Dall’Università di Padova si attesta che i bambini di soli 4 mesi riescono ad anticipare un evento a seconda del suono che sentono. Una voce è capace di attivare in anticipo i circuiti neurali relativi alla vista dei volti un secondo prima della loro comparsa.

Al percepire i suoni e nel vedere immagini, il nostro cervello non impiega tutto il suo tempo per elaborare caratteristiche fisiche e i significati corrispondenti. Solo una piccola parte fa questo, perché il restante 95% del cervello è occupato a fare previsioni su eventi futuri dell’ambiente. Poi esse vengono confrontate con la realtà per confutarne la verità o meno. Quale età però consente di poter predire futuri episodi nell’ambiente in relazione alle percezioni personali? Ecco che il team dell’Università di Padova ha provato a dare una risposta.

 

Questo ciclo continuo di predizione-verifica-aggiornamento è noto in letteratura come predictive brain e definisce il sottile equilibrio che regola l’interfaccia tra il nostro mondo interiore e tutto ciò che è esterno a noi. In questa ricerca è stata ricostruita l’attività cerebrale in tre classi di soggetti, adulti, bambini di 9 mesi e piccoli di 4 mesi, a partire dalla loro attività elettrica corticale (EEG) durante la presentazione di volti o di oggetti rispettivamente preceduti da una voce umana o da suoni non umani. I risultati suggeriscono che anche nel gruppo dei bambini di 4 mesi si rileva un’attivazione neurale che rispecchia la capacità di anticipare l’evento a seconda del suono sentito. In altre parole, il semplice suono di una voce umana è in grado di pre-attivare i circuiti neurali coinvolti nella percezione visiva dei volti circa un secondo prima di vederli comparire su uno schermo.

Giovanni Mento del Dipartimento, professore di Psicologia dell’Università degli studi di Padova e primo autore dello studio

 

 

Questa competenza precoce costituisce un prerequisito fondamentale nello sviluppo dell’essere umano al fine di garantire fin da subito la possibilità di comunicare con altri consimili.

Teresa Farroni, professoressa che ha supervisionato il progetto di ricerca