I cosiddetti “fuochi zombi” e la combustione della flora resistente al fuoco sono le nuove minacce che insidiano la foresta boreale.
Gli scienziati di tutto il mondo denunciano come quest’anno la stagione degli incendi sia giunta nei paesi artici con due mesi di anticipo, investendoli con una violenza senza precedenti. Non solo, il modo stesso in cui il fuoco attecchisce è insolito e preoccupante, figlio del cambiamento climatico.
Ad allarmare non è solamente la dimensione dell’area che è andata a fuoco, ci sono altri sviluppi che abbiamo notato dai dati satellitari che ci dicono come il regime degli incendi dell’artico stia cambiando e cosa questo voglia dire per il clima del nostro futuro,
ha fatto notare il dottor Merritt Turetsky, co-autore dello studio pubblicato su Nature Geoscience ed ecologista del fuoco e del permafrost presto l’Universitá del Colorado a Boulder.
Turetsky fa riferimento innanzitutto ai fuochi residui, detti anche “fuochi zombi“, un fenomeno che nella zona era fino adesso atipico, ma che minaccia di riverberare negli anni in maniera esponenziale.
Gli incendi del passato, interrotti bruscamente dall’inverno, hanno infatti coperto il sottobosco di una torba altamente combustibile. Fintanto che l’umidità la tiene a bada non ci sono problemi, ma all’avvento del clima secco i residui si riaccendono, fomentando i fuochi.
Proprio la secchezza del clima, accentuata dai cambiamenti climatici, sta inoltre intaccando la resistenza della tundra alle fiamme. La vegetazione normalmente ignifuga – muschio, frasche, erba – è ormai tanto rinsecchita che persino i terreni palustri sono ormai vulnerabili.
Come tutti i contraccolpi del cambiamento climatico, anche questi due fenomeni sono destinati a esacerbare una situazione ecologicamente precaria, finendo con l’intensificare le emissioni di gas serra.
Quasi tutti gli incendi scoppiati quest’anno nel circolo artico sono capitati su tratti di permafrost continuo, con più di metà di questi che hanno consumato antichi suoli torbosi. Il record delle temperature alte e i fuochi ad esse associate possono trasformare questo bacino carbonifero in una fonte di carbonio, sostenendo così il surriscaldamento globale,
sottolinea il dottor Thomas Smith, co-autore del documento e scienziato del fuoco presso la London School of Economics and Political Science.
Assumendo toni preoccupati, la ricerca fa appello alla lungimiranza della comunità internazionale, chiedendo massicci investimenti e la cooperazione coi popoli locali, così da monitorare con la dovuta attenzione le inquietanti evoluzioni degli incendi artici.
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