Ogni anno, solamente nel Regno Unito, Amazon manda al macero milioni di prodotti invenduti. È una pratica a lungo rimasta oscura e divulgata al grande pubblico da un’inchiesta di ITV News, programma d’informazione britannico.
La scoperta sarebbe avvenuta casualmente, proprio scoprendo migliaia di scatoloni – con il ben noto logo di Amazon – marchiati con l’istruzione “da distruggere“. ITV News è riuscita ad ottenere un filmato della distruzione degli oggetti, che avverrebbe in un’area apposita predisposta in molti dei magazzini del colosso. I reporter di ITV News erano entrati all’interno del centro logistico di Amazon sotto copertura.
Dall’elettronica, ai gioielli, passando ovviamente per centinaia di migliaia di prodotti guasti o riconsegnati alla catena dopo essere stati provati, e quindi spesso impossibili da rivendere.
Solamente durante una settimana del mese d’aprile, un singolo magazzino di Amazon, quello di Dunfermline, ha mandato al macero oltre 124.000 prodotti. Nello stesso periodo, l’azienda ha donato oltre 28.000 oggetti, prova che quando un prodotto non è più vendibile non è detto che venga automaticamente distrutto.
Ma le testimonianze dei dipendenti fanno sorgere dei dubbi sui criteri dietro a questa pratica:
Ricordo che sospiravo ogni volta. Non c’è nessuna razionalità dietro a quello che viene distrutto: ventilatori della Dyson, aspirapolveri, e qualche volta perfino MacBook e iPad. L’altro giorno ho visto distruggere oltre 20.000 mascherine per il Covid-19 ancora imballate
ha spiegato un ex dipendente che ha parlato ad ITV News sotto condizione d’anonimato.
Ma una ragione, razionale o meno, giudicherete voi, c’è: sono i venditori terze parti a gonfiare i numeri dei prodotti mandati al macero. Aziende e privati possono delegare la maggior parte dei compiti ad Amazon: stock, imballaggio e spedizioni. Se non riescono a vendere quanto hanno mandato direttamente all’e-store, spesso è più economico optare per una distruzione. Trovarsi con enormi quantità di prodotti da rispedire nei magazzini di proprietà – spesso inesistenti in caso di drop shipping – aumenterebbe solo le perdite e non sarebbe economicamente sostenibile.
“È uno spreco inimmaginabile e non necessario, è scioccante vedere un’azienda multi-miliardaria liberarsi dei prodotti in questo modo”, ha raccontato un portavoce di Greenpeace alla trasmissione ITV News.