L’esperimento dei Tree Talker e della Foresta 4.0 hanno monitorato dal 2018 un bosco con lo scopo di acquisire informazioni di qualsiasi genere. A due anni dall’inizio dell’esperimento sono arrivati i risultati della “voce degli alberi”.
Anni di studi da parte dello staff di Riccardo Valentini del CMCC (Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) e dopo l’intuizione di Antonio Brunori, segretario Generale PEFC (Sistema internazionale di certificazione di gestione forestale sostenibile) e della sua Foresta 4.0. Il programma si chiama Trace (acronimo di TRee monitoring to support climate Adaptation and mitigation through PEFC Certification) ed è stato messo in pratica appunto da Antonio Brunori dal CMCC su una trentina di alberi in Umbria, fin dall’ottobre 2018.
Il sogno di Antonio, sin da piccolo, era quello di diventare “dottore degli alberi” e trovare un modo per agire attivamente sulla flora terrestre.
Racconta oggi Antonio Brunori, ora dottore forestale:
Sicuramente quel sogno è intatto e mi ha portato verso lo studio della Foresta 4.0 ovviamente la mia idea che avevo da bambino si è trasformata nella possibilità di aiutare, di contribuire ogni giorno al miglioramento del Pianeta, così come quella famosa favola del piccolo colibrì che con una goccia d’acqua cercava di spengere un incendio.
Io ho una certezza: se noi continuiamo a guardare al passato e al futuro senza fare qualcosa nel presente, non saremo mai protagonisti della nostra vita ed è per questo che il progetto Trace è risultato così importante, trasformando dei pensieri in strumenti per informare il mondo della ricerca, ma anche i decisori pubblici.
I risultati dell’esperimento Tree Talker
Dopo due anni di monitoraggio con i Tree Talker nel bosco di Piegaro dall’ottobre 2018, con la possibilità di studiare “la voce degli alberi”, siamo curiosi di conoscerne i risultati.
Il risultato dell’esperimento ha riscontrato che l’albero non parla, ma comunica moltissime cose.
Purtroppo per gli amanti del fantasy e degli Ent l’albero non parla, ma è in grado di comunicare con noi se siamo in grado di interpretarne i segnali visivi (attraverso le sue strutture e i suoi organi) o attraverso lo studio delle sue funzioni vitali (velocità della linfa, traspirazione, fotosintesi, apertura degli stomi, accrescimento ecc).
Dal loro esame si può individuare ad esempio la vitalità, la stabilità, la capacità di reazione agli eventi meteorologici e, per lunghi periodi di osservazione, anche la loro resilienza e reattività al cambiamento del clima.
Ognuna delle trenta piante monitorate è stata dotata di sensori capaci di raccogliere dati su diversi parametri eco-fisiologici: crescita in diametro, flussi d’acqua, informazioni sulle foglie, respirazione. Tutto ciò incrociando i dati climatici e quelli legati ai fattori umani. Lo scopo è quello di avere gli strumenti adeguati per misurare la capacità degli ecosistemi, anche dal punto di vista della resistenza, ai cambiamenti ambientali, è molto utile per migliorare la qualità della gestione forestale.
Le osservazioni sulle piante monitorate con i sensori hanno rilevato un anticipo generale della ripresa vegetativa delle piante, con conseguente anticipo delle fasi fenologiche rispetto alla stagione che sul calendario astronomico corrisponde tutt’ora all’inverno, ma anche un ritardo della senescenza autunnale e quindi della dormienza invernale.
Si è riscontrato un anticipo generale della ripresa vegetativa delle piante. ma anche un ritardo della senescenza autunnale e quindi della dormienza invernale
Questo come conseguenza di temperature maggiori della media del periodo (purtroppo associata a piogge inferiori alla media) registrata dalle stazioni meteorologiche della zona. Quindi le piante reagiscono a condizioni climatiche che purtroppo da tempo deviano da quelle tipiche della stagione di riferimento.
Queste anomalie possono incidere sulle durate del ciclo produttivo, che negli ultimi anni si stanno sempre più accorciando a causa del riscaldamento globale, e sulla relativa produzione annuale per le specie agricole: l’anticipo nella ripresa vegetativa porta all’allungamento del periodo di esposizione alle gelate degli organi più sensibili della pianta (germogli erbacei).
Quanto registrato dai Tree Talker conferma un dato che per la vicina Piegaro (tra l’Umbria e la Toscana) ha un valore di un aumento di 1,64 gradi circa (rispetto ai dati medi annuali di 50 anni fa). Troppo presto per dare un risultato, ma le piante monitorate hanno reagito (in questi due anni) con un allungamento della propria stagione vegetativa di circa venti giorni.
Per parlare delle piante osservate si può affermare che con inverni caratterizzati da temperature costantemente al di sopra della media (in particolare di quelle notturne) può realizzarsi il mancato soddisfacimento del “fabbisogno in freddo” indispensabile per la rimozione della quiescenza invernale delle gemme.
Con il mancato “fabbisogno in freddo” ci sarà un germogliamento delle gemme a legno laterali più tardivo insieme alla caduta di fiori.
Questo fatto può portare a diverse conseguenze negative quali un germogliamento delle gemme a legno laterali più tardivo, scarso e con avvantaggiamento delle apicali, oltre alla possibilità di caduta dei fiori e relativa scarsa produzione nell’anno. L’entità dello slittamento di queste date varia ovviamente a seconda delle specie.
Sugli alberi studiati a Piegaro, notiamo che le conifere (Pino nero e Douglasia) hanno di fatto “approfittato” di questa situazione, prolungando la fase attiva fotosintetica durante l’inverno più caldo. Le latifoglie (cerro, rovere e ciliegio) hanno perso le foglie più tardi, ma hanno anche mostrato dei rallentamenti nella crescita a causa delle lunghe fasi estive siccitose. La pianta che ha dimostrato maggiore “sofferenza” è stato il pino silvestre, che è più sensibile alle variazioni climatiche.
I botanici sanno che il meccanismo che governa l’entrata e l’uscita dalla dormienza è estremamente tarato e raffinato, e incentrato principalmente su temperatura e fotoperiodo.
La temperatura è una delle variabili ambientali più efficienti nel segnalare alle piante il momento di iniziare l’attività fisiologica, mentre il periodo, forse mediante un effetto combinato con la temperatura, determina il momento della cessazione dell’attività.
È stato ipotizzato che il cambiamento climatico possa disturbare questo fine meccanismo che le piante hannoelaborato per sfuggire al gelo invernale, poiché molte di esse potrebbero non essere in grado di accumulare le ore di freddo necessarie per un’efficace ripresa vegetativa in primavera che, quindi, potrebbe risultare ritardata, oppure, all’opposto, riprendere la crescita troppo precocemente, aumentando così il rischio di subire danni a causa di gelate primaverili.
Purtroppo questo è un trend che da tempo si sta verificando in tutta Italia: una recente analisi difatti rivela che la temperatura media nei comuni italiani è cresciuta in media di 2,2°C nel giro di cinquant’anni, con un aumento che ha toccato picchi di oltre 4°C in alcune aree del Paese (3,4° a Milano, 3,6° a Roma)
Per maggiori dati si può consultare questo sito.
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