L’elemento unico ed inequivocabile per valutare il successo di una pellicola (o di una serie) che adopera la cucina come mezzo per raccontare storia e personaggi è la precisione nell’illustrare cosa c’è dietro la preparazione delle pietanze, l’esercizio del lavoro di cuoco, il vivere con l’ossessione della perfezione, financo il filosofeggiare sul significato dell’attività, parlando sempre di tutt’altro. Mostrare il micro per raccontare sempre il macro, solo così i due livelli possono fondersi senza confondersi. Quelle eccezionali riescono poi ad includere un terzo fattore nella ricetta, che è il pubblico. Ma devono essere veramente eccezionali.

Nella recensione della seconda stagione di The Bear, la serie Hulu ideata da Christopher Storer, disponibile da noi su Disney+ e che tornerà sulla piattaforma dal 16 agosto 2023 con tutti e 10 i nuovi episodi, siamo proprio di fronte a una di queste eccezionalità.

Se già nelle prime 8 puntate ci eravamo resi conto della sua incredibile capacità di utilizzare la cucina, anche nella sua accezione di luogo fisico, come spunto per parlare di famiglia, sanità mentale, disciplina, successo e fallimento, filmando l’azione all’interno di essa in modo chirurgico e in modo chirurgico inquadrando gli attori, straordinari sia nel lavorare come corpo unico che a suonare da soli, stavolta l’asticella si alza ancora di più.

Mostrare il micro per raccontare sempre il macro, solo così i due livelli possono fondersi senza confondersi.

Lo si vede in termini di valori produttivi, in termini di sceneggiatura (che introduce nel discorso lo spettatore) e anche di cast, perché al fianco dei fantastici Jeremy Allen White, Ebon Moss-Bachrach, Ayo Edebiri, Abby Elliott, Oliver Platt e via dicendo, ci sono diverse special guest, il ritorno di Joe Bernthal e la new entry Molly Gordon.

Parafrasando il gergo culinario, la seconda stagione di The Bear svela i suoi piatti più sostanziosi dopo una prima parte più simile ad un amuse-bouche (chi ci capisce più di chi scrive ha suggerito di utilizzare questa espressione), cercando di mettersi al “servizio” dello spettatore, ascoltarlo, cercando un’accordatura con lui. Settare un gusto, un sapore.

Pars costruens

La seconda stagione di The Bear è pensata intorno alla ristrutturazione / ricostruzione del locale per avviare un nuovo ristorante. In continuità con la prima parte, che era una pars destruens, qui siamo di fronte ad un’opera di rifacimento, metafora per un possibile nuovo approccio alla vita per tutti quanti i personaggi. Anzi, se vogliamo dirla tutta, metafora di una possibile nuova vita. Per tutti quanti.

Un messaggio molto significativo che nello sviluppo permette alla scrittura di prendersi i suoi tempi, diversificando i percorsi dei protagonisti in modo tale da donare ad ognuno un approfondimento specifico senza mai fare confusione, senza perdere mai il ritmo, sempre avendo come corpus centrale il countdown per l’apertura del nuovo ristorante.

Pensate ad un albero dapprima spoglio e con un tronco molto spesso da cui man mano nascono sempre più rami fino a renderlo rigoglioso, verde e in salute.

The Bear

Anzi, se vogliamo dirla tutta, come metafora di costruzione di una nuova vita.

Questo tipo di schema è straordinariamente funzionale perché permette di andare avanti sui singoli arricchendo sempre la visione generale e permette allo spettatore di abituarsi allo schema e ai tempi, che in questo caso sono sempre un fattore tensivo, grazie ad i vari ostacoli che si presentano lungo il percorso (come qualsiasi buon prodotto audiovisivo che parla di cucina anche questo è ideato come una corsa ad ostacoli). Il modo di superarli passa dalla capacità di farseli alleati, passa dalla capacità di ribaltare il senso della frase “ogni secondo conta”.

Tutto ciò è innestato sul leitmotiv solito di The Bear, ovvero quello di mostrate il micro per parlare del macro (repetita iuvant). Ecco allora il ping pong continuo, anche temporale (ricordiamo che tutto quanto il piano esistenziale di basa su un passato traumatico), in cui lo spettatore viene catapultato, così da entrare in cucina e poter allargare lo sguardo senza perdere mai di vista il focus della serie. Straordinario.

“Chaotic Menù”

Carm e Sidney pensano ad un menù per il nuovo ristorante, ma anche per loro stessi. Sono soci, ma faticano a capirsi, ascoltarsi, amalgamarsi e non cucinano più con piacere quando stanno insieme.

Per entrambi la cucina significa troppo. È divenuta un’attività troppo carica di significati, ricordi, dolori, aspettative e dunque non riescono più ad assaporarla, a capire perché la amano. L’hanno dopata, l’hanno resa tossica e non riescono più a comunicare attraverso di essa.

Il processo di comunicazione è fondamentalmente tutto ciò su cui la seconda stagione di The Bear si muove e infatti in ogni puntata aggiunge un nuovo piatto per ultimare il suo Chaotic Menù, che altro non è che la trasposizione delle vite caotiche di tutti quanti gli Chef, uniti dal lutto di Mickey e quindi da un rapporto nato un’assenza, una voragine. Bisogna colmare quella e poi costruire sopra.

The Bear

L’hanno dopata, l’hanno resa tossica e non riescono più a comunicare attraverso di essa.

Tutto nella serie diviene il tentativo di ristabilire un rapporto. Dalla prima puntata ogni elemento è pensato per questo, perché su questo si baserà il futuro di tutti i personaggi. Fantastico come lo spettatore si senta coinvolto e come arrivi al finale di stagione.

L’impronta è metodica, ma umorale, pulita, ma a più tratti sporca. La perfezione dello chef e la fallacia umana. La gestione degli spazi in modo così stretto, la bulimia di primi piani, il ritmo veloce, i dialoghi sempre sopra le righe, i continui flashback e poi momenti di calma improvvisi. Meravigliosi, precisi e che riguardano sempre la cucina. Ma nel suo senso primordiale, nutriente sia per chi mangia (lo spettatore) che per chi cucina (la serie). Riguardi ciò la preparazione di un’omelette o l’impiattamento di un dolce.

Anche la città viene inquadrata quando è collegata. I piani larghi sono delle visioni di scambi, di strade che si intersecano tra di loro. Un tentativo di far funzionare il nostro caos interiore e metterlo in comunicazione con il caos degli altri. Che sono in momenti di vita diversi, che hanno bisogni e doveri diversi.

Questa è la cucina di The Bear. Un nuovo modo di parlare e di parlarsi. Un nuovo modo di creare una famiglia. Chi non riesce ad accordarsi si ritrova escluso, in modo anche spietato, per in un sistema che cerca la parità la supremazia è il collettivo e le sue regole. Le sue nuove regole.

La seconda stagione di The Bear è disponibile interamente su Disney+ dal 16 agosto 2023.

85
The Bear
Recensione di Jacopo Fioretti

La seconda stagione di The Bear, la serie creata da Christopher Storer, con protagonisti Jeremy Allen White, Ebon Moss-Bachrach, Ayo Edebiri, Abby Elliott, Oliver Platt, alza l'asticella da tutti i punti di vista. Valori produttivi, cast e ambizione creativa, soprattutto grazie ad un investimento nella scrittura. Tutto ciò che di buono c'era del leitmotiv e dell'uso della cucina della prima parte è confermato, ma qui si va oltre, grazie ad una struttura che riesce a coinvolgere lo spettatore e allo stesso tempo a creare una ramificazione per approfondire ogni personaggio e arricchire il corpus centrale. Tutto è accordato, tutto ha senso, tutto è preciso e metodico, eppure tutto è umano, sporcato, umorale. Una serie che si conferma una delle migliori su piazza in questo momento.

ME GUSTA
  • Come la serie adopera la cucina per parlare di tutt'altro.
  • La prova dell'intero cast, sia quando lavora insieme che presi singolarmente.
  • Il ritmo straordinario, perfettamente accordato con regia e scrittura.
  • A proposito di scrittura, questo è il fattore che alza di più l'asticella, permettendo una struttura complessa e approfondita, ma sempre chiara e coinvolgente.
FAIL
  • Sono solo 10 episodi.