La storia di Roberto Bruzzone inizia da un terribile incidente che gli ha fatto perdere la gamba destra. Da quel momento inizia la storia di Robydamatti.

Durante la scalata di una vetta ci sono numerose prove da affrontare: il corpo che lentamente si deve abituare a delle altitudini da Boing 747, la respirazione, parte fondamentale di un’arrampicata in quanto l’ossigeno ti permette di trasformare le riserve energetiche immagazzinate col cibo in energia immediatamente disponibile, ma soprattutto lo spirito e la forza d’animo che genera la scintilla necessaria per percorrere un così difficile cammino.

Gli zaini dei trekker professionisti sono spesso carichi di peso, in quanto devono contenere l’essenziale per la sopravvivenza e la buona riuscita della spedizione.

Nel mio zaino oltre alle consuete vettovaglie, sacco a pelo e vestiti, c’è anche la mia gamba di riserva, la mia ruota di scorta in caso di emergenza.

Le vicende di Roby Bruzzone nascono da molto lontano, da delle circostanze per nulla scontate che hanno fatto cambiare drasticamente la vita del giovane trekker.

Era il 2000, ed ero in ripresa dopo la prematura perdita di mio padre; il pugilato impegnava gran parte della mia giornata, avevo un lavoro che mi piaceva moltissimo e mi ero comprato anche la moto, ed è proprio la moto e la mia passione per la velocità la causa di tutto ciò.

 

 

Un grave incidente nell’aprile del 2000 mi ha fatto passare dall’euforia al delirio d’impotenza.

Quattro anni di operazioni, terapie, ricadute, per quella gamba destra mai guarita, un piede in completo equinismo (integri collo del piede e tallone) e una deambulazione insostenibile a livello motorio.

 

Da pugile mi hanno insegnato a capire la reale potenzialità di se stessi, ed io sapevo benissimo cosa volevo fare nella vita, bastava solo volerlo.

Dopo la prima operazione pensai che la mia vita motoria fosse terminata nell’aprile del 2000, mi stavo quasi rassegnando all’idea di rimanere su una sedia a rotelle a vita, ma io sono cocciuto e non volevo rimanere fermo, dovevo risolvere la situazione.

Quando i medici mi dissero che dovevo salvare il salvabile, che comunque avevo la gamba, gli risposi che proprio perché l’avevo, io volevo decidere le sorti della mia vita e di quella gamba.

Io non volevo camminare, in quel momento io volevo ricominciare a correre e quindi gli dissi di tagliarla.

Il paradosso è che quando me la tagliarono e mi vidi per la prima volta sul letto senza la gamba finalmente ero felice, da lì in avanti sarebbe cominciata la mia nuova vita.

Lo sport, unito alla forza di volontà, come sappiamo crea un’endorfina naturale che riesce a far superare qualsiasi momento ed è così che Roberto inizia la sua nuova sfida; inizialmente insieme a Roberto La Barbera, atleta disabile, medaglia alle paraolimpiadi, e grazie al supporto tecnico della OttoBock di Bologna, azienda leader nella costruzioni di protesi,decide di provare l’atletica leggera, ma nonostante i traguardi raggiunti (60mt piani in 8 secondi) voleva spingersi ancora oltre.

Dopo aver accolto l’invito dell’amico e preparatore atletico Alessio Alfier a cimentarsi con il trekking, Bruzzone non si è più fermato. Gran Paradiso, cammino di Santiago di Compostela, Kilimanjaro, traversata dell’Islanda, Aconcagua, traversata della Corsica, deserto della Namibia e spedizione in Perù e Bolivia: tutte fatte rigorosamente con la gamba in spalla.

Queste avventure straordinarie ora è possibile anche leggerle nei suoi due libri, realizzati insieme all’amico, anch’esso amputato, Federico Blanc, Limiti e Africa: Sotto Zero dei piccoli manuali dove è possibile leggere riflessioni di un viaggiatore, passi molto pratici ma anche delle lezioni vere e proprie di vita: se Limiti è la teoria il secondo libro Africa Sotto Zero rappresenta la pratica.

 

 

La natura è un qualcosa di unico e viverla a 360° è un’emozione senza eguali. Il mio percorso da disabile mi ha portato a scalare delle vette incredibili, ad ammirare dei paesaggi mozzafiato ma è tutto questo cammino che è stato la mia grande avventura.

Prima dell’incidente non avrei mai pensato di fare il trekker professionista, ma la vita ti pone di fronte a dei bivi imprevedibili.

Il caso ha voluto che proprio dopo che mi amputarono una gamba iniziai a camminare e a macinare km lungo le montagne.

 

Le imprese degli alpinisti, degli esploratori, di chi arriva su una vetta sono delle imprese storiche, come quella di Simone Moro, che è riuscito a raggiungere la vetta del Nanga Parbat (ottava cima del mondo) per la prima volta in inverno, ma farle con “una gamba in spalla” senza dubbio ha dei risvolti ancora più forti perché il risultato è il medesimo ma è come lo si raggiunge che è straordinario.

 

Quando arrivo in cima a una vetta l’emozione è indescrivibile e 99 volte su 100 piango, un pò per la gioia smisurata di essere riuscito ad arrivare sul punto più alto e un po’ anche per la soddisfazione di averlo fatto in quel modo, che comunque è diverso da una traversata o arrampicata di un normodotato.

Per di più io e miei compagni facciamo queste spedizioni senza portatori, in completa autonomia, amiamo studiare i percorsi e vivere il più possibile con le risorse che ci dona “madre terra”, in questi anni ho imparato molto sulla sopravvivenza in condizioni estreme, ad adattarmi sia in montagna che nel deserto con quello che trovavamo intorno.

Ho dormito a 3000 metri e percorso sotto il sole cocente km e km di deserto, fatto conoscenza con popoli autoctoni cercando di imparare il più possibile da loro e anche dalla natura stessa, cercando di non precludermi niente.

Ogni volta che arriviamo alla vetta non so se mi dà più soddisfazione esserci arrivato con le mie forze o quello che vediamo in cima.

Quando si arriva in vetta abbiamo la possibilità di ricaricarci perché si ammirano dei paesaggi veramente mozzafiato che ripagano di tutto quello che hai sofferto in precedenza.

Tutte le mie traversate sono importanti perché ricordo perfettamente da dove sono partito, dai miei problemi motori, dal fatto che sono fortunato a poter di nuovo camminare; quindi anche 100 km rispetto ai 3000 sono per me un’impresa grandissima ma la cosa che mi fa piacere di più è il messaggio sociale che stiamo riuscendo a far passare con i nostri viaggi (e con la nostra Onlus Naturabile).

La maggior parte poi dei ringraziamenti li ricevo da normodati, quindi siamo arrivati al punto di svolta: ero partito per una sfida personale, per poi arrivare a lanciare dei messaggi ai disabili ma quello che è venuto fuori, per assurdo, è che l’85% di chi mi contatta e da quello che facciamo hanno preso forza, sono delle persone normodotate con nessun problema fisico e questa è una realtà che fa riflettere, perché mi trovo a fare da motivatore, io che in qualche modo dovrei essere motivato.

 

 

Roberto Bruzzone, con quel sorriso sincero, con quei capelli lunghi da indiano d’America, con quegli occhi carichi di speranza e forza sta dimostrando con il trekking e le sue avventure (robydamatti.it) che si possono fare cose eccezionali anche con una disabilità importante:

Tanti mi dipingono come un supereroe ma non è così:

Io sono qui per dire al mondo che se ce la faccio io, ce la può fare chiunque

Ma nello stesso tempo per dire a chi non gliene frega niente di andare in cima ad una montagna per sentirsi realizzato, perché non è importante arrivare a 6000 metri, che l’importante è capire che con l’impegno e con la testa si può arrivare ovunque.

Questo è quello che spero sempre di continuare a trasmettere con i miei viaggi, perché io mi potrei anche fermare; dal 2006 che ho iniziato a fare trekking avrò percorso a piedi più di 40.000 km ma la risposta che ricevo da chi mi segue mi dice di andare avanti.

Tutte le mattine che mi tiro fuori dal sacco a pelo o dentro una tenda chissà dove con dei dolori lancinanti, io penso sempre a chi non può camminare mai più, a chi non ne ha più la possibilità e a chi a casa conta sulla nostra riuscita per farsi coraggio e questo automaticamente mi dà una forza incredibile per portare avanti e finire tutti i miei viaggi.