La prima stagione di True Detective oramai dieci anni fa su HBO ha segnato un prima e un dopo nella serialità televisiva, soprattutto quella di genere crime-poliziesco-thriller. Dopo due stagioni successive altalenanti che hanno diviso tanto il pubblico quanto la critica, la serie “a sorpresa” torna con un quarto ciclo di episodi (questa volta sei, due in meno dei precedenti) dal 15 gennaio in esclusiva su Sky Atlantic e in streaming su NOW in contemporanea con gli Usa, che prova a replicare la formula del ciclo inaugurale ma spostando tutto su un punto di vista femminile, tanto davanti quanto dietro la macchina da presa. Solamente un modo per rimanere al passo coi tempi, tra inclusività e rappresentazione, oppure un reale pretesto per raccontare qualcosa di nuovo partendo dal vecchio? Scopriamo nella recensione di True Detective Night Country.
True Detective numero 4
La trama di True Detective Night Country sembra riprendere ciò che aveva fatto la fortuna di quel quartetto Matthew McConaughey / Woody Harrelson e Nic Pizzolatto / Cary Joji Fukunaga, che già utilizzava il genere per parlare di misticismo e religione, pur passando attraverso un caso che non solo devastava letteralmente la coppia improvvisata ed improbabile di detective protagonisti (mostrando ancora una volta come il lavoro destabilizzi e deteriori chi vive di pane e crime) ma si affidava prevalentemente al true del titolo, quindi al tangibile, al provabile con i fatti. Eppure spesso – la storia ci insegna – il fanatismo religioso porta ad atti indicibili nel nome della fede, che viene confusa con ossessione. E non tutto si può spiegare.
Una sorta di reboot ma anche di continuazione – le famose spirali già apparse sui social come indizi – la quarta stagione di True Detective prende quel format e prova a replicarlo, questa volta declinandolo. Se già nel terzo ciclo era stato fatto con la comunità black, questa volta si passa alla visione femminile e alla comunità nativo-americana dell’Alaska, stato scelto per ospitare le nuove puntate. Uno stato di confine, già raccontato di recente in Daily Alaskan, e per questo incrocio di culture, a volte anche in modo belligerante, uno stato impervio ed in parte inospitale dove chi viene mandato prende il trasferimento come una punizione per le difficili condizioni di vita quotidiane e stagionali. Proprio come succede alla detective interpretata da Jodie Foster, alla sua prima esperienza seriale e che ritrova quel tipo di ruolo tanti anni dopo la sua Clarice Starling ne Il silenzio degli innocenti.
Night Country
È la prima volta che True Detective ha un sottotitolo che la connoti e non è una scelta casuale. Il Night Country del titolo non vi sveliamo cosa sia per non fare spoiler, ma possiamo dirvi che tutto parte dal fatto che in Alaska (in questo caso a Ennis) ci sono vari giorni di buio, una “lunga notte” come quella del proverbiale mondo delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Ancora una volta – come già successo in The Terror, The Head, The Rig avendo in mente sempre La Cosa come riferimento primario – le indagini partono dalla sparizione di otto uomini che gestivano la Tsalal Arctic Research Station, scomparsi dalla stazione nell’Artico senza lasciare alcuna traccia. Il caso porterà le due detective a dover fare di nuovo squadra dopo che si erano allontanate molti anni prima, a riaprire vecchie ferite e un vecchio caso che le ossessiona, e soprattutto a guardare dentro ai segreti della cittadina di Ennis e delle proprie case e famiglie, altamente disfunzionali.
Jodie Foster e Kali Reis sono quindi i nuovi Matthew McConaughey e Woody Harrelson: due donne indurite dalla vita, testarde, determinate, dallo sguardo fulmineo e spesso corrucciato, caratterizzate da grandi silenzi piuttosto che da dialoghi fiume, che preferiscono passare all’azione piuttosto che affidarsi alle parole. Liz Danvers (Foster) è pragmatica e crede fortemente solo a ciò che vede e può toccare e sentire, forse anche per via delle perdite che ha avuto nella propria vita e che l’hanno portata a crescere la propria figliastra, una nativa adolescente alla disperata ricerca delle proprie origini e del proprio posto nel mondo. Evangeline Navarro (Reis), forse per il proprio retaggio culturale, si sente invece molto più vicina al mondo degli spiriti e soprattutto al limbo che c’è nel mezzo, a ciò che non può spiegare coi fatti e le prove, anche perché è credenza comune che ad Ennis i morti tornino per comunicare qualcosa ai vivi.
Storia di due detective
Proprio come in Daily Alaskan, anche se lì si trattava di giornaliste, e proprio come nella prima stagione di True Detective, a fare coppia sono due detective agli antipodi che però in fondo sono molto meno “opposti” di quanto vorrebbero ammettere. In questo caso una poliziotta bianca ed una nativa americana, un tema sempre più caro negli Stati Uniti, di riappropriazione della propria tradizione ed eredità culturale da parte della popolazione. Perdere il suo creatore a True Detective ha paradossalmente fatto bene perché la visione di Issa López (già dietro Tigers are not afraid) è puntuale e centrata nel nuovo-vecchio format della serie HBO, che ancora una volta si trova a mescolare religione e misticismo affinché portino a delle risposte, anche se non sono quelle che si volevano trovare.
Tra le tematiche affrontate, proprio per via della visione femminile davanti e dietro le quinte, ci sono non solo l’elaborazione del lutto ma anche la violenza sulle donne e sulle donne native americane nello specifico, insieme all’inquinamento ambientale. Il cast contribuisce a questo ensemble: citiamo tra gli interpreti la sempre misteriosa e carismatica Fiona Show (Fleabag, Killing Eve), il ritrovato Christopher Eccleston e il sibillino John Hawkes, insieme alla sorpresa emergente Finn Bennett (tenetelo d’occhio che potrebbe rivelare non pochi colpi di scena). Anche l’ambientazione scelta – dal cuore dell’entroterra statunitense passiamo ai confini degli Stati Uniti verso l’Artico – non è ovviamente casuale, così come non lo è il periodo natalizio. Ciò permette una fotografia e un’atmosfera che ricorda moltissimo l’horror, che proprio come in Assassinio a Venezia unendo indagini deduttive a ciò che non si può spiegare. Permette inoltre il pretesto narrativo del mondo al confine che racconta – come quello dei vivi e dei non-morti – e a livello di regia grandi riprese aeree, suggestivi campi lunghissimi e totali, in contrasto a primi piani e dettagli che fin dagli sguardi dei personaggi facciano capire quanto è complesso vivere in territori come quelli. O forse semplicemente vivere, oggi, col dolore e la morte nel cuore e nella propria storia professionale e familiare.
Arriviamo alla fine della recensione di True Detective Night Country, la quarta stagione della serie HBO, strapazzati proprio come durante la visione dei sei episodi che la compongono ma felici di ritrovare un prodotto che sappia parlare all’oggi e dell’oggi senza tradire se stesso. La prima stagione rimane un unicum seriale per l’impatto che ha avuto sul pubblico anche a distanza di anni, ma questo provare a replicarne il format declinandolo al femminile e al tema dei nativi americani, riproponendo la religione e il misticismo come temi centrali ma legati ad un altro tipo di tradizione, si rivela una scelta vincente, affascinante e suggestiva, grazie anche alla location e al periodo narrativo scelti. Ottimo il cast, a partire dalle due protagoniste femminili.
- La scrittura (e regia) di Issa López.
- Jodie Foster e Kali Reis.
- Tenete d’occhio Finn Bennett.
- Replicare il format della prima stagione ma declinandolo.
- L’Alaska e i suoi territori impervi.
- Il misticismo dei nativi americani.
- Prende molte suggestioni da serie e film passati, ma non è necessariamente un male.
- Il ritmo è, come da tradizione della serie, compassato.
- Il finale potrebbe non mettere d'accordo tutti.