Le prime teorie del colore

Piccola premessa: forse non è il massimo iniziare con un primo post che è solo il primo di una serie di articoli, ma l’argomento mi sembrava troppo complesso per essere approfondito in una volta sola. Così ho preferito buttar giù una serie di articoli brevi sulle teorie del colore e sui modelli cromatici, parlando anche della loro evoluzione nel tempo. Spero che questo primo pilot piaccia abbastanza da giustificare le puntate successive di Colorama. :)

Possiamo far partire questa storia dagli inizi del ‘400, quando l’arte europea conobbe un nuovo impulso col Rinascimento. I primi studi sulla prospettiva di Piero della Francesca, la pittura scientifica di Leonardo e le altri correnti innovative dell’epoca contribuirono in modo notevole alla nascita di una nuova maniera di osservare la natura.

A differenza degli affreschi e delle opere medievali, le opere rinascimentali cercavano di replicare la realtà in modo verosimile, si cercavano nuove tecniche per ingannare l’occhio e per riprodurre la tridimensionalità del reale con i pochi colori della tavolozza. La crescita artistica, combinata con lo sviluppo scientifico scaturito dalla rivoluzione Copernicana, portò ad un’epoca di grandi sconvolgimenti culturali. Ci si iniziava a porre domande anche su fenomeni considerati fino ad allora ovvi, cominciando a comprendere che molte cose non erano affatto scontate come sembravano.

Il primo ad occuparsi scientificamente (nell’accezione dell’epoca della parola) dei colori, fu il gesuita francese Franciscus Aguilonius, nel suo trattato di ottica dal titolo “Opticorum libri sex” (I sei libri dell’ottica). La teoria di Aguilonius, che oggi potrebbe forse apparire banale, fu un primo tentativo di schematizzare qualcosa che, fino ad allora, era relegato al mondo delle impressioni soggettive: i colori. Per Aguilonius, la scala cromatica era formata da cinque colori semplici (bianco, giallo, rosso, celeste e nero), e da tre colori composti (arancione, verde, porpora). Il giallo era il colore più vicino al bianco, in quanto il più luminoso, ed analogamente l’azzurro era il più vicino al nero. L’arancio, il verde ed il porpora erano invece colori composti, formati da mescolanze di due colori semplici.

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Lo schema cromatico di Aguilonius fu applicato dal pittore Paul Rubens ed ispirò molto tempo dopo (come vedremo nella prossima puntata) il celebre scrittore J. W. Goethe, che ne trasse le basi per la sua teoria del colore.

Nel ‘500, gli esperimenti di ottica di Ioannes Keplero e di Galileo Galilei produssero i primi studi sul funzionamento delle lenti e dell’occhio, che si scoprì funzionare secondo lo stesso principio della camera oscura: l’immagine del campo visivo, messa a fuoco dal cristallino, si proiettava capovolta sulla retina.

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Fu il filosofo francese Descartes (Cartesio), ai primi del ‘600, ad ipotizzare una spiegazione al motivo per cui, nonostante ciò, percepiamo la realtà diritta e non capovolta. Egli fornì un modello approssimativo, nel quale il nervo oculare era collegato direttamente alla retina e dove è il sistema nervoso centrale che reagisce agli stimoli esterni percepiti, costruendo l’immagine della realtà così come la vediamo comunemente.

La teoria sui sensi di Descartes fu alla base della teoria percettiva di Young, che agli inizi dell’800 avrebbe rivoluzionato la scienza dei colori, e che vedremo in una puntata successiva, sempre che questa non vi abbia annoiato troppo :)

Fonti:
Il colore dei colori”, Pietro Simondo, 1990
Gestiondescouleurs

[Colorama] e’ una rubrica a cura di @gigiopix sui colori e sulla percezione visiva.

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