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Ulver: the rest is silence

Ulver
the rest is silence

Il resto è silenzio: così, in questo modo un po’ pretenzioso riprendendo la frase finale di Amleto, chiudono i loro live questi (oramai non più tanto)ragazzi: senza un bis, senza una replica. Una volta che l’ultima nota dell’ultima canzone si è spenta sul telo dietro di loro appare quella scritta, e loro candidamente si siedono sul palco guardando il pubblico, ancora inebriato dall’esperienza appena vissuta, seduto sulle poltroncine di un qualche teatro in giro per l’Europa.
Ma torniamo un po’ indietro con gli anni …

Gli Inizi

Gli Ulver (che in norvegese significa letteralmente Lupi) sono una band nata nel 1993 durante il periodo d’oro del black metal dalla terra che forse più di altre ha reso famoso questo genere: la Norvegia.
Il primo disco in effetti è un puro esempio di black metal norvegese… Anzi no, già dalla prima canzone si nota che questa band aveva qualcosa di più da dire rispetto alla massa di gruppi fotocopia che in quegli anni spuntavano come funghi nelle terre del nord.
Così infatti si apriva il loro primissimo disco:

Disco che apriva, oltre che la loro carriera discografica, anche la prima fase stilistica della loro carriera, fase chiamata brutalmente, e secondo me in modo completamente sbagliato, Black Metal Trilogy.
Ho detto che secondo me chiamarla semplicemente “Black Metal Trilogy” è sbagliato per 2 semplici motivi:
1) Già dal primo disco si nota che il loro non era “semplice Black Metal”
2) Il secondo disco della trilogia è un album di Folk/Neo Folk acustico che poco si accosta con la violenza ed epicità che contraddistinguono il black metal stesso, come si può notare da questo pezzo tratto dal disco in questione: Ulver – Ulvsblakk .

Ma nel 1998 la svolta:
Il mastermind degli Ulver, Kristoffer Rygg conosciuto ai tempi come Garm, conobbe Tore Ylwizaker, compositore e architetto del suono norvegese, aumentando così la propria visione della musica che sfociò in un album che contaminava il metal con l’elettronica:
Themes from William Blake’s The Marriage of Heaven and Hell.

Non ho sentito questo album (shame on me, è l’unico che mi manca della loro discografia) e non mi dilungherò molto su di lui. Vi lascio solo un pezzo tratto dall’album in questione,sia per dovere di cronaca sia per capire la crescita artistica e l’evoluzione del gruppo : Ulver – The Argument, Plate 2

La metamorfosi

Nel 1999 la band dichiara:


Ulver is obviously not a black metal band and does not wish to be stigmatized as such. We acknowledge the relation of part I & III of the Trilogie (Bergtatt & Nattens Madrigal) to this culture, but stress that these endeavours were written as stepping stones rather than conclusions. We are proud of our former instincts, but wish to liken our association with said genre to that of the snake with Eve. An incentive to further frolic only. If this discourages you in any way, please have the courtesy to refrain from voicing superficial remarks regarding our music and/or personae. We are as unknown to you as we always were.

Dette queste parole, l’anno dopo sfornano un album che lascia i vecchi fan completamente disorientati:
Non solo il disco non è black metal, non è neanche Metal da qualsiasi parte lo si guardi.
Perdition city è un album minimale, elettronico, ambientale, a tratti chill out e neanche troppo velatamente IDM (Intelligent Dance Music). S V O L T A assoluta e totale. Inutile dire che il disco è un capolavoro (IMHO ovviamente):

Nel 2005 fanno uscire Blood Inside, la deriva elettronica diventa più marcata, ma lo stile cambia nuovamente in modo radicale dal disco precendente, non so bene descrivere il “genere” di questo disco e vi lascio al video ufficiale della canzone Operator che chiude il disco (piccolo consiglio: se siete di stomaco debole evitate di guardare questo video e cercatelo su youtube… io vi ho avvertito ;) )

Shadow of the… art rock

Nel 2007 un nuovo album, nel 2007 un nuovo cambio di genere, nel 2007 un nuovo capolavoro.
Esce Shadow Of The Sun , un album ambient ma allo stesso tempo rock, incredibilmente intimista. Vi lascio come esempio la prima traccia del disco Eos.

Nel 2009, dopo 15 anni di carriera, gli Ulver per la prima volta si esibiranno live al Norwegian Festival of Literature, facendo poi seguire un tour ( di cui il sottoscritto fu fiero partecipante in quel di Ravenna nel lontano Febbraio 2010 ndr).

Due anni dopo, due anni di concerti dopo, fanno uscire la loro ultima fatica, War Of the Roses.

Uno pensa di essere abituato a tutto, dopo 18 anni di rivoluzioni, dopo 18 anni di evoluzione di cambi stilistici e di capolavori uno si aspetta di tutto… tutto tranne War of the Roses.

War of the Roses è indubbiamente il punto più alto della loro carriera, è un album assolutamente completo, prende tutto quello che hanno fatto fin ora e lo amalgama in un unico concept album introdotto dalla seguente nota apparsa sul loro sito ufficiale:

2011 is the future, a Critical Geography, the new album of Ulver. The anthological presentation we’ve been hiding behind since Lillehammer is history after Warsaw

La mia esperienza personale con questo disco, dopo aver letteralmente consumato i precedenti lavori, è stata questa: metto il disco nel lettore, premo play, ascolto e penso “cos’è sta merda!”.

Questo però è un disco meno diretto dei precedenti (per quanto possano essere diretti album come Perdition City ovviamente) e commisi l’errore più grande: lo ascoltai su uno stereo.
Questo disco si può apprezzare solo in cuffia, va gustato e capito, dopo di che si capisce che è semplicemente l’ennesimo capolavoro di una band che non ha MAI sbagliato un colpo.

Ulver, The Rest Is Silence.

Fonti:
la discografia,
Wikipedia sugli Ulver,
sito ufficiale.
ringrazio @abbo per avermi dato il la con il suo precedente articolo su loro