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Guardava il mare, gli occhi semichiusi per sopportare il riflesso del sole sull’acqua. Riusciva a sentire gli uccelli marini che lanciavano i loro richiami, alla ricerca di pesci, tuffandosi nelle acque calme. Il sole era caldo sulla sua pelle, eppure non stava sudando. Si godette il calore, come se dovesse essere l’ultima volta.

Qualcuno lo chiamò dalla casa, dietro di lui, una strana sensazione di urgenza nella voce. Si voltò, ed iniziò a salire i gradini di legno, fino al balcone. Sentiva l’ombra degli alberi rinfrescargli la pelle lì dove il sole l’aveva scaldata, ma sembrava troppo, stranamente fredda.

Una volta sul balcone, notò il suo respiro uscire in sbuffi bianchi, e sentì quel lieve scricchiolio della neve schiacciata sotto i suoi piedi…

“Neve”, pensò “qui, in estate?”

Entrò in casa, dove tutto era ricoperto da neve e ghiaccio, e notò dei corpi sul pavimento, la pelle pallida, le bocche aperte nel silenzioso urlo della morte da congelamento.

“Che succede qui?”, chiese, a nessuno in particolare, la sua voce che lanciava riflessa dai muri.

Sentì di nuovo la voce chiamarlo, più forte questa volta.

“Stern! Avanti!”

All’improvviso, la casa iniziò a tremare, gli oggetti cadevano dalle mensole per rompersi al suolo. La voce lo chiamò di nuovo, più forte del terremoto che stava distruggendo la casa.

“Stern! È il tuo turno, uomo!”

 

La mente iniziò ad elaborare, ed aprì gli occhi. Angli, le labbra viola scuro dall’esposizione al freddo, lo stava fissando, tirandolo con la mano guantata.

“All’inferno, amico! Temevo di aver perso anche te!”

“Cazzo, fratello!”, rispose Stern in tono infuriato “La dormita migliore da quando mi sono arruolato, e tu l’hai rovinata!”, aggiunse, e poi con un sorriso “Dovrei ucciderti per questo affronto, ma ti risparmierò per il coraggio dimostrato dinanzi al pericolo!”

Ora ricordava tutto correttamente; era accampato nella neve, insieme ad Angli, gli unici due sopravvissuti dell’unità. La radio era ancora lì dove l’aveva lasciata.

“Ancora niente? Come sta il pacco?”, chiese, indicando la radio con un cenno del mento.

“La radio è silenziosa come il deserto, ma non altrettanto calda”, rispose Angli “e il pacco è ok, luce verde, ma le razioni sono scarse, molto scarse”, aggiunse.

“Allora mi sa che dovremo ricorrere al cannibalismo”, disse Stern con un ghigno “tieni un’occhio aperto quando dormi!”

“Uomo, mangiami, e te ne pentirai per il resto della tua vita!”, disse Angli, e rise, ma la sua risata fu interrota da una forte tosse.

“Ok, fratello, va a dormire ora, ne hai bisogno. Ti sveglierò per il prossimo turno”, disse Stern.

“Grazie uomo, ci vediamo fra qualche ora”, rispose Angli, stendendosi sotto la sua coperta termica. Si addormentò quasi subito, ed iniziò a russare.

“Grande”, pensò Stern “bloccato nel ghiaccio, con una radio silenziosa ed un cinghiale rumoroso al mio fianco, che può chiedere di più un essere umano?”. In realtà, era contento che Angli russasse; in questo modo si sarebbe accorto più rapidamente di qualunque problema.

 

Attese un paio di minuti senza far nulla, poi iniziò a smontare e pulire il fucile, per passare il tempo e stare sveglio. Eseguì i passaggi lentamente, sia per allungare il processo, che per lasciar circolare nuovamente il sangue dopo l’inattività.

Quando finì, si alzò in piedi e diede una rapida occhiata all’esterno della tenda, accertandosi che la camera d’equilibrio funzionasse correttamente.

Fuori la neve scendeva ancora, inesorabile, fregandosene di un’intero distaccamento di soldati smarritisi, la maggior parte morti. “Il destino è crudele, e la natura ha uno strano senso dell’umorismo”, pensò Stern. Tutto questo tempo nell’Esercito, per perdersi nella neve e morire, di fame o per congelamento, quello dei due che l’avesse preso prima, e solo per recuperare un tubo metallico?

Tornò dentro e controllò il contenitore. Venti uomini per una maledetta molecola, ed ora erano rimasti solo lui ed Angli, e forse nessuno li avrebbe trovati. La cura, bloccata qui con lui tra le nevi.

Controllò la radio. La batteria era ancora carica, anche se sarebbe durata solo un’altro paio di giorni in passivo, e l’antenna non aveva danni. Controllò l’orologio, attese alcuni minuti perché scattasse l’ora, ed accese la radio.

“A chiunque sia in ascolto, questa è una richiesta di soccorso! Siamo persi in una tempesta di neve, sta andando avanti da dodici giorni! Siamo alla fine delle nostre razioni! Siamo rimasti in due, da una squadra di venti! Se qualcuno è in ascolto, vi prego di venire in soccorso. Non possiamo comunicare la nostra posizione, in quanto non ne siamo a conoscenza, ma inviamo il segnale ogni ora, per cinque minuti, potete tracciarci.”, disse nel microfono, sperando che qualcuno sentisse il messaggio.

Attese i cinque minuti, poi rimise la radio in passivo, ed iniziò uno dei suoi esercizi mentali per rimanere sveglio. Il tempo trascorse, fischiettò qualche canzone della sua infanzia, e poi smontò nuovamente il fucile.

Allo scattare dell’ora successiva, accese di nuovo la radio e trasmise il segnale, più per abitudine che per convinzione. Dopo tutto questo tempo nella neve, ormai disperava che qualcuno ricevesse il messaggio.

Angli emise un gemito nel sonno, come se stesse sognando qualcosa di piacevole, e Stern lottò contro il desiderio di svegliarlo, per ripagarlo di un paio d’ore prima. Invece, prese un pacco di razioni dallo zaino, ed accese il fornelletto per riscaldare il cibo.

Le tanto odiate razioni da campo gli sembravano un banchetto ora, e diedero al suo corpo il tanto agognato calore. Quanto odiò quelle razioni in passato, e quanto avrebbe voluto averne di più ora.

Allo scattare della terza ora, lanciò nuovamente il segnale, e tornò ai suoi esercizi mentali ed al suo fucile. “L’Esercito non ha mai visto un fucile così ben tenuto”, pensò con un sorriso.

Fu allora che accadde l’inaspettato.

Dalla radio arrivò un crepitio, seguito da una voce attenuata.

«A chiunque stia inviando il segnale, siete ancora lì?», disse la voce.

Stern si lanciò sulla radio, e prese il microfono.

” Si! Si! Sono qui! Chi è là?”

«Sono il capitano Soders, Squadriglia Hell’s Divers, in ritorno da un volo di ricognizione, chi c’è dall’altra parte?», disse la voce.

“Hell’s DIvers”, pensò Stern, “che ci fanno qui fuori. e dove siamo finiti?”. Iniziò a dare calci ad Angli per svegliarlo.

“Capitano Soders, signore, non ha idea di quanto sia felice di sentirla!”, Stern quasi pianse alla radio. “Qui è il tenente Dagir della compagnia E, secondo battaglione, trecentoventunesimo reggimento Coltelli Volanti, seconda divisione forze speciali”, recitò quasi meccanicamente.

«Forze speciali?», chiese Soders, incapace di nascondere la sua sorpresa. «Figliolo, che diavolo ci fate qui fuori? Questa è zona contesa, e quasi radioattiva a furia di bombardamenti.», aggiunse.

Angli era ormai sveglio, e non poteva credere che qualcuno stesse parlando con loro alla radio. Si colpì la gamba con un pugno, e il verso di dolore che uscì dalla sua bocca gli confermò che non si trattasse di un sogno. Erano salvi, ed erano vivi!

“Signore, è una lunga storia, ed è classificata. Diciamo solo che siamo felici che siate qui, e le saremmo veramente grati se potessimo scroccarle un passaggio al comando locale, dovunque esso sia.”, disse Stern.

«Non preoccuparti, figliolo, sarai a casa in brevissimo tempo, e forse troverai anche qualcuno a cui raccontare la tua storia», disse Soders, e Stern poté già sentire il rumore dei motori, e vedere la tenda scossa dall’atterraggio di Soders.

Quanto amava la cavalleria dell’aria, e quanto amava essere vivo!

[CoolStoryBro] è la rubrica di Lega Nerd dedicata alla letteratura amatoriale.

 

Nota dell’autore

Chiedo venia se la qualità linguistica lascia a desiderare, normalmente non scrivo in italiano, ma in inglese, mi viene meglio (sarà perché penso in inglese?). Questo racconto breve l’ho scritto originariamente nella lingua di mamma Albione.

Se mi dite che piace, magari continuo a scrivere gli altri racconti/capitoli. Se non piace, almeno saprò che non è il mio mestiere.