La scienza ha sempre cercato di individuare un’unica teoria che possa combinare tutte le teorie esistenti e spiegare l’origine dell’universo, il suo comportamento e la nostra esistenza.

La storia ci insegna che l’evoluzione della tecnica e le sue intuizioni hanno permesso all’uomo di raggiungere traguardi incredibili fornendo elementi sempre più sofisticati per capire l’universo.

Dai grandi pensatori, osservatori e scienziati come Aristotele passando per Tolomeo, Copernico, Keplero, Newton e poi Einstein fino a Stephen Hawking, solo per citarne alcuni, le leggi che regolano i fenomeni terrestri e in maniera più allargata quelli dell’universo ci hanno fornito indizi per capire da dove veniamo e predire dove andremo.

Già Aristotele con le sue intuizioni e dall’osservazione dell’ombra proiettata dalla Terra sulla Luna constatò che la Terra avesse una forma sferica.  Che i terrapiattisti si siano dimenticati qualche lezione di storia e filosofia? Ma questa è un’altra storia.

Sono stati fatti tanti progressi da allora, scoprendo teorie parziali che descrivono un ambito limitato di fenomeni ma

la ricerca ha l’obiettivo di individuare una teoria unificata, che possa inglobare tutte quelle scoperte fino ad ora e spiegare nel suo complesso la natura e l’universo: una Teoria del Tutto.

La complessità e i segreti che si celano dietro alla creazione dell’universo hanno spinto da sempre la nostra voglia di sapere oltre ogni confine e la volontà di crescere, con la consapevolezza che magari un giorno si arriverà davvero a teorizzare un’unica legge e che questa sarà compresa da tutti.

Stephen H. Hawking, l’astrofisico e cosmologo più conosciuto dell’era moderna, ha sempre creduto, anche se con cauto ottimismo, nel fatto che gli uomini siano sempre più vicini a scoprire le leggi ultime che regolano la natura. Difficile dire in quanto tempo la mente umana potrà effettivamente arrivarci: c’è ancora tanta strada da percorrere fino alla fine dell’universo (ma esiste una fine?)

La relatività classica generale, da sola, non riesce a descrivere l’universo.

Le osservazioni e gli studi hanno portato Hawking a teorizzare la necessità di combinare la teoria classica della relatività con il principio di indeterminazione della meccanica quantistica. 

La relatività classica generale, da sola, non riesce a descrivere l’universo in quanto quando la curvatura spazio-tempo diventa molto accentuata, gli effetti gravitazionali quantistici assumono un’importanza maggiore, quindi per comprendere la nascita dell’universo dobbiamo ricorrere alla teoria quantistica della gravità.

 

Rappresentazione dello spazio-tempo intorno alla Terra

 

Fin da piccola ho immaginato l’universo come qualcosa di immenso e silenzioso, forse perché lo associavo alla notte, il momento in cui risulta più spettacolare dalla terra. In realtà esso è un luogo pieno di movimento e vivacità.

Quando si parla di universo e delle sue teorie per la gente comune, come me, diventa uno sforzo immane cercare di immaginarne le forme e i comportamenti e capire anche la minima parte della sua complessità: l’immaginazione si arrende e il cervello sembra che stia per scoppiare.

Ma proprio l’utilizzo di strumenti come la matematica ha permesso il superamento di questo limite e ha reso possibile la rappresentazione di situazioni lontane e complesse.

E, appropriandomi di un esempio di Adrian Fartade, si può affermare che la matematica è come la cazzuola per il muratore, senza di essa egli non potrebbe costruire il muro della casa.

 

 

 

Il Big Bang all’origine di tutto

La scoperta dell’espansione dell’universo è stata una vera e propria rivoluzione del pensiero del XX secolo.

La scoperta dell’espansione dell’universo è stata una vera e propria rivoluzione del pensiero del XX secolo. Fino a quando la maggior parte delle persone ha creduto in un universo statico e immutabile, la questione della genesi dell’universo è appartenuta al campo della metafisica e a quello della teologia: o era esistito da sempre oppure era stato creato in un determinato istante.

All’inizio del ‘900 Einstein teorizzava la teoria della relatività e restava convinto di un universo statico tant’è che per spiegarlo introdusse un correttivo alla sua teoria, e cioè una nuova forza antigravitazionale intrinseca nel tessuto spazio-tempo, la costante cosmologica.

Nel 1922, quindi qualche anno dopo, Fridman, cosmologo e matematico russo, teorizzò invece un modello di universo in espansione. Lo stesso fu osservato più tardi da Edwin Hubble, astronomo e astrofisico statunitense, a riprova che l’assunto di Fridman era una descrizione accurata del nostro universo.

Dall’osservazione di Hubble, per cui da qualunque parte si guardi il cielo le stelle si stanno allontanando da noi, si evince che in un tempo remoto i corpi celesti fossero più vicini tra loro. C’è stato, quindi un momento, un Big Bang, per cui l’universo ha iniziato la sua espansione. In pratica l’idea è quella che nel momento precedente al Big Bang la distanza fra le galassie doveva essere pressoché zero, e la curvatura dello spazio-tempo e la densità dell’universo dovevano essere infinite. Ad un certo punto deve esserci stata una irregolarità, cosiddetta singolarità, tale per cui l’universo ha iniziato ad espandersi.

Il Big Bang non è un’esplosione, rubando l’efficace espressione di Adrian Fartade “se qualcuno vi dice che il Big Bang è un’esplosione … pam pam” (imitando il gesto di due schiaffi all’aria).

Sulla base di questo modello la questione dell’inizio dell’universo divenne un’affare non più solo religioso ma anche scientifico.

L’espansione dell’universo indica che c’è stato un motivo di carattere fisico che lo ha permesso, qualcosa per cui era necessario che la scienza se ne occupasse.

 

 

 

Universo in espansione

L’universo in espansione potrebbe essere non facile da immaginare perché non è che le galassie vicine si stanno allontanando da noi, ma è tutto l’universo che si sta espandendo, è lo spazio in mezzo che si stira.

L’immagine che spesso si usa per capire il concetto di espansione dell’universo è un palloncino su cui vengono disegnati dei puntini, man mano che il palloncino si gonfia i puntini si allontanano tra loro, ma occupano sempre lo stesso punto sulla sua superficie.

 

 

Una volta compreso questo si passa alla questione successiva, sempre con il modello di Fridman, l’universo è finito nello spazio, anche se lo spazio attorno non ha limiti: la gravità al suo interno ha una forza tale per cui lo spazio si incurva su se stesso.

In pratica è come se facessimo un giro attorno alla Terra su una linea retta, e, partendo da un punto, arrivassimo allo stesso punto. Lo spazio è rappresentabile in questo stesso modo solo che ci sono tre dimensioni, o meglio quattro, considerando anche il tempo, che hanno un’estensione finita.

L’idea di fare il giro dell’universo partendo da un punto e arrivando allo stesso punto è più fantascientifico che reale, questo perché a qualunque velocità andassimo non riusciremmo a raggiungere di nuovo lo stesso punto in quanto l’universo nel frattempo continua ad espandersi. L’unica soluzione sarebbe quella di viaggiare più veloce della luce, ma ciò, per la teoria della relatività, non è possibile.

Ed è proprio con la teoria della relatività e della meccanica quantistica che si dimostra che il tempo e lo spazio sono finiti, ma senza limiti.

L’universo è in continua espansione, almeno è quello che fino ad adesso è stato osservato, ma potrebbe succedere che cominci a contrarsi? Se la velocità di espansione non è più in grado di contrastare la forza di attrazione, si potrebbe tornare indietro fino a che tutta la materia non torni a concentrarsi in un unico punto? Anche se dai modelli teorizzati la possibilità esiste, al momento possiamo stare tranquilli, si pensa che se e  quando accadrà il genere umano si sarà estinto già da molto tempo.

 

 

 

Buchi Neri

La possibilità che il Big Bang nasca da una singolarità è stata dimostrata con l’osservazione dei buchi neri. Si osservò (Penrose nel 1965) che quando una stella collassa tutta la materia viene compressa, la densità e la curvatura spazio-tempo diventano infinite. Quindi qualunque stella soggetta al collasso gravitazionale doveva terminare in un singolarità.

Se ce li immaginiamo bidimensionalmente in questi oggetti supermassicci è possibile tracciare una linea al loro interno, ma essendo lo spazio-tempo completamente piegato su sé stesso, si continuerà a disegnare una linea all’infinito senza mai uscire dal buco nero, se non andando ad una velocità maggiore di quella della luce, ma questo non è possibile.

I risultati furono poi utilizzati da Hawking che dimostrò che, invertendo la direzione del tempo in modo che dal collasso si passi all’espansione, le condizioni restano ancora valide.

Questo ha dimostrato la necessità di una singolarità, e quindi un big bang, all’origine dell’universo.

 

 

 

L’assenza di confini
e le frecce del tempo

Per capire l’origine dell’universo e il suo destino, una condizione a cui si fa riferimento è l’assenza di confini. L’assunto è che la condizione di confine dell’universo è quella di non avere confini. È possibile infatti che lo spazio-tempo sia finito e al contempo non abbia confini: la teoria quantistica della gravità infatti dimostra che se non ci sono confini allora non è necessario specificare lo stato iniziale dell’universo o sapere cosa avviene oltre questi confini o quello che avvenne poco prima del Big Bang.

Ai suoi inizi, applicando il principio di indeterminazione, l’universo non doveva essere completamente uniforme, ma doveva presentare alcune indeterminazioni nelle posizioni e nelle velocità delle particelle. Questo, associato all’essenza di confini, porta all’idea che l’universo sia iniziato con il grado minimo di eterogeneità e l’aumentare delle variazioni hanno portato prima alla formazione delle galassie, poi delle stelle e poi degli esseri come noi.

Se lo spazio-tempo forma una superficie chiusa ma senza confini, risulta autonomo, chiuso in se stesso e non sarebbe soggetto ad alcuna influenza esterna, non sarebbe stato creato e non verrebbe distrutto: l’universo esiste e basta. Ma allora è possibile ammettere l’esistenza di un creatore?

Partendo da una condizione omogenea ed ordinata all’inizio dell’universo la sua espansione, applicando il secondo principio della termodinamica, comporta uno stato sempre più disordinato (entropia). Questo aumento del disordine è la rappresentazione del tempo: ma perché riusciamo ad osservare solo la direzione in avanti nel tempo?

 

 

Hawking teorizzò le frecce del tempo, qualcosa che distinguendo il passato dal futuro dà al tempo una direzione.

Hawking teorizzò le frecce del tempo, qualcosa che distinguendo il passato dal futuro dà al tempo una direzione. Si parla di freccia del tempo termodinamica, che indica la direzione del tempo in cui il disordine aumenta, di freccia del tempo psicologica, che è quella con cui gli uomini percepiscono lo scorrere del tempo e di freccia del tempo cosmologica, che è la direzione del tempo in cui l’universo si espande.

La tesi è che le frecce del tempo psicologica e termodinamica siano strettamente legate e puntino sempre nella stessa direzione, se l’universo non ha confini a loro volta sono legate a quella cosmologica e questo dimostra che il nostro senso oggettivo del tempo corrisponde alla direzione in cui si espande l’universo.

Perché non riusciamo ad invertire la freccia del tempo? E cosa accadrebbe se la freccia del tempo fosse reversibile?

Se pensiamo che invertire la freccia del tempo corrisponde alla contrazione dell’universo, potremmo tornare alla condizione iniziale, a quando tutto ebbe inizio. Però, come dimostrato da Laflamme, il collasso dell’universo sarebbe molto diverso dalla sua espansione quindi non si tornerebbe alle stesse condizioni di prima.

Che questa sia la condizione per cui tornando indietro nel tempo sarebbe meglio non incontrare noi stessi perché se lo facessimo qualunque azione aumenterebbe l’entropia e potrebbe cambiare gli eventi del futuro? Che la soluzione sia tornare indietro nel tempo attraverso universi paralleli per aggiustare quello che non va nel futuro? Che il buco nero sia un portale per l’accesso a qualcosa di sconosciuto?

 

 

 

Teoria del Tutto

Quello che ancora manca è una teoria che combini la gravità con tutte le altre forze, affinché sia possibile definire una legge che spieghi l’origine dell’universo e quello che siamo. Già Einstein dedicò i suoi ultimi anni alla ricerca di una teoria unificata, ma i tempi non erano ancora maturi.

Ma è possibile che esista un’unica teoria del tutto? Le possibilità sembrerebbero tre:

  1. Esiste realmente una teoria unificata che un giorno riusciremo a scoprire.
  2. Non esiste una teoria definitiva, ma infinite teorie specifiche.
  3. Non esiste alcuna teoria del tutto.

Considerando più probabile la prima, Hawking dimostra che la seconda possibilità porterebbe comunque ad un’unica teoria, mentre la terza sarebbe come dire che si sia creato tutto dal caos.

Una teoria del tutto metterebbe la parola fine allo sforzo dell’umanità di comprendere l’universo.

Fantascienza o realtà l’ignoto ha sempre affascinato e magari il fatto di arrivare alla verità attraverso piccoli passi aumenta l’eccitazione, crea la suspense sulla scoperta della verità.

Anche se probabilmente non vivrò abbastanza prima di sapere come andrà a finire, certo è che tutto questo conquista le nostre menti e lascia ancora molto spazio alla nostra fantasia che sarà sempre in grado di farci ammaliare dall’universo.

 

 

 

Trovate La Teoria del Tutto, il film del 2014 di James Marsh
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