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Si sente spesso parlare di desertificazione, ovvero il processo che porta un terreno gradualmente ad inaridirsi a causa di sfruttamento intensivo o cambiamenti climatici (effetto serra eccetera), e oggi andiamo a vedere una tecnica che permette di combatterla che è stata scelta dall’Africa Subsahariana per fermare il grande deserto.
Nella seconda parte esaminiamo il caso analogo italiano (in piccolo of course).
[title]La Grande Muraglia Verde[/title]
Allo stato attuale quasi i due terzi delle terre africane sono in stato di degrado nonostante gli sforzi dei singoli stati: questa riflessione ha portato la questione su un livello sovranazionale, in particolare per quanto riguarda gli stati che confinano col Sahara. Durante un incontro del CENSAD (la comunità degli stati sahariani e saheliani -subsahariani-) nel 2005 l’ex presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo ha formulato la proposta di una barriera verde per fronteggiare il deserto e il suo omologo senegalese Abdoulaye Wade l’ha fatta diventare realtà, battezzando il progetto della Grande Muraglia Verde (Great Green Wall). Nel 2007 l’Unione Africana ha adottato una risoluzione che ha dato il via allo studio e all’implementazione del progetto.
Questa fascia di vegetazione avrà una lunghezza di 7000 km da Dakar (capitale del Senegal) al Gibuti (quello staterello sotto l’Eritrea per intenderci) e una larghezza di 15 km; dovrà essere il più lineare ad esclusione degli ostacoli naturali come montagne, fiumi e città o luoghi sacri e percorrerà zone con precipitazioni annuali comprese fra 100 e 400 millimetri.
Ma non sarà una foresta unica, bensì affiancherà a zone di vegetazione un collage di diversi utilizzi del terreno, come parchi per la conservazione della fauna, riserve naturali e coltivazioni per soddisfare la domanda interna.
[title]Il caso italiano: Is Arenas[/title]
Sapevate che l’Italia era la casa del deserto più grande d’Europa? Ebbene si, fino agli Anni 50 esisteva in Sardegna il Deserto di Is Arenas (ora una spiaggia di 6 chilometri di lunghezza) corredato di dune che arrivavano a 70 metri di altezza e che spesso invadevano la strada che correva verso Oristano -da cui dista 20 km-. Nel 1951 fu avviato un processo di rimboschimento costato in totale 600 miliardi di lire (secondo un calcolo attualizzato) che impiantò prima siepi e Pino Domestico e successivamente negli anni 60 Acacie che sostituirono le siepi morte e che consentirono l’attecchimento dei pini con una spesa di dieci volte maggiore rispetto a un normale rimboschimento montano.
Il progetto fu anche oggetto di studio accademico nel resto del mondo e a quasi 60 anni dall’inizio dei lavori la pineta è fitta e delle dune non se ne ha più traccia a parte certi “fossili” di sabbia intrappolata in banchi nel terreno.
Pero’ negli Anni 60 succede un fatto che scandalizzò il mondo ecologista: un’ampia zona della Pineta viene venduta ad una società che inizia una speculazione edilizia che continua tuttora. Adesso la Pineta contiene un villaggio di seconde case e un mega impianto golfistico da 18 buche e può anche bastare così visto l’intervento della Commissione Europea nel 2005 che ha diffidato dall’attuare ulteriori progetti.
In Italia rimane solo un deserto, sempre in Sardegna, a Piscinas, vicino alla vecchia zona mineraria nell’Iglesiente.
Fonti:
[url=http://www.grandemurailleverte.org]GMV[/url]
[url=http://www.verdinrete.it/oristano/]Dossier su Is Arenas[/url]