Il The Washington Post ha compiuto un’immersione all’interno del precario mondo dello sviluppo di videogames, un’area da “hic sunt dracones” in cui ancora vige un trattamento bieco e ingiurioso dei dipendenti e dei collaboratori esterni. Nello specifico, la testata ripercorre il come la presenza del proprio nome nei crediti di coda sia tutt’altro che scontata nella sfera dei videogiochi e che questa incognita venga sfruttata per imporre condizioni di lavoro sconvenienti.

In un universo lavorativo in cui il precariato prende la forma di impiego “freelance” imposto con la forza, non stupisce che collaboratori esterni, dipendenti occasionali e studi subappaltanti finiscano con l’avere la peggio in situazioni in cui lo sviluppatore ha dalla sua una forza contrattuale schiacciante, tuttavia la situazione descritta dalla testata statunitense ha un nonché di grottesco.

Essendo il settore completamente privo di interventi e accordi sindacali, le aziende hanno normalizzato atteggiamenti eterogenei e dittatoriali, atteggiamenti per cui i crediti di coda dei videogiochi vengono usati come arma di ricatto o, peggio ancora, come strumento con cui assicurarsi che i talenti non possano avere i mezzi con cui contrattare ritorni finanziari migliori.

Gli studi di sviluppo hanno sviluppato la tendenza a non accreditare il lavoro di coloro che non hanno accompagnato la creazione del video game per tutto il tragitto. La cosa è valida per chi ha mollato il lavoro a metà, ma anche, come dimostra Rockstar Games con il suo Red Dead Redemption 2, per quei lavoratori a contratto determinato che si vedono cacciati via per questioni finanziarie, ovvero la carne da cannone.

Ancor peggio va a coloro che lavorano per aziende esterne a cui vengono assegnati lavori minori, personaggi che contribuiscono comunque attivamente al raggiungimento di un risultato finale raffinato, ma che, essendo lontani dallo sguardo del team centrale, risultano effettivamente invisibili.

Non un problema insormontabile, verrebbe da dire, basta inserire comunque l’esperienza a curriculum, giusto per farla poi valere all’interno del proprio percorso professionale. Certo, se solo non fosse che molte ditte si assicurano contrattualmente il silenzio del lavoratore: se non sei presente nella lista dei crediti dei videogiochi, allora sei fregato.

Pare comunque che questi atteggiamenti, uniti agli abusi sistematici subiti da parte di alcuni CEO iperretribuiti, stiano iniziando a far bollire gli animi, con il risultato che i lavoratori, seppur in via anonima, stanno iniziando a rivelare tutti quegli altarini che fino a oggi erano stati tenuti occulti.

 

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