dell’evoluzione di questo personaggio, evitando tante “strizzate d’occhio” e badando di più ai contenuti.
Forse l’unica nota positiva si trova nella scelta del cast di comprimari che tutto sommato funzionano più che egregiamente e, eccezion fatta per Josh Gad, mostrano una discreta somiglianza con i veri protagonisti di una delle storie più rivoluzionarie dell’economina e dell’informatica.
Da pellicole come questa non si pretende il massimo realismo o la spettacolarità, ma semplicemente la scorrevolezza.
Si può rimanzare qualche passaggio così come sintetizzarne altri, ma l’importante è che il tutto fili liscio sino al’epilogo che per scelta del regista o dello sceneggiatore si sceglie di dare ad un determinato periodo della storia di un uomo.
Jobs pecca proprio in questo e risulta essere un lavoro mal riuscito, in cui viene data prova di una pessima recitazione del protagonista e di un’approssimazione della sceneggiatura che non permette allo spettatore di apprezzare alcune tappe fondamentali dell’evoluzioone informatica avvenuta per mano di uno degli industriali più eccentrici e creativi di sempre.
Pubblicato in contemporanea su Schermosplendente.