La pratica di mindfulness propone un concetto di vita sintonizzata. Una delle motivazioni per cui la mindfulness funziona sul sistema cerebrale è data dal fatto che aiuterebbe gli individui a regolare le proprie emozioni. Un modo per sentirsi meglio con noi stessi, in rapporto con i nostri pensieri, ma anche migliorando la salute fisica.
Fra alcune aree interessate dalla pratica di mindfulness c’è la Corteccia Pre-Frontale (CPF) portando a una maggiore capacità del pensiero riflessivo. Inoltre, c’è anche un’associazione a un aumento di attività del sistema nervoso parasimpatico attivando una sensazione di quiete. Poi c’è un rallentamento del sistema nervoso simpatico, che riguarda le condizioni di stress. Ecco che subentrano i legami tra pratica di mindfulness e cura dell’ansia e dello stress.
Per comprendere meglio tali associazioni, c’è la singolare esperienza del monaco tibetano Yongey Mingyur Rinpoche. Il monaco soffriva molto le condizioni naturali caratteristiche del suo paese (tempeste di neve, tuoni e la gestione dei rapporti con altre persone). Un giorno il padre vedendo la sua sofferenza gli propose di meditare insieme concentrandosi sul respiro. Con il tempo il monaco riuscì a dominare i propri attacchi di panico, accettando quelle sensazioni e accogliendole. Il monaco affermava che ognuno di noi deve agire attraverso la sua mente quando si presentano stress, ansia, depressione e panico. Dobbiamo familiarizzare con gli stati d’animo negativi per poterli esorcizzare e poi agire con consapevolezza.
Alcuni scienziati rimasero incuriositi e ne studiarono l’attività cerebrale. Attraverso tecniche di neuroimaging scoprirono che a 41 anni aveva il cervello di una persona di 31 anni. Una risonanza riportò il notevole aumento dell’attività dei suoi circuiti empatici dal 7% all’800%. Ecco, perché la scienza ha continuato ad occuparsi sempre più della meditazione e della pratica del mindfulness per migliorare stati emotivi negativi.