Su Netflix è disponibile I Cavalieri dello Zodiaco – Saint Seiya, serie animata reboot che riscrive la storia di Seiya, Ikki, Hyouga, Shun e Shiryu. Una nuova avventura in 3D per i cavalieri di Atena.
Era il 1985 quando sulle pagine del settimanale Shōnen Jump veniva pubblicato il primo volume di Saint Seiya (in Italia noto come I Cavalieri dello Zodiaco), manga scritto e disegnato da Masami Kurumada. La storia vede protagonisti cinque adolescenti – Seiya, Ikki, Shun, Hyoga e Shiryu – che si sottopongono ad estenuanti allenamenti per diventare Saint, ovvero guerrieri devoti alla dea Atena che sin dall’antichità lottano per proteggere la dea e l’umanità.
I cinque ragazzi saranno i devoti difensori di Atena, dea greca della giustizia che si è reincarnata in Saori Kido, che è tornata sulla Terra per proteggerla da un imminente pericolo. Insieme ai suoi Cavalieri – muniti delle loro mitiche cloth che ne raffigurano la costellazione cui appartengono – la dea difenderà ancora una volta l’umanità dagli attacchi di divinità malvagie che vuole soggiogarla.
I cinque ragazzi protagnisti sono i devoti difensori della dea Atena.
La storia del manga si divide in tre grandi saghe: The Sanctuary, The Poseidon e The Hades. Nella prima Seiya e i suoi compagni dovranno vedersela con i Black Saint, i Silver Saint e i potenti Gold Saint, raffiguranti i dodici segni zodiacali. Una battaglia per la riconquista del Grande Santuario che porterà a smascherare un complotto iniziato ben tredici anni prima, nelle altre due saghe la faccenda si fa molto più seria visto che i nemici saranno il dio del mare Poseidone ed il dio dell’aldilà Ade.
Visto il grande successo della serie era inevitabile che il manga di Kurumada divenisse un media franchise. Così nel 1986 arriva la serie animata che porta i personaggi sul piccolo schermo e con non poche differenze. Composta da 114 episodi l’anime ripropone le prime due saghe del manga a cui si aggiunge quella inedita di Asgard. La saga di Ade è stata trasposta sono nel 2002.
Un successo quello di Saint Seiya che negli anni non è mai diminuito, tanto che nel corso degli anni il suo creatore ha ridato linfa alla saga con spin-off sia cartacei che animati. Oltre a due prequel (Episode G e Lost Canvas) e ad un sequel (Next Dimension) è stata pubblicata anche la serie I Cavalieri dello zodiaco: Saintia Sho – Le Sacre Guerriere di Atena che vede protagoniste le ancelle di Atena. Senza dimenticare le serie animate Saint Seiya Ω e Soul of God.
Saint Seiya è tornato con una nuova serie in 3D prodotta da Netflix che ne rivisita le gesta.
Proprio l’animazione è il mezzo che ha fatto conoscere Seiya, Ikki, Shun, Shiryu e Hyoga al grande pubblico ed in un epoca in un cui le produzioni sembrano conoscere solo le parole remake, sequel, reboot, prequel anche i cavalieri di Atena sono tornati con una nuova serie che ne rivisita le gesta. Prodotta e distribuita da Netflix la serie animata è in 3D ed è arrivata sulla piattaforma streaming il 14 luglio.
Riportare sullo schermo – piccolo o grande che sia – un prodotto cult è sempre un rischio. Nel corso degli anni non poche sono state le delusioni e purtroppo il Saint Seiya firmato Netflix non fa eccezione. Il brutto presentimento – chiamatelo sesto senso per restare in tema – che si ha avuto sin dal trailer è stato confermato in toto, senza possibilità di smentita.
Partiamo come sempre dall’inizio, quindi dalla sigla. Chiunque sia cresciuto con l’anime originale sa ancora a memoria le sigle di Saint Seiya, brani che ancora oggi riescono ad emozionare. Non si può dire lo stesso dell’intro di Netflix che altro non è che la versione inglese di Pegasus Fantasy di cui si capiscono la metà delle parole. Una simil traccia rock, arrangiata con iTunes, che invece che fomentare – come fanno la versione originale e quella italiana – fa solo storcere la bocca e sanguinare le orecchie.
Per quanto la sigla sia la prima palese delusione che si pone a chi guarda il Saint Seiya di Netflix è però l’ultimo dei molti problemi che il prodotto presenta. Purtroppo il remake non riesce minimamente a catturare la curiosità dello spettatore o anche solo semplicemente ad incuriosirlo. O meglio, stuzzica ma per il motivo sbagliato perché si continua a vederlo solo per puro e semplice masochismo, per vedere in che modo hanno stravolto e deturpato un anime sicuramente imperfetto ma che a distanza di anni riesce ancora ad emozionare.
Il Saint Seiya di Netflix non riesce minimamente a catturare la curiosità dello spettatore o anche solo semplicemente ad incuriosirlo.
Per quanto la storia di base sia sempre la stessa, ovvero la rinascita di Atena ed un incombente pericolo per l’umanità, vi sono notevoli cambiamenti.
Come la serie originale anche il reboot è immerso nella contemporaneità, ma in questa nuova versione la tecnologia è molto più presente e viene ovviamente utilizza a scopi malvagi. Altro grande stravolgimento è la presentazione di Seiya, che se nella serie originale lo troviamo intento a lottare con Cassios per la conquista dell’armatura di Pegasus, qui viene introdotto ancora bambino che vive con la sorella Patricia.
Un inizio quindi completamente nuovo e che non risulta così straniante, almeno finché non entrano in scena dei misteriosi militari di una misteriosa organizzazione il cui scopo è sostituirsi ai cavalieri ed uccidere gli dei. È questo il più grande stravolgimento della serie, l’imminente guerra non tra i cavalieri di Atena e le forze del male, ma tra cavalieri e un’organizzazione paramilitare guidata dal fanatico Vander Guraad – ex socio di Alman di Tule, nonno adottivo di Lady Isabel – che venuto a conoscenza della profezia riguardante la dea Atena ha deciso di intraprendere una crociata contro i possessori del cosmo e difendere la Terra dagli dei a modo proprio.
Il risultato è un pastrocchio non indifferente
Un intento certamente nobile quello di dare vita ad un remake che cerca di unire innovazione e rispetto per la serie classica, ma il cui risultato è un pastrocchio non indifferente, con scene al limite del ridicolo e siparietti che vorrebbero essere comici ma che invece risultano solo tristi.
Ed è un peccato perché se l’intento è quello di dare vita ad un prodotto che catturi le nuove generazioni il risultato è quello opposto. Perché è oggettivamente difficile affezionarsi ad un prodotto con una grafica 3D vecchia di 20 anni, degna dei giochi della Playstation 2, con movimenti tutt’altro che fluidi ed una storia che non riesce minimamente ad incuriosire.
Perché è inutile negarlo, la sceneggiatura è il più grande difetto di questa nuova versione di Saint Seiya. Il problema non è tanto il voler in qualche modo svecchiare il franchise o lo stravolgimento messo in atto, il problema è che la vicenda risulta risulta priva di pathos.
Se c’è un elemento che caratterizzava il manga e l’anime era proprio l’emozione che suscitava ogni puntata e la voglia di voler vedere immediatamente l’episodio successivo.
La sceneggiatura è il più grande difetto di questa nuova versione di Saint Seiya: tutta la vicenda risulta priva di Pathos.
Invece l’unica cosa che suscita il Saint Seiya Netflix è una sensazione tra lo straniante, un grosso punto interrogativo e la noia. Non bastano i richiami a manga ed anime per salvare una barca che fa acqua praticamente ovunque. Una storia così frettolosa il cui risultato è la mancanza di ritmo.
Non c’è un minimo di suspense o di adrenalina nei sei episodi (su dodici) disponibili. Una storia in cui i combattimenti durano il battito di ciglia e dove totalmente privi della crudezza che richiederebbero. Una versione smussata che fa degli scontri tra cavalieri delle scaramuccie tra ragazzini.
Una storia che risulta quindi essere priva di tutti quegli elementi che hanno caratterizzato i due prodotti principali del franchise ideato da Kurumada. Una vicenda la cui base è tutt’altro che solida e che farà storcere il naso a non pochi e non bastano gli apprezzabili disegni dei flashback a salvare la situazione.
Questa nuova versione di Saint Seiya delude sotto tutti i punti di vista e porta a chiedersi il perché di molte scelte.
Prima fra tutte la scelta di cambiare sesso a Shun, il cavaliere di Andromeda. Se da una parte il cambio di sesso del personaggio serve in qualche modo a portare il franchise nell’era odierna, dall’altra lo stravolge completamente. Quello di Andromeda è probabilmente il personaggio più affascinante di tutta la saga.
Shun è in qualche modo il cavaliere che rompe lo schema. Dolce, aggraziato e contrario alla violenza è l’opposto del modello di mascolinità a cui si è abituati, rappresenta quindi la parte sensibile dell’uomo. Cambiargli sesso vuol dire negare che anche un uomo possa essere gentile.
Trasformare Andromeda in una donna vuol dire non aver compreso il personaggio e riabbracciare uno stereotipo femminile ormai stantio e superato.
Così come allo stesso modo trasformarlo in una donna vuol dire in qualche modo riabbracciare uno stereotipo femminile ormai stantio e superato. Perché è innegabile che in questo modo Andromeda diventa la più classica fanciulla dolce, gentile, vestita di rosa e che vuole solo che fuggire dalla battaglia. Certo nei sei episodi il personaggio dimostra la sua forza e determinazione, ma purtroppo sono caratteristiche che vengono messe in secondo piano da tutto il resto.
È innegabile che il reboot di un prodotto amato come Saint Siya possa non soddisfare appieno i fan di vecchia data, ma è altrettanto innegabile che questa nuova versione non ha né capo né coda. È un mix senza forma di passato e presente che strizza l’occhio al futuro in maniera alquanto goffa. Sei puntate a dir poco frettolose dove la caratterizzazione dei personaggi è appena accennata – affidata prevalentemente ai flashback – e dove l’azione non riesce mai ad essere veramente tale. Purtroppo è l’ennesima occasione sprecata che si guarda più per macabra curiosità che per vero interesse, in grado di far rivalutare serie oscene come Saint Seiya Omega. Il cosmo più che bruciare evapora.
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