Nel 2022 l’inflazione è cresciuta in media dell’8,1%, mentre nel 2023 le pensioni andranno rivalutate adeguando i prezzi. Purtroppo però gli stipendi, nonostante l’inflazione, sono fermi da quasi 30 anni. Dal 1990 a oggi, gli stipendi sono cresciuti solamente dello 0,3% in Italia.

Circa il 7% del reddito degli italiani è andato perso a causa degli aumenti. Ricordando però che l’adeguamento automatico delle pensioni permette di ridurre l’impatto dell’inflazione, ecco quali sono le ragioni della differenza tra pensionati e lavoratori dipendenti. Prima esisteva la cosiddetta scala mobile che consentiva di adeguare i salari all’inflazione. Poi venne abolita per l’aumento dei salari di pari passo con l’inflazione, questo dava un mancato incremento della moneta. Dall’altra c’era invece un continuo aumento dei prezzi in una spirale inflazionistica. 

Il discorso per le pensioni cambia. L’indicizzazione esiste ancora per gli assegni previdenziali. Nel 2023 la loro rivalutazione sarà totale per i trattamenti quattro volte il minimo. Al crescere degli assegni ci sarà un aumento del 7,3%. Tutto questo è dato dal fatto che non si è mai pensato di togliere la rivalutazione. Nel caso delle pensioni si tengono di conto diversi fattori come gli importi e il fatto che la cifra non possa crescere altrimenti negli anni. In determinati casi si è pensato di rinviare o bloccare gli aumenti per periodi di tempo limitati. In particolar modo di fronte a certe condizioni economiche in generale.