Una nuova legge garantirà alla Turchia un maggior controllo su tutti i contenuti messi in circolo attraverso i social media predominanti.
Il nuovo decreto passato oggi, mercoledì 29 luglio, impone alle Big Tech tutta una serie di accorgimenti amministrativi che preoccupano varie associazioni – governative e non – che si occupano di diritti umani. Il timore condiviso è che la mossa finirà con il concedere al presidente Recep Tayyip Erdogan il monopolio sui media di informazione.
La legge va infatti a toccare tutti i social network che vantano quotidianamente più di un milione di utenti attivi e li obbliga a istituire sul suolo turco delle sedi rappresentative che dovranno sottostare alle ordinanze dei tribunali locali.
In un Paese in cui l’insultare e il criticare sui social il proprio capo del governo costituisce un crimine, la norma potrebbe essere abusata per garantire ai partiti dominanti, ovvero al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AK), la censura di ogni posizione in dissonanza con la narrativa ufficiale.
Se i mastodonti della Rete si rifiuteranno di adeguarsi alla legge, il Governo potrà sanzionarli con pesanti multe, bloccare loro gli annunci pubblicitari e, cosa più importante, limitare la loro larghezza di banda fino al 90 per cento.
Se si dovessero opporre alla censura di Stato, insomma, lo Stato farà sì che i siti in questione non siano più accessibili.
Per avere un metro della situazione, secondo al “transparency report” redatto da Twitter nel 2019, la Turchia è la prima nazione al mondo, per quanto riguarda le richieste di rimozione dei contenuti dai social: in un solo semestre sono state 5.685.
Erdogan si è da sempre dimostrato ostile ai colossi quali Facebook e Twitter, asserendo che questi siano promotori di “atti immorali”, ma il suo accanimento si è ulteriormente accentuato a inizio mese, ovvero quando diversi utenti hanno usato le suddette piattaforme per insultare sua figlia.
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