Newton VS Goethe

Benvenuti alla seconda puntata di Colorama!
Per chi si fosse perso la prima, eccola qua :)

Eravamo rimasti alla fine del ‘600, con l’allora innovativa teoria della percezione di Descartes.
Accendete adesso il flusso canalizzatore della vostra DeLorean, impostate sui circuiti temporali un salto di una ventina d’anni, e preparatevi per un viaggio a tappe nel secolo successivo :)

L’ottica di Newton

Un nuovo approccio alla questione si ebbe nel 1704, quando con la pubblicazione del trattato “Optiks”, Isaac Newton presentò la sua teoria sulla luce e sui colori, descrivendo i principi che ancora oggi sono considerati alla base dell’ottica.

Fino ad allora si credeva che la luce fosse solo ed esclusivamente bianca, e che l’apparizione dei colori, quando essa colpiva certi oggetti, fosse una specie di processo di contaminazione che le cose terrene innescavano nella luce stessa.
Il sole, incarnazione del divino, poteva solo emettere una luce bianca, pura.

Col famoso esperimento del prisma, Newton dimostrò che la luce bianca era composta: poteva essere suddivisa nei diversi colori, e a partire da quelli, ricomposta.

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Facendo passare uno stretto raggio di luce attraverso un prisma, e proiettando la luce che ne fuoriusciva su uno schermo bianco, apparvero nitidamente i colori dell’arcobaleno dal rosso al violetto, lungo una striscia sfumata che egli chiamò spettro della luce.
Il prisma, infatti, rifrangeva la luce in modi diversi a seconda della sua lunghezza d’onda (che Newton definì “abbondanza” della luce).

I cosiddetti colori spettrali potevano quindi essere ricombinati, facendoli convergere attraverso una lente, in modo da riottenere la luce bianca di partenza.
Inoltre, se un singolo fascio di luce colorata fuoriuscente dal primo prisma, opportunamente isolato dagli altri colori, veniva proiettato attraverso un secondo prisma, esso manteneva il colore iniziale.

Schema dell’esperimento del prisma di Newton
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Newton giunse così alla conclusione che la luce bianca era una miscela di luci colorate, e che gli stessi colori degli oggetti che ci circondano erano legati al modo di reagire delle diverse superfici alla luce.

Pur riconoscendo i dovuti meriti, tuttavia, la teoria di Newton, non copriva molti aspetti della realtà, quali i cosiddetti colori non spettrali (ovvero che non appartengono allo spettro della luce: il viola e i suoi derivati), il cambiare dei colori al variare della luminosità, il contrasto simultaneo, la costanza percettiva, le ombre colorate, le immagini persistenti colorate, e tutta una serie di effetti ottici all’epoca (e pure su questa rubrica) non ancora scientificamente esaminati.

La teoria dei colori di Goethe

Tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800, fu il noto scrittore (e seppur meno noto, anche pittore) Johann Wolfgang von Goethe ad attaccare duramente l’ipotesi di Newton, nel suo saggio “Zur Farbenlehre” (Della teoria dei colori), dove mise in risalto la complessità del fenomeno cromatico, e l’ingerenza non trascurabile che in esso ha l’organo della vista.

Per Goethe, poeta e romantico, era inconcepibilmente riduttivo trattare in modo esclusivamente fisico qualcosa di vivo e di umano come i colori.
Egli sosteneva, evidenziando proprio alcuni dei punti non coperti dalla teoria di Newton, che una visione così meccanicistica della realtà non era sufficiente, e che bisognava cercarne una spiegazione nella fisiologia, nella psicologia, e nella spiritualità stessa dell’animo dell’osservatore.

Come in precedenza Descartes, egli ritenne che fosse l’occhio stesso il generatore dei colori, che senza di esso non sarebbero di fatto esistiti.
Se l’occhio, infatti, non avrebbe avuto ragione di esistere senza la luce, i colori erano ben più delle singole azioni della luce sugli oggetti.

Partendo da tale presupposto espose una dettagliatissima teoria, nella quale, rifacendosi al modello del suo contemporaneo Runge (che vedremo in una successiva puntata dedicata ai modelli cromatici), assunse innanzitutto anche il bianco e il nero al ruolo di colori, facendosi in tal modo carico anche del rapporto con luce e ombra.

[more]Goethe classificò quindi i colori in fisiologici, fisici e chimici.

I colori fisiologici erano i colori della luce stessa, che non avevano pertanto bisogno di mezzi per manifestarsi, e che tuttavia seguivano un modello sottrattivo (approfondiremo poi il concetto di sintesi sottrattiva in una puntata dedicata).
Escluse tuttavia dai colori fisiologici le gamme di grigio, e sostenne che le varie tonalità cromatiche si producevano dall’incontro di nero e bianco, in un processo di contaminazione del bianco da parte del nero.

I colori fisici, strettamente connessi ai primi, erano di questi la manifestazione concreta, che compariva quando la luce attraversava mezzi non dotati di un proprio colore, ovvero trasparenti.

I colori chimici, infine, erano proprietà materiali degli oggetti, e in quanto tali determinabili secondo precise procedure e leggi chimiche. Il giallo e l’arancione ad esempio, venivano generati dagli acidi, mentre il nero dalla combustione, e il bianco dalla trasparenza.

Suddivise inoltre i colori in attivi (giallo, arancio, rosso), e passivi (verde, azzurro, violetto): nei primi la luminosità si espandeva verso l’esterno, conferendogli così un’aurea di gioia e di energia, mentre nei secondi prevaleva l’ombra, poiché la luce rimaneva per così dire imprigionata al loro interno.

Ruota dei colori di Goethe
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Goethe si occupò anche dei fenomeni delle influenze reciproche dei colori, e delle ombre colorate. Evidenziò come uno stesso identico colore veniva percepito in modo diverso a seconda dello sfondo sul quale era posto (torneremo su questo punto più avanti, quando parleremo di contrasto simultaneo e contrasto successivo), e si rese conto anche di come l’occhio tendesse a vedere le ombre di un oggetto sul quale venisse proiettata una luce fortemente colorata, di una vaga sfumatura di un altro colore.

Utilizzando tutti questi argomenti come prova dell’impossibilità di una spiegazione esclusivamente passiva del colore, egli ritenne di aver confutato definitivamente la teoria di Newton.

Nonostante i suoi sforzi, tuttavia, la sua teoria rimase confinata nel limbo delle pseudoscienze, ma ebbe l’importante merito di mettere in risalto tutta una serie di anomalie e incongruenze, che le successive teorie percettive del colore avrebbero cercato di spiegare, come vedremo nella prossima puntata.
A presto! :)
 
 
Fonti:
Il colore dei colori“, Pietro Simondo, 1990
Dal pendolo al quark“, Ugo amaldi, 1995
Newton’s color spectrum
Scienza dei colori
Ombre di Goethe

[Colorama] e’ una rubrica a cura di @gigiopix sui colori e sulla percezione visiva.

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