Elon Musk infine ha interrotto il silenzio commentando ufficialmente i risultati del sondaggio sulla sua leadership che aveva indetto la scorsa domenica. «Volete che mi dimetta da CEO di Twitter?», aveva chiesto. Il sì aveva vinto con una robustissima maggioranza.

All’epoca avevamo ricordato che lo stesso Musk aveva più volte specificato che il suo ruolo in Twitter sarebbe stato pro tempore e che, presto o tardi, avrebbe dovuto individuare un amministratore delegato in grado di portare a termine la sua ambiziosa visione: cioè trasformare Twitter in una super app (su modello WeChat) che funga anche da piattaforma per i pagamenti digitali istantanei.

Chi si aspettava che Musk avrebbe rassegnato le dimissioni immediatamente dopo il termine delle votazioni è ovviamente destinato a rimanere deluso. Il miliardario ha annunciato in queste ore che si dimetterà esclusivamente dopo che avrà individuato «una persona sufficientemente folle» da voler prendere il suo posto. Potrebbe essere questione di mesi e, per quel che ne sappiamo, perfino di anni. Di fatto il plebiscito che ha chiesto a gran voce le sue dimissioni non produrrà alcun effetto, come era ampiamente immaginabile. Rimane la pessima figuraccia e uno smacco incredibile all’ego di Musk. E, per quel che vale, pure una frecciatina dell’ex premier italiano Matteo Renzi, che, facendo autoironia, ha tracciato un parallelismo con i referendum del 2016 che lo avevano portato a dimettersi.

Musk ha aggiunto che quando si dimetterà da CEO rimarrà comunque nel management di Twitter, supervisionando i team che seguono la parte ingegneristica del social network.