Un anno fa eravamo tutti attoniti di fronte a L’esorcista del Papa, un film che fin dal poster trasudava comicità horror involontaria nel ritrarre Padre Gabriele Amorth (realmente esistito) in groppa alla sua vespa davanti al Colosseo: stereotipo, questo sconosciuto. Eppure il film ci aveva sorpreso, a suo modo, per vari motivi. Ora ci ritroviamo un anno dopo ad avere di nuovo a che fare, per una serie di strane coincidenze e suggestioni, con Russell Crowe e le possessioni, ne L’esorcismo – Ultimo atto, il film distribuito da Eagle Pictures al cinema dal 30 maggio, che – udite udite – non è uno spin-off/sequel del precedente. Anzi, non c’entra proprio nulla. Com’è possibile? Andiamo a scoprirlo nella nostra recensione.
Una trama in barba all’esorcismo
Vorremmo scambiare quattro chiacchiere con Russell Crowe in questo frangente anche solo per chiedergli come si sia ritrovato nello stesso tipo di storia a un anno di distanza, in cui però la trama non ha niente a che fare con quella del film precedente. Qui siamo su un finto set cinematografico, fin dalla prima sequenza. Anthony Miller (Crowe) è un attore in declino, reduce da un brutto periodo in cui ha perso la moglie a causa del cancro, si è gettato a capofitto nell’alcol e nelle droghe per poi andare in riabilitazione e rimettersi in sesto: ora è pronto per provare a recuperare un rapporto con la figlia adolescente, cacciata da scuola, che lo chiama per nome e non “papà”.
Lui le propone di farle da assistente sul set del suo nuovo film, che dovrebbe servirgli da ritorno alla ribalta e che è una sorta di remake di un vecchio cult horror (per strizzare l’occhio al presente dell’audiovisivo). Sul set dove è stata ricostruita la casa al centro della storia e dove lui interpreta un prete esorcista tormentato dai demoni del proprio passato (vi ricorda qualcosa?), iniziano ad accadere strani incidenti che sembrano renderlo maledetto. Inoltre, Tony inizia a cadere in una spirale auto-distruttiva sempre più lampante ma, se tutti danno la colpa ad una ricaduta nella dipendenza, la figlia e il “vero” prete consulente di produzione (nientemeno che l’ex Niles di Frasier David Hyde Pierce) iniziano a farsi un’altra idea.
Un horror come tanti altri, anzi peggio
Senza essersene mai davvero andato, il genere horror d’intrattenimento ha avuto un vero e proprio ritorno alla ribalta negli anni post pandemia, per riportare in sala gli appassionati con tante storie che provassero a rinverdirlo e a giocare con topoi narrativi non ancora esplorati. Oppure tentassero di riproporre in modo nuovo alcuni classici come gli esorcismi, che già la saga di The Conjuring aveva provato a recuperare. L’esorcista del Papa offriva, seppur in uno sviluppo tragicomico e apparentemente frivolo, una riflessione sul ruolo della Chiesa nel corso dei secoli e delle varie persecuzioni e guerre sante, ribaltando il ruolo di Dio e del Diavolo.
In questo film horror invece, a fronte ad un ottimo spunto di partenza, sceneggiatore e regista se ne dimenticano dopo pochi istanti. Se fin dalla prima scena infatti è chiaro il senso meta-cinematografico di quanto stiamo vedendo, “svelando” alcuni trucchi del mestiere ai meno esperti ed appassionati tra il pubblico nel corso della pellicola, poco dopo tutto questo potenziale non viene sfruttato a dovere: né l’idea di un set maledetto né il significato ultimo del possibile demone presente tra quelle mura.
Non basta Russell Crowe
Il carisma di Russell Crowe – qui, rispetto a L’esorcista del Papa, diciamolo, sotto le scarpe, forse anche per colpa del personaggio che interpreta – a salvare una pellicola piena di insicurezze ed incertezze, che non ha mai ben chiaro né dove vuole andare a parare né che tipo di horror vuole essere: se familiare, se meta-testuale, se ancorato alla Fede oppure ad altre realtà da analizzare al microscopio. Non basta nemmeno la bravura di David Hyde Pierce, la cattiveria di Adam Golberg nei panni del regista, e non aiuta l’essere fortemente respingente di Ryan Simpkins (la figlia), ancorata ai più classici cliché adolescenziali, e nemmeno il fascino di Chloe Bailey (celebre cantante negli Usa e sorella di Halle, la Sirenetta live action), qui co-star nel film-nel-film. Un cast sicuramente non sfruttato a dovere, a partire da Sam Worthington, che veste i panni di un attore giovane che ammira il lavoro di Anthony e lo vede come un mentore.
Risultato di un trauma
Peccato che lui non possa essere il mentore (o il padre) di nessuno e che in passato abbia vissuto un forte trauma che gli ha condizionato l’intera esistenza. Un trauma è spesso un potenziale veicolo per i demoni e per le possessioni e L’esorcismo – Ultimo atto (che quindi nel titolo non gioca con un ultimo appuntamento con il Diavolo ma con un ultimo atto da mettere in scena) prova a riflettere sulla Fede in cui i protagonisti, per vari motivi, hanno smesso di credere. Peccato lo faccia anche in questo caso malamente, senza approfondire veramente le motivazioni (come quanto accade fin troppo spesso nella Chiesa tra sacerdoti e chierichetti) e le sue implicazioni sulla psiche umana da adulti.
Anche la messa in scena lascia perplessi, con pochissime sequenze realmente horror che aumentano solamente nell’ultimo atto (per l’appunto) e che oltre a riprendere stilemi visti e rivisti, lo fanno in modo poco convincente e stanco. Lo stesso accade alla recitazione degli interpreti, che soprattutto nel rapporto padre-figlia non riesce a coinvolgere come dovrebbe. Nulla sembra riuscire a salvare questa baracca horror, che cade a pezzi perché non c’è molto su cui aggrapparsi, come se le fondamenta fossero rimaste spoglie. Sipario.
Chiudiamo la recensione de L’esorcismo – Ultimo atto confermando come si tratti di un horror che aveva delle idee interessanti a livello di potenziale, come l’aspetto meta-cinematografico della vicenda e il ruolo della Chiesa e della Fede nelle nostre vite, per abbandonarlo altrettanto presto senza concentrarsi davvero su nulla, caratterizzazione dei personaggi e sequenze horror comprese. Che spreco con quel cast, così svogliato e stanco a partire da Russell Crowe che nemmeno riesce a trasudare carisma come al solito.
- Il carisma di Russell Crowe e David Hyde Pierce, che però qui non è al 100%.
- L’idea meta-cinematografica del racconto e del set potenzialmente maledetto.
- I traumi infantili e ciò che la Chiesa a volte fa in abuso di potere.
- … tutte idee rimaste tali, sviluppate poco, male e senza approfondimento.
- Le performance degli interpreti, davvero svogliate.
- La regia che riprende stilemi visti e rivisti negli esorcismi horror, in misura molto minore.
- Se solo fosse stato uno spin-off de L’esorcista del Papa...