Probabilmente, almeno nel settore tech, non esiste un’azienda che abbia beneficiato della pandemia – e, dunque, del telelavoro – più di Zoom. La piattaforma per le conferenze video è diventata il simbolo del lavoro da remoto, registrando una crescita degli utenti attivi su base giornaliera vertiginosa. Dalle università ai licei, passando per le aziende, le organizzazioni non-profit e addirittura i tribunali (talvolta con conseguenze involontariamente grottesche). Durante la pandemia eravamo tutti su Zoom.
Nel frattempo le cose sono cambiare radicalmente e con il progressivo ritorno alla normalità, la quasi totalità delle grandi aziende americane ha richiesto ai rispettivi dipendenti di tornare a lavorare in ufficio per almeno tre giorni a settimana. Anche le grandi aziende tech, che pure sembrava dovessero abbracciare per sempre il modello di lavoro da remoto e decentralizzato. Da Apple a Microsoft, passando per Amazon.
E ora anche Zoom. È proprio la fine di un’era, verrebbe da dire. L’azienda, diventata famosa durante i lockdown da Covid grazie alla popolarità dei suoi strumenti per videoconferenze, ha chiesto ai dipendenti di recarsi in ufficio almeno due giorni a settimana. La politica sarà applicata a coloro che vivono a quella che Zoom definisce una “distanza percorribile”, cioè entro 80 chilometri dall’ufficio.
L’obbligo di lavorare in ufficio fa parte di quella che l’azienda ha definito un nuovo “approccio ibrido”, che coinvolge i suoi 8.000 dipendenti sparsi per 12 uffici in tutto il mondo, incluso nel Regno Unito, dove ha circa 200 dipendenti.
Molte aziende hanno introdotto regole legate al lavoro da remoto dopo la fine delle restrizioni legate alla pandemia. Tuttavia, Zoom ha atteso con estrema prudenza, aspettando prima di comunicare ai dipendenti l’obbligo di tornare al lavoro in presenza. I motivi si spiegano facilmente: se anche Zoom pretende che i suoi lavoratori si rechino in ufficio, allora le altre aziende non hanno davvero alcun motivo per fare diversamente. Il problema è che Zoom, sulla scelta o la necessità degli altri ad incentivare il lavoro da casa, ci ha costruito la sua fortuna.
A febbraio, Zoom ha annunciato che avrebbe tagliato circa 1.300 posti di lavoro poiché la domanda per i suoi servizi di videoconferenza è diminuita con la scomparsa della pandemia. Annunciando i licenziamenti, il CEO Eric Yuan ha dichiarato che avrebbe rinunciato al 98% del suo compenso e rinunciato ad ogni bonus. I licenziamenti dovrebbero permettere a Zoom di risparmiare circa 60 milioni di euro all’anno.