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Evasione Fiscale: uno spunto economico

Evasione Fiscale: uno spunto economico

In questi giorni si fa di nuovo un gran parlare di evasione fiscale e paradisi fiscali. Premetto che ho seguito la cosa di striscio perché, onestamente, sono più stupito dall’acqua calda che dal fatto che le grandi aziende evadono.

Però è bello sentire che le immacolate Apple e Google, così come la malvagia Microsoft alla fine della fiera si comportano allo stesso modo: eludono le tasse.

Solo la menzione di queste tre aziende mi ha fatto sollevare il sopracciglio, quindi sono andato a cercarmi qualche dato.

Google tax_0

Ho trovato un articolo dell’Huffington Post ci sono un po’ di numeri, presi da un’interrogazione del senato degli Stati Uniti.

Se Microsoft non ha dichiarato profitti per 21 miliardi di dollari, evitandosi 4.5 miliardi di dollari di tasse. Apple ha fatto la stessa cosa su 34.5 miliardi di entrate e Google su 24 miliardi.

Alla fine alla Microsoft sono i più bravi (o forse sono quelli che guadagnano meno).

C’è però un’interessante commento di un repubblicano (interessante nel senso di stupido).

“This is perfectly legal tax avoidance,” Coburn said, arguing that the 35 percent corporate tax rate mandated by law is twice that of the average rate around the world. “They take advantage of every loophole we have created in the tax system. There is nothing heinous in that. Nothing illegal in that.

Nothing of heinous or illegal?

Bhe forse da un punto di vista strettamente legale ha ragione.

Ma il discorso tasse è un discorso più ampio di così, troppo ampio per affrontarlo in un solo articolo, in questo articolo invece volevo concentrarmi sulle posizioni di chi dice che eludere le tasse per le corporazioni che ci riescono è sacrosanto.

Hanno ragione?

 

 

Tasse, Economia e Libero Mercato.

Togliamoci subito il dente: si, hanno ragione.

Gli hipster wannabe comunisti e i grillini hippie andare subito nei commenti a flammare.

Gli hipster wannabe comunisti e i grillini hippie possono andare subito nei commenti a flammare, per gli altri cerchiamo invece di inquadrare meglio la questione.

Intanto parliamo di tasse sui guadagni aziendali e di tasse come leva competitiva, quindi lasciamo fuori il panettiere che non fa lo scontrino e l’imprenditore che paga in nero i neri di turno (o i laureati in architettura).

Questo perché chi evade al solo scopo di profitto personale non ha nulla a che fare con l’economia, si tratta di rubare, né più né meno e non sarà certo l’economia a giustificarlo.

Parliamo invece di quelle aziende che per loro fatturato, giro di affari e mercato di appartenenza possono usare l’elusione fiscale come leva competitiva.

Parliamo dell’evasione “legale”, ossia di magheggi legislativo-economici che permettono alle grandi corporation di non pagare il dovuto.

Allora evadere le tasse è reato, e meno male che sia così, ma qui parliamo di elusione, ossia di magheggi legislativo-economici che permettono alle grandi corporation di non pagare il dovuto ma non per questo di infrangere le legge mentre lo fanno, o meglio, di posizionarsi un situazione quantomeno dubbie.

Non è che Larry page non ha battuto scontrini per 24 miliardi di dollari e ha nascosto i soldi in una valigia che ha sepolto in Messico (anche perché sarebbero qualcosa come 50 metri cubi di denaro :D).

Google, come le altre aziende, si sono avvantaggiate di varchi legislativi e della liberalizzazione dei flussi economici che permette di dichiarare parte degli introiti in aree del pianeta dove la tassazione di tali introiti è vantaggiosa.

Oppure che hanno accumulato ricchezze in luoghi dove tali ricchezze non vengono conteggiate negli utili e quindi non vengono tassate.

Perché viene permesso loro? Il motivo è semplice, non si riesce a evitarlo.

Gli strumenti finanziari si sono evoluti molto più rapidamente di quelli legislativi, dagli anni ’70 – ’80 in avanti la deregulation neoliberista ha portato i paesi a varare leggi sempre più lassiste sui controlli relativi agli spostamenti di capitale.

Contemporaneamente la finanziarizzazione dei mercati (ossia la cosiddetta “economia di carta” quindi la sovrastruttura economica che ha poco a che fare con la reale produzione e scambio di beni ma più con la gestione dei finanziamenti e spostamenti di capitale in varie forme) ha messo a disposizione strumenti economici sempre più complessi capaci di evitare le normative vigenti in fatto di fiscalità.

Per dirla in breve: se vuoi pescare un economista che fa il furbo hai bisogno di un altro economista, non di un avvocato.

Questa situazione perdura tutt’oggi.

Nonostante la stretta dei controlli infatti mancano ancora, legislativamente parlando, sistemi in grado di individuare e tassare certe tipologie di utili, e le aziende se ne approfittano.

Approfittarsene, che ci piaccia o no, è loro diritto, lo Stato gli “permette” di farlo e loro lo fanno.

Ribaltiamo ora la visione in ambito aziendale: se io produco e vendo in un mercato libero, ogni cosa che ha un costo si ripercuote sul costo del prodotto finale.

In realtà con le tasse è un pelino diverso perché io vengo tassato se faccio utili, ma sono comunque soldi in meno, soldi che potrei usare per abbassare i costi produttivi del mio bene, ad esempio reinvestendoli in processi produttivi migliori.

Bene, se la quota di tassazione fosse uguale per chiunque saremmo a cavallo, ma se l’azienda X paga il 10% di tasse e l’azienda Y il 30% solo in virtù della diversa locazione dello stabilimento, l’azienda X ha un vantaggio competitivo, vantaggio che non è legato alla sua capacità di “fare meglio”, ma è legato al fatto che è “nata nel posto giusto”.

Quindi competitivamente io (azienda Y) ho uno svantaggio legato alla tassazione, se posso eliminare questo svantaggio “legalmente” allora non solo cercherò di farlo, ma, in quanto azienda che agisce in un libero mercato, è mio dovere farlo.

Mi spiace, hanno ragione, in teoria. Ma non è così semplice.

Analizziamo ora due casi.

Esiste un motivo economico per cui le aziende dovrebbero pagare le tasse (dal loro punto di vista)?
Esiste un motivo economico per cui le aziende dovrebbero voler pagare le tasse (dal loro punto di vista)?

 

Vediamo di scoprirlo.

 

 

Economia Integrata e Esternalità Negative

Lasciamo da parte il motivo “etico”, l’etica la lasciamo agli hippie (“cazzo di hippie, volevano cambiare il mondo con la musica” cit. mio fratello), c’è un motivo economico per il quale le aziende dovrebbero pagare le tasse?

Bhe stranamente si. Dobbiamo però alzarci in volo alto.

 

Creazione della Domanda

Le tasse servono ai governi per ridistribuire la ricchezza.

Questo può essere fatto in molti modi, ogni volta che lo Stato ci offre un servizio gratuito o a prezzo contenuto (sanità, trasporti, educazione) non ci sta dicendo nulla di diverso da “ehi, questa te la pago io, tu usa i tuoi soldi per comprare roba”.

Un paese con una tassazione efficiente permette una ridistribuzione migliore della ricchezza che a sua volta porta a un incremento della domanda.

Prevengo subito le obiezioni neoliberiste spinte, non stiamo parlando del taglio delle imposte ai patrimoni alti che, oltre a essere una tesi discutibile, non è il campo che si applica alle aziende.

Immaginate di avere 100 e volerlo distribuire per spingere l’economia, conviene dare 10 a 10 persone o dare 100 a 1 persona?

Ogni volta che un’azienda non paga le tasse sta diminuendo la capacità di spesa del mercato.

Ora, le aziende puntano sul cosiddetto free ride ossia “solo io gabulo, gli altri no e quindi mi avvantaggio”, se solo Google eludesse le tasse e tutti gli altri no, Google si avvantaggerebbe di una leva economica e, se nessun altro eludesse le tasse, allora non avrebbe nemmeno gli svantaggi di diminuire la capacità di spesa “scaricando” l’incombenza di sostenere l’economia sugli altri (esternalità negativa).

Ma se gabula uno perché gli altri non dovrebbero farlo?

A questo punto ad essere danneggiato è l’intero mercato interno, che si contrae riportando il danno a casa Google oltre che a tutti gli altri (magari anche a coloro che erano stati onesti).

 

Ambiente Economico

Ma esiste anche un secondo motivo.

Apple può anche dire “sono stata sfortunata a nascere in America, fossi nata nella Guyana Francese pagherei meno tasse” ma è un discorso senza senso, perché, guarda caso, nella Guyana Francese non ci sono aziende di informatica.

Le tasse in pratica sono il prezzo da pagare per aver avuto la possibilità di esistere e di essere diventate grandi aziende, nonchè il prezzo da pagare per continuare a esserlo.

Gli Stati Uniti detengono praticamente il monopolio informatico, Google, Apple, Microsoft e i loro amici si avvantaggiano di questo.

Gli Stati Uniti detengono praticamente il monopolio informatico, Google, Apple, Microsoft e i loro amici si avvantaggiano di questo: hanno reti di connessione veloci, industrie hi-tech all’avanguardia alle quali appoggiarsi, milioni di dollari di ricerca spaziale e militare con ricadute in termini di brevetti, un sistema educativo che sforna ingegneri i quali disegneranno il prossimo Nexus, un sistema legale rapido, una buona gestione dei brevetti, una società ricca e così via.

Tutta questa roba in economia è chiamata “ambiente”, un’ambiente è determinante per la nascita e la crescita di un’impresa, magari la Guyana Francese ha una buona tassazione ma non ha manco un’università o un ufficio brevetti degno di questo nome.

E l’ambiente dove sono nate queste grandi corporation e che permette loro di prosperare, è pagato con le tasse.

Lo Stato che le ospita e che ha permesso loro di esistere gli sta semplicemente chiedendo il conto.

Se loro non pagano è probabile che il futuro sia decisamente più scuro (banalmente meno investimenti in ricerca, meno laureati, un sistema legale meno efficiente, un’emorragia di aiuti e di crediti e così via), fondamentalmente un danno.

Anche qui vale la regola del free riding. E’ ovvio che se solo Apple non paga continuerà comunque ad avere i privilegi di un ambiente vantaggioso e insieme una leva competitiva vantaggiosa, ma questo a patto che tutti gli altri paghino.
Ma se non paga uno, perchè gli altri dovrebbero?

 

 

Pagare o non pagare that’s the question

Esiste invece un motivo per cui le aziende dovrebbero voler pagare le tasse?

No, ma esiste un motivo per cui dovrebbero preferire un mercato privo di distorsioni e quindi, indirettamente, un sistema di tassazione che non lasciasse scampo.

Pagare o non pagare le tasse è un classico quesito da teoria dei giochi, se vi interessa la classificazione corretta si tratta di un No Pure Strategy Equilibrium, ossia non c’è una scelta univoca che porta a un equilibrio di Nash ma la scelta dipende da cosa farà l’altro.

Eccolo qui.

 

Azienda

Stato Paga le tasse Evade
Controlla 0,5/-1 1/-1,5
Non controlla 1/-1 -1/1

 

Legenda: tasse pagate valgono 1 (quindi l’azienda perde 1 e lo Stato guadagna 1).
Il costo del “Controllo” è 0,5 e il costo della multa è 0,5.

Quindi, se io pago le tasse e lo stato mi controlla lo stato prende le sue tasse e io le pago.

Se io evado e lo stato mi controlla, allora mi tombina (mi prende le tasse più magari una multa).

Se io pago e lo stato non controlla, ci ho rimesso (potevo non pagare).

Se io non pago e lo stato non controlla allora ci ho guadagnato e lo Stato ci ha perso.

In una situazione simile l’azienda sceglie sempre “Evado” se sa che lo Stato sceglierà “Non controllo” e sceglierà “Pago” se sa che lo Stato sceglierà “Controllo”.

Le scelte di Stato sono speculari.

Ma questo è il comportamento ideale, nel mondo vero è molto diverso perché lo Stato non può fare sempre “Controllo” mentre l’azienda può fare sempre “Evado” quindi è avvantaggiata.

Quindi cosa può fare lo Stato? Ha due leve: o alza i controlli o alza il pegno.

Se io quel -1,5 di Controllo/Evado lo porto a -10 allora magari l’azienda ci pensa un attimo.

Ma è realmente fattibile?

Ad oggi l’evasione e l’elusione anche qualora fossero scoperte, vengono multate (l’elusione attraverso una tassa sul rientro del capitale).

Ma come per tutti i crimini ci sono dei massimali, un massimale è una brutta roba perché permette all’azienda di sapere quanto pagherebbe di multa e quindi permette all’azienda di farsi due conti su quanto convenga evadere e essere beccati.

E’ un mero problema di somme: se il biglietto del bus costa 1 euro, la multa 30 euro ma io becco il controllore solo una volta ogni 40 corse, allora mi conviene pagare sempre la multa.

E non è un ragionamento molto distante da quello che fanno le aziende, sotto un certo livello di controlli a molte di loro conviene pagare la multa quando sono prese piuttosto che pagare le tasse.

Inoltre siamo scuri che a uno Stato convenga affossare un’azienda con pene talmente severe da distruggerla e lasciare disoccupati i suoi lavoratori?

Forse no.

Ma ribaltiamo ora il punto di vista da parte dell’azienda.

Mi conviene davvero un mercato dove alcuni possono evadere e altri no?

Certo che no, perché se non faccio parte di quelli che evadono\eludono faccio parte di quelli che ci rimettono competitivamente.
In questa situazione alcuni possono sfruttare una distorsione del mercato che io non posso sfruttare e quindi sarò meno competitivo e non per colpa mia.

Magari sono un bravo manager, magari ho un’ottima idea, ma magari fallirò perché agisco in un mercato che permette vantaggi ad alcuni ed ad altri no.

E se io sono un’azienda dovrei volermi confrontare con gli altri sulle idee, sul management, sulle scelte e sui progetti, non sul fatto che alcuni pagano meno e altri più. Perché li io non ho controllo, è una decisione esterna a me e alle mie capacità, la subisco solo.

Io azienda dovrei volere un mercato controllato, perché è molto più probabile che sia un piccino che subisce piuttosto che una mega-corporazione che evade sfruttando stuoli di avvocati.

 

 

Conclusione

Le grandi aziende evadono, economicamente sono giustificate dal fatto che conviene loro farlo, almeno sul breve periodo, e le aziende raramente pensano al lungo periodo.

Le grandi aziende eludono le tasse, economicamente sono giustificate dal fatto che conviene loro farlo, almeno sul breve periodo, e le aziende raramente pensano al lungo periodo.

E soprattutto le aziende sono egoiste.

Non è una colpa, il liberalismo impone questo, inutile andare dalle aziende piagnucolando e dicendogli di pagare le tasse.

Ma proprio perché non possiamo aspettarci che lo facciano è compito degli Stati imporlo.

È vero che le aziende ci perdono sul lungo ma è compito dello Stato evitarlo perchè loro non lo faranno mai.

Il repubblicano in apertura dice una cosa vera “fanno bene a farlo” ma evita di aggiungere una cosa altrettanto vera “e noi faremmo bene a impedirglielo”.

Perché una tassazione è equa non solo in base a quanto chiede ma soprattutto se tale costo è pagato da tutti alla stessa maniera.

La leva competitiva esiste quando un’azienda riesce a pagare meno di un’altra, e quindi è invogliata a farlo. Ma le tasse non dovrebbero essere una leva competitiva, ed è compito degli organismi di controllo far si che non lo sia.

Un sistema di tassazione più equo nell’accezione “più controllato” può eliminare il vantaggio illecito che hanno certe corporation di evitare dei costi, vantaggio che altre aziende non hanno.

Anche il neo-liberista più sfegatato vi dirà che è compito dello Stato creare un mercato privo di forzature per chi vi concorre quindi, anche economicamente parlando, è quello che ci si aspetta che faccia.

Paradossalmente quindi le aziende dovrebbero volere più controlli e un mercato dove le tasse sono pagate da tutti, altrimenti potrebbero trovarsi non competitive per colpe non loro.

Come farlo?

Bhe qui abbandoniamo il campo del libero mercato e entriamo in altri campi.

Campi complessi, le multinazionali hanno ormai stabilimenti ovunque nel mondo, controllate e consociate, possibilità di spostare capitali dove fruttano e dove è vantaggioso investirli, e non fraintendetemi, è giusto che sia così.

Un singolo Stato, anche uno stato potente come gli USA non può vincere questa sfida da solo, serve un sistema comune.

È inutile che la Germania faccia una lista di paradisi fiscali da bastonare e l’Inghilterra no, significa solo rendere più competitivi gli inglesi.

Sono campi del diritto internazionale, e degli accordi tra Stati (ad esempio una tassazione funzionante ed equa per tutta l’area Euro, equa nell’accezione che si paga tutti), del diritto e del potere legislativo.

Ma sono anche campi in cui il diritto e lo stato sociale dovrebbero iniziare a far entrare in campo gli economisti, quando si vara una legge che può sembrare innocua (ad esempio eliminare la distinzione tra banche commerciali e di investimento, o inserire una tassa sui capitali azionari) magari un parere di tipo economico può aiutare (magari anche ascoltarlo oltre che chiederlo).

Perché se le aziende riescono ad eludere le tasse è solo perché le leggi sono fatte male.

Allora io posso indignarmi se Google non paga le tasse, ma la mia indignazione andrebbe diretta al legislatore che ha lasciato buchi normativi.

E io azienda dovrei indignarmi perché lo Stato sta avvantaggiando Google, e richiedere maggiori controlli.

Ma spesso prevale il desiderio o la speranza di poter essere un free rider anche io un giorno piuttosto che la consapevolezza che senza free rider sarebbe meglio per tutti.

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