Cominciamo la recensione di Doctor Strange nel Multiverso della Follia, nelle sale italiane dal 4 maggio, citando Doc Brown. Lo scienziato di Ritorno al Futuro ce l’ha spiegato bene: quando metti mano al continuum spazio temporale possono crearsi dei paradossi. È esattamente quello che è successo a chi scrive guardando il nuovo film di Sam Raimi, che mancava dagli schermi cinematografici purtroppo da ben 9 anni: il grande e potente Sam è tornato, ma non è esattamente lui.

Proprio come succede al Dottor Steven Strange, interpretato da Benedict Cumberbatch, in questo nuovo film del Marvel Cinematic Universe ritroviamo il regista di La Casa e Darkman alle prese con le sue versioni alternative. C’è l’immancabile attore feticcio Bruce Campbell (in un cameo gustoso). Ci sono gli zombi come in L’armata delle tenebre. C’è Elizabeth Olsen strepitosa, pronta per il sequel di Drag me to hell. Eppure non è il Sam Raimi che abbiamo amato quando ha girato Spider-Man (2002) e Spider-Man 2 (2004), ovvero le volte precedenti in cui ha avuto a che fare con i personaggi Marvel.

La spiegazione è semplice: il suo Spider-Man, che proprio in questi giorni compie 20 anni, non fa parte del Marvel Cinematic Universe (almeno fino a Spider-Man: No Way Home). Kevin Feige all’epoca già c’era, era uno dei produttori esecutivi, ma non aveva ancora messo a punto la poderosa macchina MCU, fatta di collegamenti interni, rimandi tra film e serie, colpi di scena a botte di fanservice e soprattutto di uno stile ben riconoscibile, nella regia e nel tono delle opere, che tende a rendere uniforme ogni tassello del suo grande disegno. Ed è proprio qui che nasce il paradosso: il progetto editoriale consolidato di Feige può sposarsi bene con la visione originale di un autore come Raimi? Sì e no.

Il vero Dr. Strange è Sam Raimi

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In questo secondo capitolo delle avventure del neurochirurgo, stregone e supereroe, ritroviamo Steven Strange a un matrimonio: uno a cui sicuramente non avrebbe voluto partecipare, ma ci è andato comunque. La parola “sacrificio” torna più volte in questa storia: per il protagonista il sacrificio è la sua vita personale, l’amore. Non ha tempo per pensare ai suoi sentimenti: c’è sempre qualcuno da salvare, una minaccia aliena da fronteggiare. Quella che si palesa nei primi minuti di Doctor Strange nel Multiverso della Follia viene da un altro universo e insegue una ragazzina: America Chavez (Xochti Gomez). La ragazza ha dei poteri unici ed è alla ricerca di un potente libro di magia bianca: il libro di Vishanti. Con lei, prima di tuffarsi nella nostra New York, c’era il suo amico e mentore: Dr. Strange. Sì, un altro Dr. Strange.

Qualcuno nel Multiverso vuole impossessarsi del potere della ragazza e soltanto un altro Dr. Strange può completare l’opera lasciata in sospeso da un suo alter ego. È un po’ quello che è successo nella realtà al film: a dirigerlo avrebbe dovuto essere Scott Derrickson, poi fattosi da parte per divergenze creative. È subentrato quindi Sam Raimi: l’autore ha dovuto prendere quindi le redini di un progetto non suo, ben inserito in una struttura più grande e complessa. Ve lo diciamo subito: per godere appieno di questa pellicola sarebbe meglio aver visto le serie tv WandaVision, Loki e What if…? e almeno sapere cosa succede in Spider-Man: No Way Home.

Avere a che fare con una realtà complessa e stratificata, rievocare versioni alternative di se stesso all’interno di un disegno più grande: praticamente Sam Raimi è come Dr. Strange.

…E alla fine arriva Scarlet Witch

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L’unione di queste due personalità forti, quella di Kevin Feige e quella di Sam Raimi, è uno strano ibrido: da una parte il regista si insinua a poco a poco nel classico stile Marvel, ormai consolidato e sempre uguale a se stesso, regalando almeno cinque momenti che sono un concentrato puro del suo cinema (soprattutto nel finale). Dall’altra si trova imbrigliato in una materia su cui può intervenire soltanto parzialmente. L’effetto è strano: ci troviamo sicuramente di fronte a uno dei film più interessanti del MCU dal punto di vista stilistico (la scena “delle note”, chiamiamola così, fatta in collaborazione con il grandissimo compositore Danny Elfman, è già una delle cose più belle mai viste in un cinecomic della Marvel) e allo stesso tempo Dr. Strange 2 fa capire come i film dedicati agli eroi Marvel non potranno mai essere (almeno fino a ora) completamente originali per quanto riguarda lo stile.

È come se Doctor Strange nel Multiverso della Follia ci facesse intuire che, in un altro universo, possa esistere un film della Marvel diretto da Sam Raimi completamente pazzo e folle, strabiliante dal punto di vista delle idee visive, ma non è questo. Se non in piccoli lampi di pura invenzione cinematografica. È una presa di coscienza che lascia con molti dubbi.

L’universo Marvel è sicuramente il grande evento cinematografico degli ultimi 15 anni: ha creato un pubblico fedelissimo, ormai è tra le poche cose a portare davvero le persone in massa al cinema. Eppure sta diventando una macchina forse troppo vorace: ormai ogni mese esce o un film o una serie tv Marvel e se non si è dentro questo meccanismo difficilmente si può apprezzare appieno il pezzo successivo. D’altro canto se si guardano soltanto film e serie Marvel il gusto si appiattisce a questo ingranaggio praticamente perfetto, ma che è ormai dominante e non ammette incertezze della fede. Scusate, elucubrazioni mentali da analisti del cinema.

Detto questo, la mano di Raimi quando c’è si vede ed è uno spettacolo.

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Sì, c’è un po’ di horror e sì, quando le persone vengono colpite le botte si sentono (e scorre perfino il sangue!). Il dolore, fisico e mentale, è reale. Su tutti si staglia la maestosa Scarlet Witch di Elizabeth Olsen, che fa lo step successivo a quanto abbiamo visto in WandaVision. Se lì era sorprendente, qui è davvero magnifica. Si vede che Raimi si è divertito molto con il suo personaggio e a sua volta l’attrice si è fatta plasmare dall’autore. Il risultato è una scheggia impazzita che scuote il film per tutta la sua durata, sia dal punto di vista visivo che morale.

Sogni, sacrifici e legami

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Tra i personaggi più complessi dei fumetti Marvel, anche le versioni cinematografiche di Steven Strange e Scarlet Witch offrono lo spunto per interessanti riflessioni. In mezzo ai mostri, le prove da superare, i libri magici da ritrovare, li vediamo letteralmente scomporsi sotto i nostri occhi. Entrambi non sono felici, entrambi hanno perso qualcuno che amano. Entrambi vedono le proprie vite alternative quando sognano.

Per nessuno dei due però è consolatorio sapere che, in un universo alternativo, da qualche parte c’è una loro versione che ha fatto meno errori e ora può stare con chi ama. Il peso delle proprie scelte li perseguita. Entrambi arrivano alla stessa conclusione: tutta la magia del mondo non può sostituire il legame reale con le altre persone.

Frammentati in tanti io diversi, è come se Steven e Wanda ci dicessero che la nostra vera identità è fatta della somma delle nostre parti, quelle luminose e quelle più oscure. Nascondersi dietro la maschera da eroe non è saggio: prima o poi la nostra fragilità, i nostri rimpianti, le nostre paure diventano più forti dei successi e delle responsabilità. Anche chi ha sconfitto Thanos si sente solo se non ha nessuno con cui condividere la pace.

In un mondo che ha messo a dura prova la sanità mentale e gli affetti di tutti noi, in cui ci illudiamo di costruirci una identità reale e rapporti tramite social media che poi magari non hanno reale riscontro nel mondo fisico, i legami con gli altri sono l’unica cosa che conta.

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita”, diceva già 400 anni fa Shakespeare. Forse uno stregone anche lui.

Verso il Multiverso e oltre

Non staremo qui a parlare di sorprese ed eventuali camei, di spoiler non richiesti internet è già pieno. Diremo però che questo Doctor Strange nel Multiverso della Follia non aggiunge moltissimo a livello di trama a quanto sapevamo già grazie a Spier-Man: No Way Home. Certo è che per il futuro il personaggio di America Chavez sarà molto importante. Per il resto possiamo apprezzare il tentativo di Raimi di scavare nella psiche di Strange e Scarlet Witch, due dei personaggi più interessanti e complessi di tutto il Marvel Cinematic Universe, soprattutto grazie alla forza delle immagini.

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Per farlo il regista inquadra gli attori mettendo la telecamera lungo linee oblique, rispolverando anche la tecnica creata per “il punto di vista dei demoni” in La casa: sembra davvero di entrare nelle loro menti frammentate. Questi sono tra i momenti migliori di Dr. Strange 2. Per il resto il film è sovraccarico di missioni, di svolte narrative, di colpi di scena: il ritmo, incalzante, ne giova, ma non tutto è perfettamente equilibrato. Alla fine Doctor Strange nel Multiverso della Follia è davvero una rocambolesca corsa folle. Il divertimento, per chi non è digiuno di MCU, è assicurato. Ma il rimpianto di vedere un film al 100% di Sam Raimi è altrettanto forte. E allo stesso tempo non si può che essere contenti di vederlo finalmente dietro la macchina da presa dopo quasi 10 anni. Vedete? Non se ne esce. Una volta entrati nel Multiverso della Follia il paradosso rimane.

Doctor Strange nel Multiverso della Follia è nelle sale italiane dal 4 maggio.

75
Doctor Strange nel Multiverso della Follia
Recensione di Valentina Ariete

Come scritto nella recensione di Doctor Strange nel Multiverso della Follia, il nuovo film del Marvel Cinematic Universe è uno strano ibrido: da una parte lo stile consolidato e sempre uguale del grande meccanismo creato da Kevin Feige, dall'altra quello unico e originale di Sam Raimi. Il risultato è un film più originale della media dell'MCU, ma che allo stesso tempo fa desiderare una pellicola con un Raimi totalmente a briglia sciolta. Bravissimi gli attori: Benedict Cumberbatch è ormai un tutt'uno con Dr. Strange, Elizabeth Olsen è sempre più brava e magnifica nel ruolo di Scarlet Witch.

ME GUSTA
  • Benedict Cumberbatch ormai è un tutt'uno con il personaggio.
  • Elizabeth Olsen è strepitosa.
  • Danny Elfman racconta la storia insieme a Raimi con le sue note.
  • Quando Sam Raimi è libero di essere se stesso al 100% regale alcune delle scene migliori del Marvel Cinematic Universe.
  • Xochti Gomez è una buona aggiunta.
FAIL
  • Quando Raimi deve rimanere nei binari del classico film Marvel la differenza si vede.
  • Il film è carico di svolte, colpi di scena e missioni che mantengono alto il ritmo ma forse appesantiscono il film.
  • Il tono più dark di Raimi a volte non si sposa bene con il tipico umorismo "alla Marvel".
  • Se siete furoi dal "meccanismo MCU" sarà più difficile capire tutti i passaggi della storia.