Gasaraki di Ryousuke Takahashi

Ryousuke Takahashi è uno dei pochi registi anime che non è esagerato definire leggendari. Creatore, con Dougram e Votoms, delle prime “vere” serie Real Robot della Storia (il mitologico Mobile Suit Gundam ne aveva enunciato solo la base teorica), l’allora 40enne regista conoscerà un successo man mano sempre maggiore, legando presto, come il collega Tomino, il suo nome al genere robotico “adulto” e sopratutto alle storie con background militari, veri e propri campi tematici e narrativi da lui prediletti (suo è lo script del Gundam più realistico di sempre, lo 0083).
Dopo il Real fantascientifico di Votoms e l’ibrido Real-Super Layzner, Takahashi arriva così, nel 1998, a chiudere il cerchio: dopo aver inventato il primo Real della storia, dirigerà anche l’ultimo. Nasce Gasaraki, il punto di non ritorno, il Real robot definitivo perché l’unico a non poter essere superato.

Inizialmente ambientato durante un inedito conflitto armato nel deserto, ispirato alla guerra Iraq-Iran, Gasaraki mostra i mecha più realistici che siano mai stati concepiti in animazione, gli unici che il Giappone sarebbe probabilmente capace di progettare anche nella realtà: i Tactical Armor. I TA sono delle vere e proprie armature robotiche alte due metri e mezzo capaci di contenere scomodamente al loro interno un pilota, equipaggiati con i massimi ritrovati militari odierni (fucili, mitragliatori, missili, radar, occhiali a raggi infrarossi e a rilevazione termica) e dotati di uno speciale sistema di movimento che permette loro di correre o arrampicarsi. Visivamente spettacolari, queste minacciose macchine di guerra vantano un aspetto meccanico dal realismo estremo, merito di un accuratissimo e meticoloso mecha design.

Il 1998 sarà anche l’anno dei pipponi mentali, in casa Sunrise: dopo il bel Brain Powerd, inno alieno alla figura femminile e metafora tominiana definitiva sulla difficoltà di comunicazione, Takahashi e Sunrise tirano fuori un vero e proprio monumento all’austerità tecnica e narrativa. Gasaraki, molto più che qualsiasi altro anime mai girato, si avvicina a certi secchi stili di regia propri di autori come David Lynch (Strade Perdute), aborriti dallo spettatore medio.

Pur mescolando mistico e reale, Gasaraki è, massimo pregio o difetto, realismo allo stato puro: nei dialoghi, eccellenti e verosimili; nel complesso background politico-economico su cui si basa l’intera storia (caldamente consigliato un ripasso sui rapporti internazionali tra Giappone e USA); nella freddezza di tutti i personaggi, chiusi in se stessi. Il tutto è diretto in modo totalmente distaccato e lentissimo con brani musicali quasi nulli, condotto attraverso sguardi silenziosi, semplici effetti sonori, inquadrature immobili e lunghissimi e interminabili dialoghi vertenti su terminologie militari, economiche, filosofiche.

Gasaraki si può definire un lunghissimo monologo. Non vi affezionerete ai personaggi, perché Gasaraki sviluppa una storia reale dove i suoi attori si comportano realisticamente: freddi, impenetrabili, parlano poco e spesso tacciono del tutto. Non vi è alcun tentativo di tridimensionalizzarli, caratterizzarli o farli immedesimare dallo spettatore, perché la vicenda non è concepita come una storia di fantasia. I numerosi protagonisti sono così alieni che le poche volte che li vediamo far qualcosa è perché questa loro azione permetterà di far avanzare la trama.

Ancora di salvezza in questo “mortorio” è sicuramente la cura suprema per l’aspetto visivo e le animazioni, merito di un comparto tecnico da paura: le movenze di mecha e personaggi, unite al già citato mecha design e a un chara molto gradevole, si risolvono in sequenze di fortissimo impatto cinematografico, vertenti sopratutto nelle scene d’azione che hanno per protagonisti i TA o i mostruosi Kugai. Aggiungiamoci quindi la vice-regia di Goro Taniguchi, il golden boy giapponese che pochi anni dopo si guadagnerà il titolo di miglior regista anime moderno, il cui contributo qui si vede sopratutto nel continuo rimaneggiamento di immagini nella meravigliosa opening Message #9, fantastico e misticheggiante brano trip hop.

Alla luce di tutto questo, mai come in questo caso il voto finale della recensione è inadatto a essere espresso con banali numeri: a dispetto delle sue qualità, Gasaraki, come avrete capito, non è assolutamente per tutti.
Lo spettatore medio lo troverà, non a torto, un’inumana mattonata sulle palle, la serie più lenta e devastante mai concepita, e lo abbandonerà dopo due o tre episodi. I pochi che sapranno apprezzare lo stile di regia e il modo in cui è concepita la storia, potrebbero trovare in esso forse uno dei più grandi capolavori animati di sempre.

Indubbiamente, per l’ultimo vero grande successo di Takahashi, l’aggettivo “avveniristico” è completamente meritato, e questo è un punto a suo favore sui cui non si può transigere. Un giorno, forse, si arriverà addirittura a reputarlo epocale.
Il problema è la mentalità odierna, e Gasaraki molto difficilmente si può (e sopratutto, si riesce) consigliare: relegato soltanto alle poche elite che riusciranno ad amare la sua originale e rivoluzionaria struttura narrativa, il giocattolo di Ryousuke Takahashi è uscito troppo in anticipo sui tempi e, pur campando di intriganti e suggestive atmosfere misticheggianti e tecnologiche, in più riprese la sua lentezza eccessiva riuscirà a raffreddare anche i più entusiasti propositi.
Sta quindi alla vostra personale sensibilità riuscire a vedere e, quindi, stroncare o idolatrare, Gasaraki: l’unica cosa assolutamente certa è che il finale infarcito di fighetterie filosofiche (probabilmente ispirate all’élan vital di Henri Bergson), a suo modo banale, si poteva forse evitare.

Fonte: AnimeClick