L’artrite psoriasica è una malattia cronica che colpisce i pazienti già affetti da psoriasi o con una predisposizione familiare a questa condizione. Le manifestazioni più comuni sono la dattilite, l’entesite, la spondilite e la sacroileite. Nonostante non sia una complicanza rara della psoriasi, poiché interessa dal 6% al 42% dei pazienti affetti, la sua prevalenza nella popolazione generale è compresa tra lo 0,3% e l’1%.
Attualmente, il trattamento dell’artrite psoriasica si basa principalmente sull’uso di farmaci. Uno dei farmaci biologici in fase di studio è il guselkumab, un anticorpo monoclonale completamente umano che agisce inibendo selettivamente l’interazione tra l’interleuchina IL-23 e il suo recettore. Il guselkumab si lega alla subunità p19 dell’IL-23 e agisce sul processo infiammatorio associato all’artrite psoriasica.
I primi dati sull’efficacia e la sicurezza del guselkumab sono emersi dallo studio di fase 3b COSMOS nel 2021. Di recente, sono stati presentati al Congresso Europeo di Reumatologia nuovi risultati ottenuti da analisi post-hoc condotte su questo farmaco. In uno studio, i ricercatori hanno valutato l’effetto del guselkumab su diversi domini dopo 24 e 48 settimane di trattamento. I domini presi in considerazione includevano il punteggio PASI, il punteggio LEI, il punteggio SJC (valutati dal medico) e il punteggio GA, HAW-DI, il dolore e il punteggio TJC (valutati dal paziente). Tutti i domini hanno mostrato un miglioramento significativo tra la prima e la seconda valutazione, sebbene si sia osservato un progresso più rapido negli indici misurati dal medico rispetto a quelli segnalati dal paziente.
Laura Coates, Senior Clinical Research Fellow presso l’Università di Oxford, ha sottolineato l’importanza di valutare i sintomi riferiti dal paziente per fornire trattamenti personalizzati che migliorino i risultati clinici e la qualità di vita. Inoltre, sono stati condotti altri due studi post-hoc di fase 3, denominati Discover-1 e Discover-2, per esplorare la differenza di percezione tra medici e pazienti. È emerso che i pazienti attribuiscono maggiore importanza al dolore, all’affaticamento e alla salute fisica rispetto ai medici.
I risultati hanno mostrato che il punteggio GA determinato dal medico era inferiore a quello riportato dal paziente nel 39,1% dei casi alla ventiquattresima settimana, ma tale discrepanza è scesa all’11,2% alla quarantottesima settimana, suggerendo un miglioramento dei sintomi. Lo scopo di questi studi è quindi non solo valutare l’efficacia a lungo termine del guselkumab, ma anche personalizzare il percorso terapeutico per ogni paziente al massimo grado possibile.