Gli Stati Uniti hanno deciso di interrompere ogni scambio commerciale con la Birmania con l’intenzione di danneggiare il partito militare che a inizio anno ha conquistato il potere con la forza e che ora sta soffocando le proteste con il sangue di centinaia di vittime, ma che ne sarà di internet?
Come spesso capita nella politica internazionale, il desiderio di punire la casta dominante finisce con il danneggiare soprattutto i ceti vulnerabili, molti sono quindi preoccupati che la scelta dell’Amministrazione Biden finirà semplicemente con il togliere voce e visibilità ai contestatori, già fiaccati dalle numerose censure del Governo “ad interim“.
Social, provider, servizi di cloud con sede amministrativa negli USA si trovano d’altronde abbandonati in una zona grigia d’ambiguità: se garantiranno la consistenza dei servizi al popolo birmano rischieranno di ricevere multe salatissime, tuttavia resta imprecisa la definizione di cosa si debba intendere per “servizio”.
Alcuni rinunceranno certamente a mantenere un qualsiasi ruolo nella nazione, ma altri potrebbero invece decidere di appoggiarsi a un escamotage, ovvero mantenere le loro infrastrutture locali, ma senza che queste siano accessibili ai locali.
Una soluzione che a prima vista potrebbe sembrare paradossale, ma facendo uso di un programma VPN e un po’ di creatività nel compilare i dati dei contratti ed ecco che un contestatore birmano potrebbe improvvisamente trasformarsi nel genero di Steve Jobs. Illegale? Certo, ma le aziende potrebbero chiudere un occhio.
L’ideale sarebbe che il presidente degli Stati Uniti prendesse una posizione puntuale in merito, tuttavia, in mancanza di chiarezza, il destino di internet in Birmania resta appeso a un filo in un momento che è più critico che mai: non solo l’esercito spara senza troppo ritegno sulle folle di contestatori, ma ora ha preso anche a lanciare bombardamenti aerei sulle minoranze guerrigliere, in modo da prevenire che queste possano unire le forze con il movimento di resistenza.
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