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Batteri ingegnerizzati per combattere la malaria nelle zanzare

La malaria è una brutta malattia. Metà della popolazione mondiale è a rischio contagio e si stima in 1,2 milioni i decessi annui causati dal Plasmodium falciparum (foto sopra), l’agente eziologico della malaria.

Non riusciamo a debellare questa malattia per diversi motivi: mancanza di un vaccino, aumento della resistenza del Plasmodium ai farmaci, aumento della resistenza delle zanzare portatrici agli insetticidi.

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Il ciclo vitale del Plasmodium falciparum (immagine e video sopra) prevede una fase di colonizzazione della zanzara Anopheles femmina, per poi passare all’uomo. La trasmissione da malato a sano avviene solo attraverso la zanzara. Per questo motivo la strategia più usata per prevenire le epidemie è sterminare le zanzare coi pesticidi. Ma le zanzare si adattano/selezionano (e non si può inondare l’Africa, l’Asia e Milano di pesticidi, anche perché non fanno poi benissimo alle persone) e questo sistema sta diventando abbastanza inutile.

Le biotecnologie si prestano a suggerire nuove strategie, come il modificare la zanzara per renderla immune al Plasmodium (ne avevamo già parlato qui). Ma modificare la zanzara è difficile ed entrano in gioco questioni etiche sul liberare in giro zanzare ogm che poi ci mordono e diventiamo mosquitoman. E poi gli ogm non ci piacciono perché hanno i geni e se li mangiamo ci viene il cancro e preferiamo la zanzara biologica. E poi non si fa la sperimentazione sugli animali, povere zanzare!
La verità è che la zanzara ogm funziona bene in lab, ma in natura è leggerissimissimamente meno performante della zanzara wt, quindi soccombe alla selezione, in mezzo a millemilamiliardi di zanzare wt (come quasi tutti gli ogm, ma vaglielo a spiegare agli ambientalisti integralisti).

La nuova idea, sviluppata dai ricercatori del Johns Hopkins Malaria Research Institute, è contorta quanto geniale. Prendiamo un batterio simbionte (cioè che ci vive dentro tranquillamente senza fare danni) della zanzara anofele, il Pantoea agglomerans. Ci mettiamo dentro un gene per una proteina anti-parassita. Ne hanno testate svariate, ma le più efficaci sono: scorpine, un potente anti-plasmodio derivato dal veleno dello scorpione Pandinus imperator, e (EPIP)4, Plasmodium enolase–plasminogen interaction peptide, che previene l’infezione.

Per far secernere al batterio questi peptidi ci aggiungiamo pure il sistema di secrezione dell’emolisina A preso da E. coli.

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Trattasi di un sistema di secrezione di tipo I, formato da 3 proteine (HlyC e D nella membrana interna, TolC nella membrana esterna) che si assemblano in un poro che bypassa il periplasma. I peptidi da esportare sono stati clonati in fusione con il peptide segnale di HlyA, che viene riconosciuto dal sistema di secrezione e gli dice: “Ho il biglietto, fammi passare”.
L’apparato di secrezione è stato clonato in un plasmide a basso numero di copie, le tossine in uno ad alto numero di copie e inseriti entrambi in Pantoea agglomerans.

La presenza del Pantoea agglomerans anti-Plasmodium (con scorpine o (EPIP)4) nella zanzara riduce del 98% la proliferazione del Plasmodium falciparum e del Plasmodium berghei (che causa
la malaria nei roditori). Inoltre il batterio modificato non sembra avere nessun effetto sulla vitalità delle zanzare che lo ospitano.

C’è ancora molto da lavorare, ma è una strategia nuova, brillante e promettente.

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