Ogni volta che il Grande Mazinga volava fuori dalla Fortezza delle Scienze, ogni volta che Miva lanciava i componenti, ogni volta che il Trider faceva evaquare il parco giochi, io mi chiedevo: ma perchè ‘sti cavolo di mostri attaccano sempre e solo il Giappone?

Ma oltre a pormi questa fatidica domanda (e molte altre, tipo: perché ‘sti nemici non mandano all’attacco dieci mostri tutti insieme? perché lasciano al robottone di turno il tempo per trasformarsi? ecc..) venivo al contempo rapito (e sedato) dai fantastici e mirabolanti combattimenti, dalla plastica agilità di quei colossi di ferro, dai rumori metallici che generavano le loro artritiche giunture, dai voli supersonici, ipergalattici,  iperterribili e fantaimpossibili: botte da orbi a più non posso (quasi-cit.-carpiata).

 

NdItomi: questa recensione è piena zeppa di spoiler, evitate di leggerla se non avete ancora visto il film.

 

Angel

Poi arrivò Evangelion, con il suo carico di emozioni profonde, spiegoni scientifici, risvolti biblici e risoluzioni tecniche all’avanguardia (tipo connessioni neurali per comandare un robot che deve rimanere attaccato alla presa della corrente…): e anche quella volta furono botte da orbi, palazzi a fettine e città in fiamme. Infine, dopo tanti anni, iniziarono a circolare sul web dei trailer di un nuovo film di Guillermo del Toro.

Del Toro: chi era costui?

Regista nato col sombrero ma adottato dagli ammerigani, è noto per films come Hellboy (orrendo secondo me) e Il Labirinto del Fauno (discreto).

Un giorno Guillermo decise che voleva dilettarsi in un film coi robottoni che menano mostri e spaccano le città. Di nuovo botte da orbi? Sarei tornato a farmi imbambolare da giganti di ferro e robottoni di menare?

L’ultima volta ci aveva provato tale Michele Baia, con tre, dico tre, osceni filmacci da miliardi di paperdollari, in cui dei mastodonti di pixel incomprensibili, facevano battaglie incomprensibili, con una trama incomprensibile e personaggi incomprensibili: la saga dei Transformers.

Dopo tale scempio di uno dei più bei ricordi della mia infanzia, vedere i trailer di questo  ‘Pacific Rim’ mi faceva venire la pelle d’oca, rievocando in me le emzioni provate quando vidi il film di Doom, o quando misi le mani su Duke Nukem Forever: tristezza a palate, come direbbe il caro Mariottide.

Ma poi mi convinsi ad andare al cinema: cagata per cagata magari mi faccio due risate, pensai. Nulla di più lontano dalla realtà.

Dopo Django Unchained, è stato il miglior film che ho visto quest’anno e probabilmente miglior film nerd 2013: ho passato due ore attaccato al megaschermo (no 3D per carità di Visnù) godendo come un bimbo in un gigantesco parco giochi.

Perché lo hanno etichettato come “cagata”?

Ma cosa c’è di così divertente e interessante in Pacific Rim? Perchè mi è piaciuto tanto? E perchè invece in tanti (anche nerd!) lo hanno etichettato come “cagata”?

 

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L’incipit di Pacific Rim è molto banale.

Iniziamo col dire che l’incipit di Pacific Rim è molto banale: enormi mostri detti “Kaiju”, provenienti da un altro mondo, arrivano sulla terra grazie ad un passaggio dimensionale apertosi in fondo al Pacifico.

I Kaiju sono stronzi e cattivi e vogliono farci a pezzi.

Inizialmente il genere umano li combatte a ciavattate ma poi vengono costruiti i “Jeager”, dei robottoni giganti (con piloti umani) che riescono a fare il culo ad ogni mostro che sbuca dalla faglia sottomarina.

La trama è sì banale ma ricalca e forse addirittura rende più complesso il classico canovaccio “Godzilliano-GoNagaiano”(!).

Del Toro è bravissimo nel presentarci con un’ introduzione riassuntiva  tutto quel che è successo dal primo Kaiju, fino alla decisione di smentallare i Jeager, passando per l’adorazione del pubblico verso i piloti dei robottoni (nuovi eroi venerati come rockstar), alle ricerche tecnologiche che hanno portato alla scelta di pitolare ogni robot con due piloti tramite un aggancio neurale, fino ai Kaiju che diventano fenomeno di costume e nuova linfa per il consumismo di massa (i mostri diventano parodie in TV e giocattoli nei negozi).

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In un secondo prologo il regista messicano ci mostra la genesi del nostro eroe, il pilota Becket che assiste impotente alla morte del fratello mentre pilotano il Gipsy Danger (ogni Jeager ha un nome di battaglia, un modello e una nazionalità, mentre i Kaiju hanno un nome e una categoria).

Costretto a pilotare da solo il mech (cosa ritenuta rischiosissima) si mette in salvo e giura di non pilotare mai più.

Ovviamente il “mai più” dura finchè il generalissimo Pentecost, personaggio strasferico nella sua impassibile autorevolezza (“Prima regola: non toccarmi. Seconda regola: non toccarmi”) non richiama il nostro eroe che come un novello Rambo Muratore, si era dato all’edilizia per dimenticare il suo passato.

A questo punto vengono messi in scena gli altri piloti comprimari, tutti iper-stereotipati e quindi da leccarsi le orecchie: la bella giapponesina Mako (dal passato traumatico, legata al generalissimo da qualche legame che viene svelato alla fine) che diventa co-pilota del vecchio Gipsy Danger e si innamora del bel Becket, una coppia disfunzionale padre-figlio incazzoso che pilotano l’australiano e nuovissimo Striker Eureka, e altri due team (due russi che sembrano Zangieff e il sergente Calhoun di Ralph Spaccatutto, e tre cinesi che pilotano l’unico Jeager con tre braccia).

Altri personaggi fondamentali e stupendi sono i due scienziati che studiano i Kaiju (una specie di Alan Turing zoppo in acido e un biologo schizzato con i Kaiju tatuati ovunque) e il contrabbandiere di resti di Kaiju, il tamarrissimo Hannibal Chau, protagostista del colpo di scena dopo i titoli di coda.

La storia prosegue tra gigantesche battaglie, incazzature, privazioni, lotte intestine, cancellazione di fondi, innalzamento di muri, ricordi che riaffiorano, amori che sbocciano, menti che si mescolano, bombe nucleari da far esplodere e l’umanità e l’amore che vincono su tutto.

Del Toro riesce a raccontare tutto ciò con semplicità, senza virare sul patrittismo, o sull’ecologista (anche se la spiegazione della provenienza dei mostri, sfiora l’argomento inquinamento).

Non c’è una morale di fondo, se non “l’unione fa la forza” e “siamo tutti fratelli, volemose bene”. Ma l’intento del film non è di certo quello di veicolare un messaggio profondo, di stupire con dialoghi metafisici o di sbalordire con personaggi iper-profondi.

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L’intento del regista è lo stesso di un anime con i robot degli anni ’80: divertire e intrattenere. E ci riesce alla perfezione.

I Jeager sono stupendi, meravigliosi, condensano in loro anni di fantasie tecno-erotiche:  da Mazinga Z a Diapolon, da Daitarn 3 a Terminetor, da Jeeg Robot a Macross, da Evangelion a Gundam, tralasciando per fornuna la pacchiana e inguardabile incarnazione (senza carne) di Micheal Bay, per la creazione di questi colossi viene preso il  meglio del passato e calato nel meglio della tecnologia visiva odierna, in un tripudio di fanta-giocattoloni così esagerati da sembrare credibili….

Non solo gli spettacolari combattimenti (volutamente spesso in acqua e sotto la pioggia, onde evitare il fastidioso effetto “armatura dei Cavalieri dello Zodiaco” che abbondava in Transformers) sono così spacconi e fracassoni da risultare realistici, ma ogni elemento del “ring”, ogni palazzo, ogni auto, perfino il maledetto giochino da scrivania che viene sfiorato dal pugno del robottone, è piazzato nel posto giusto al momento giusto, in una armoniosa orgia visuale.

In generale il film pesca a piene mani dall’immaginario fantastico-fantascientico cinematografico/cartoonistico/videoludico degli ultimi 30 anni.

Dall’esplicito richiamo a Godzilla e ai robottoni giapponesi come Gundam, Evangelion, Super Robot 28, e i capolavori di Go Nagai, passando per richiami meno evidenti come Robocop, Power Ranger, Pokemon, Terminator, Dragonball Z, Rambo, Top Gun, Warhammer 4K, Gorilla Force,  fino a citazioni quasi invisibili, come Ghostbusters, Ritorno al Futuro, Evolution, Matrix, Mass Effect, Starcraft, Street Fighters.

E questo è solo quello che ho notato io. Il tutto condito con effetti speciali allo stato dell’arte, una fotografia spettacolare e un ritmo degno di un videogioco.

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Vedere Pacific Rim è stato bello e appagante come giocare a Far Cry 3 Blood Dragon: non mi sono annoiato nemmeno un secondo, ogni istante è coronato dall’affiorare di un ricordo sopito e dal vedere concretizzata una fantasia ormai lontana. Ogni scena è un orgasmo nerd, ogni fottuto stereotipo (sia nei personaggi sia nelle situazioni) è fottutamente perfetto ed è incastrato perfettamente nell’immenso luna park creato da Del Toro.

Ovviamente ci sono anche dei risvolti negativi: con una trama un po’ più coerente (scientificamente, anche con la sospensione dell’incredulità a manetta, certe cose si accettano a fatica…), personaggi un pò più profondi (è il pegno da pagare per i fottuti stereotipi) e qualche “vero” colpo di scena (il finale è piuttosto scontato) sarebbe stato un capolavoro mondiale.

Questi sono i motivi per cui il film è stato anche soggetto a parecchhie critiche, anche dai grandi fan dei robottoni, che lo hanno trovato un fanservice privo di anima e di profondità.

A questi ultimi consiglierei di andarsi a riguardare qualche episodio di Getta Robot, e di ricordarsi quanto si infuriarono i fan con gli ultimi due episodi di Evangelion, così profondi che non c’era nemmeno un robottone che spaccava tutto: solo dialoghi!

Quindi almeno per ora, niente capolavoro. Ma il mondo può aspettare: io francamente me ne infischio (e mi godo questo).

 

 

 

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