A cinque anni di distanza dal primo capitolo, Mario e i Rabbids tornano a conquistare fan su Switch con il sequel del crossover più sorprendente di sempre.
Di chiara ispirazione a un mostro sacro come XCOM, lo strategico a turni basato sulle coperture diretto dalla sede italiana della software house francese aveva già conquistato al lancio oltre 9 milioni di giocatori, scalando le classifiche di vendita e gradimento globali e collezionando anche non pochi premi.
Grazie al proprio talento e alla geniale intuizione di investire e innovare su un gameplay così peculiare, Ubisoft Milan è passata in poco tempo da una posizione di supporto a studio conosciuto in tutto il mondo, con innumerevoli occhi puntati addosso.
Un sequel, come già detto nella nostra recensione, sembrava quasi un’evoluzione scontata di questo successo, su una console che tra l’altro non offre grandi alternative a un gameplay canonicamente più legato alla sfera PC.
Il motivo per cui però Mario + Rabbids Sparks of Hope è il miglior strategico a turni di sempre è legato all’estrema follia con cui Ubisoft Milan ha deciso di rivoluzionare l’intero battle system, proprio quell’elemento che più era stato apprezzato nel primo capitolo, infischiandosene delle più basilari regole di mercato e anzi urlando con forza la propria volontà di realizzare il proprio gioco, la propria visione.
Una prova di coraggio ancor più grande quando a dettarla non è magari il Kojima di turno, ma uno studio che ha tra le mani un IP delicatissima soprattutto per il rapporto con Nintendo.
Un solido punto di partenza
Partiamo dal presupposto che, da grande ammiratore dell’ultimo decennio dei titoli XCOM, l’annuncio del primo Mario + Rabbids si poneva con una duplice sfumatura: da un lato l’eccitato stupore di chi osserva un potenziale nuovo punto di riferimento del genere, dall’altro il rigido scetticismo di un purista che teme la disfatta.
Un timore, quest’ultimo, spazzato via e fatto a brandelli sin dalla prima prova, che rendeva subito chiaro sia la cura nel realizzare un prodotto che rispettasse i canoni del genere, sia la brillantezza di un gameplay rivisitato, migliorato, perfettamente adattato a un nuovo target.
Mario + Rabbids Kingdom Battle ha rappresentato l’apertura dei confini del Wakanda per il mondo intero: è il titolo che ha reso accessibile a tutti la strategia a turni basata sui ripari, permettendosi pure di alzarne un po’ l’asticella.
Un battle system snello, immediato, rapido, variegato, ma allo stesso tempo profondo e ricco di possibilità: tutto questo mantenendo il livello di sfida tipico del genere, a tratti frustrante per quanto punitivo, ma comunque in grado di essere sempre accattivante.
Un successo mondiale stra meritato, che al netto di un grinding forse troppo determinante, si è imposto davvero come un punto di riferimento del genere.
Se non è zuppa è strategico a turni
Ogni sequel che si rispetti deve imporsi di introdurre delle novità, evoluzioni e rifiniture che possano migliorare l’esperienza del capitolo precedente, per quanto fosse positiva.
Nel battle system degli strategici a turni come Mario + Rabbids Kingdom Battle, però, ci sono alcuni aspetti che sono dei cardini, elementi che esplicitamente o meno definiscono e sono definiti dal genere.
Per fare un esempio esagerato, non sarebbe uno strategico a turni…senza i turni. Allo stesso modo, non sarebbe uno strategico se non fosse punitivo con il giocatore che ha compiuto scelte affrettate: l’obiettivo di questo gameplay non è tanto condurre la battaglia o fare tanti danni, ma anticipare le mosse avversarie e massimizzare gli aspetti sia offensivi che difensivi delle proprie azioni durante il proprio turno.
Muoversi e attaccare con efficacia ma senza esporsi alla controffensiva nemica, pena una rapida disfatta, un concetto ben radicato nei fan tramite il permadeath visto in XCOM: se sbagli e il tuo soldato migliore viene ucciso, lo hai perso per sempre.
Mario + Rabbids, seppur ostico e punitivo al pari della serie Firaxis, risparmiava al giocatore cotanta crudeltà già nel primo capitolo, ma richiedeva comunque un ragionamento approfondito prima di poter effettuare le proprie mosse e cedere la palla all’avversario. Certo, l’ampiezza delle possibilità di movimento dava spazio a molte opzioni, ma lo stesso veniva permesso all’avversario e quindi proteggere i fianchi ed evitare attacchi scoperti risultava essere ancor più difficile che in altri titoli simili dove il range di spostamento è più ristretto.
Al di là della distanza percorribile, della possibilità di fare “deviazioni” per effettuare scivolate e del salto team che aggiungeva verticalità all’azione, Mario + Rabbids Kingdom Battle manteneva comunque integro un aspetto cardine del genere: parti da un punto A e ti fermi ad un punto B.
L’azione di movimento era sempre unica e definitiva, qualunque fosse quella successiva, e pertanto andava ragionata ed eseguita solo dopo aver verificato tutti gli incroci possibili con quelle degli altri giocatori; andava anche azzardata, perchè non era detto che una volta raggiunto il punto desiderato non subentrasse un ostacolo imprevedibile che rendesse impossibile l’azione, magari un elemento dello scenario che bloccava la linea di attacco desiderata o una distanza non coperta dal raggio d’azione della propria arma, quando invece si pensava di sì.
Un aspetto, spesso frustrante, che come detto è punto cardine del genere, forse quello che più di tutti rende gli strategici a turni ostici e punitivi.
Squadra che vince…si cambia
Cosa ha ben pensato di fare dunque Ubisoft Milan dopo aver introdotto innovazioni di successo, soddisfatto milioni di giocatori nel mondo e trovato una formula vincente? Cambiare il battle system.
Una vera e propria rivoluzione, non un semplice upgrade, fondata proprio sull’aspetto fondamentale analizzato finora: il movimento.
Contrariamente a quanto mai fatto, dunque, Mario + Rabbids Sparks of Hope introduce la totale libertà di spostamento all’interno del proprio range, slegata da qualsiasi altra limitazione se non quella dell’attacco.
In pratica, all’avvio del proprio turno ogni personaggio ha un’area di movimento a disposizione entro la quale correre a destra e sinistra quanto e come vuole, fermarsi, fare da trampolino a un compagno per il salto team, poi rispostarsi, usare un’abilità Spark, fare una scivolata, mettersi dietro a un riparo, controllare quali e quanti nemici si possono colpire da lì, cambiare personaggio, portarlo vicino al primo, capire quanti danni potrebbe fare e valutare se i due insieme possono abbattere il nemico, cambiare con un terzo personaggio, andare vicino ai primi due, usare un’abilità che li potenzi, spostarsi, attivare un’abilità speciale (ad esempio cecchino), ripassare il controllo ai primi due personaggi e attaccare magari con un colpo esplosivo o elementale che sbalzi via i nemici, abbattuti infine dal terzo personaggio con la sua abilità cecchino che attacca appena rileva un movimento.
In un solo turno, con tre personaggi, il giocatore di Mario + Rabbids Sparks of Hope ha fatto più azioni di quante quello di Kingdom Battle ne faceva in una battaglia.
Le combinazioni possibili sono quasi infinite e capaci di concatenazioni letali, se si sfrutta adeguatamente la giusta strategia insieme alle caratteristiche di personaggi e abilità; non a caso, il primo terzo di gioco è pieno di battaglie che si concludono prima ancora che il nemico possa muovere un dito.
Sotto questo punto di vista, Sparks of Hope arriva a essere fin troppo facile, il livello di sfida dei primi mondi è quasi nullo e la varietà, principalmente legata agli Sparks che si sbloccano di missione in missione, troppo ristretta. L’impatto iniziale rischia di essere tragico, tra battaglie riempitive troppo simili tra loro e sfide già vinte in partenza, ma il problema essenziale è che la stessa libertà non viene concessa ai nemici, ridotti nella maggior parte dei casi a bersagli impotenti di una potenza di fuoco eccessivamente squilibrata a favore del giocatore (complice anche un IA non certo sopraffina).
Questione di tempo
Perchè, allora, Mario + Rabbids Sparks of Hope è il miglior strategico a turni di sempre?
Al netto di tutte le imperfezioni che abbiamo evidenziato nella nostra recensione, come sempre la soluzione è avere un po’ di pazienza.
Consapevole di stare ponendo il giocatore di fronte a una rivoluzione importante, il team di Ubisoft Milan ha sicuramente pensato di dover facilitare la transizione al nuovo sistema con un approccio meno sfidante del previsto. Usare tutto il primo mondo e parte del secondo per far abituare il giocatore probabilmente è stata una scelta troppo conservativa, ma ciò che conta è che a un certo punto il gioco decolla e inizia a mostrare davvero tutte le proprie potenzialità.
Mappe più grandi e varie, nemici più forti e resistenti, sfide più punitive e un arsenale più ampio stravolgono l’esperienza di gioco e permettono al nuovo sistema di esprimersi al meglio, lasciando ai giocatori più creativi pieno spazio per realizzare combo devastanti in battaglie decisamente più dinamiche, coinvolgenti e divertenti rispetto a quelle di Kingdom Battle, che al confronto sembra oggi lento e macchinoso.
Il punto più alto si raggiunge ovviamente con gli scontri finali, in grado di durare ben più di un’ora ciascuno e di tirare fuori il massimo sia dal battle system che dai personaggi, sfidando il giocatore a un’endurance strategica dove il minimo errore può compromettere l’esito dell’intera battaglia.
Una IA che non si eleva mai veramente e le eccessive possibilità del nuovo battle system rendono Mario + Rabbids Sparks of Hope comunque più facile e meno punitivo del precedente, anche a causa di uno skill tree che rende via via ciascun personaggio una macchina da guerra, ma questo gameplay riesce a essere una delle esperienze più appaganti mai viste in uno strategico a turni e potenzialmente abbraccia un pubblico ancora più vasto di quello conquistato dal primo capitolo, garantendogli dunque un enorme valore non solo come gioco in sè ma anche e soprattutto come punto di riferimento del genere.