Si apre ufficialmente la 74° Mostra del Cinema di Venezia e quest’anno l’apertura spetta al premio Oscar Alexander Payne con la sua commedia sofistica e al tempo stesso al limite del paradosso: Downsizing. Un’apertura che diverte e coinvolge la sala, ma senza stregare fino in fondo.

L’anno scorso, in questo preciso istante (o quasi), la critica italiana e internazionale, lasciava la Sala Darsena del Lido di Venezia, sognante e rapita. Era l’anno di La La Land, e ancora non si sapeva che quelle musiche, quei personaggi e quella storia avrebbero appassionato milioni di spettatori, diventando cult alla prima visione.

Quest’anno la 74° Mostra del Cinema di Venezia punta nuovamente sull’onirico, ma con una dimensione decisamente più sarcastica, a tratti cinica e per certi versi fatalista, che riesce a conquistare il favore del pubblico senza riuscire però veramente a fare centro.

 

Downsizing del regista, sceneggiatore e produttore Alexander Payne, apre la 74° Mostra del Cinema di Venezia. Primo film in concorso presentato alla critica del Lido che questa sera verrà visto anche dal pubblico, alla presenza del regista e di parte del cast, tra cui Matt Damon, Kristen Wiig e Hong Chau.

La pellicola si apre con un grande scoperta scientifica da parte di un gruppo di scienziati norvegesi. Dai colori brillante, dove il bianco padroneggia su tutto rappresentando una perfezione artificiale che si andrà a ripresentare come una costante contraddittoria lungo tutta la pellicola, e una simmetria quasi alla Wes Anderson, Payne ci mostra una delle più grandi “scoperte dell’uomo”: la miniaturizzazione umana.

Payne ci mostra una delle più grandi “scoperte dell’uomo”: la miniaturizzazione umana

È possibile, infatti, ridurre un corpo cellulare in scala da 2499 a 1, senza alcuna conseguenza fisica o mentale. Ridurre di così tanto il corpo di un uomo, vorrebbe dire ridurre nettamente i consumi, i materiali di scarico, gli sprechi e gli abusi su un pianeta già fortemente in difficoltà.

 

Downsizing

 

Nell’arco di dieci anni la miniaturizzazione diventa un vero e proprio stile di vita. Al di là dei grandi centri urbani dei “giganti”, si creano dei veri e propri complessi simili a metropoli, dove un capitale da 152 milioni di dollari equivale a possedere 12 miliardi di dollari.

Metropoli dove la povertà è quasi azzerata e la criminalità inesistente. Dove tutti posso avere una seconda possibilità dando un enorme contributo alla salvaguardia del pianeta.

Ma è davvero tutto oro quello che luccica? O, in questo caso, il bianco è davvero così bianco?

A credere che tutto questo sia possibile è il fisioterapista Paul Safranek (Matt Damon) che, insieme a sua moglie Audrey (Kristen Wiig), decide di provare questa nuova vita. Ma il processo di miniaturizzazione è più invasivo di quanto possa sembrare, e Paul si renderà conto che, forse, la scelta di diventare piccolissimo è stata il suo errore più grande.

Alexander Payne traccia con il suo Downsizing una storia tragi/comica, tra il sofistica e il paradossale, dove per metà del racconto siamo totalmente affascinati da questo magico processo che sembra conservare in sé unicamente aspetti positivi.

 

Eppure, durante tutto il corso della pellicola, lo spettatore ha sempre quella sensazione che non tutto può essere così perfetto. Una piccola suspense accompagna il racconto, aspettando da un momento all’altro la svolta sconvolgente della storia.

Payne traccia questa linea attraverso le sue scenografie bianco latte, la musica da walzer che accompagna i vari processi di “downsizing”, la compulsiva precisione dei dettagli e i sorrisi perfettamente forzati, oltre ai dialoghi di confronto tra uomini normali e uomini piccoli.

 

 

Downsizing

Matt Damon e il regista Alexander Payne sul set del film

A: È una comunità davvero sicura. Non esiste criminalità.

F: Ed è questo che ci preoccupa.

 

In verità la svolta della narrazione avviene gradualmente, e sotto forme differenti. Da una parte c’è l’inevitabile declino del pianeta terra, l’irreversibile destino dettato da secoli di abusi da parte dell’uomo nei confronti del proprio pianeta; dall’altra parte, invece, c’è l’impossibilità dell’uomo di abbandonare per davvero i suoi difetti. Grande o piccolo che sia, non ha importanza. I pescecane si nascondono ovunque, così come l’egoismo e l’ipocrisia, generando quel continuo circolo vizioso di frustrazione e malcontento.

In questo perfetto è il personaggio di Christoph Waltz, che toglie immediatamente la maschera dal fine positivo della miniaturizzazione. Il suo cinico sarcasmo, reso ancora più affilato dall’accento francese, o comunque marcatamente europeo, deridendo le trovate americane (che non fanno altro che confermare i limiti umani) definisce con maggior vigore la sensazione di impotenza che, invece, si trova a vivere pienamente il personaggio di Matt Damon.

Downsizing si muove, attraverso questi due personaggi, su un continuo filo tra sarcasmo e drammaticità, altalenato nella seconda parte dal personaggio di Hong Chau, una vietnamita attivista politica, rimpicciolita perché scomoda al governo. Nonostante il tremendo passato e il pesante presente della ragazza, è l’unica a scorgere, proprio nel dettaglio del piccolo, la bellezza dell’attimo, di quel qualcosa che adesso c’è e dopo potrebbe sparire per sempre.

 

 

A destabilizzare di Downsizing, rendendolo un film riuscito tecnicamente, coinvolgente per la storia e dialoghi, è proprio questo continuo spostarsi di Payne da una linea narrativa all’altra, senza mai trovare una stabile direzione.

 

Ci si continua a chiedere dove voglia davvero portarci il film e, alla fine, si rimane un po’ sospesi, lasciando sulla lingua quella punta di amarezza, quella sensazione di mancanza da non rendere l’apertura di Payne molto più che un “semplice film” in concorso, ma una storia che possa accompagnare, anche dopo, al di fuori della sala.

 

Downsizing sarà distribuito in Italia da 20th Century Fox, ma c’è ha ancora una data ufficiale di uscita in sala.

 

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