Oggi darò il penultimo esame, sono uno che accetta i 18. Uno che zoppica fino alla pedana delle poltrone a rotelle, dei microfoni, delle cattedre, e sente di accedere a un nuovo mondo. Ora sono in aula pc e ho acceso 4 pc di fila, pronto ad assaltare il primo che termina il caricamento. Come pazientare? Sfoglio i riassunti, li muovo come se fossero un oggetto difettoso.
Sono talmente sbrigativo nel passarli in rassegna che non completo una sola frase. Prima inseguo una manciata di parole evidenziate, poi mandrie intere che passano da un A4 all’altro senza badare al fronte-retro, infine uno dei pc si offre all’uso e afferro il mouse come un lazzo per domare pulsanti di tastiera allo stato brado. Sfoglio Gmail, attentamente, con uno sforzo uso la chat di Facebook per dare risposte e perché.
Sono un PcMan nella norma.
Prendo l’acqua, anche il tè, non prima del caffè lungo, due dita di caffè lungo, impreco sottovoce. Mi siedo davanti alle macchinette a sorseggiare il caffè, ho visto altri farlo. Faccio piccoli sgorbi sul fondo del bicchiere col bastoncino di plastica, lo metto in bocca come un sigaro, lo succhio, lo rimetto nel caffè, due dita sono poche per fare un mulinello, lo pulisco di nuovo poi lo mastico allora lo prendo con le dita e lo appoggio sul sedile accanto.
Scendo le scale, c’è una bacheca, non mi interessa, scorro lo sguardo, non mi interessa e tutto è scritto in piccolo, dove sono le cifre col simbolo dell’euro? Vado in bagno, credo di esserci già stato, ripiscio e cago pure.
È trascorsa un’ora e mezza, manca un’ora all’esame, mi avvio verso l’aula 2, è aperta, scambio un’occhiata alle 3 tizie presenti, mi siedo. Bevo il tè. Sto provando a fare quello che dorme su un cuscino di braccia scomodissimo quando arriva uno che vedo 3 volte all’anno agli esami.
Lo riconosco ma lui si volta, déjà vu. L’aula si popola, prof e assistenti tardano, il tizio si gira, mi riconosce e siede accanto. Arriva una tizia che sa chi sono, si parla, si ridacchia, ci si annoia a morte. Prof e assistenti vengono pregiudicati. Tremo, sarà la teina o la caffeina? Ho sonno, fanno l’appello e chiamano i primi studenti da esaminare.
Mi alzo e mi dirigo allo stesso water di prima, per farlo apro la porta che dà sull’aula 1 (che richiudo perché c’è lezione), quella che dà sul cortile e i lavori in corso, quella per rientrare davanti al mini ufficio dell’usciere, la seconda sulla destra per entrare nell’antibagno, quella frontale per superare l’antibagno, la seconda sulla sinistra. Piscio. E torno. Penso ai tre PC accesi che non ho spento, alle clessidre rotanti, al caricamento. Realizzo di essere tra gli ultimi studenti rimasti.
Dopo cinque ore di vagabondaggio fisico e mentale vengo chiamato dall’assistente pregiudicata buona. Non faccio in tempo a raddrizzarmi che già sprofondo nella poltrona a rotelle sulla pedana. Dico buongiorno, poi buonasera, cerco di essere un PcMan amichevole. Il viso dell’assistente non è premuroso o amorevole, però sorride.
Mi accorgo che sono io a sorridere, sto scemando, sono agli sgoccioli. Le domande sono facili, il suo viso è impercettibilmente butterato là dove potrebbe esserci un solo innocuo neo. Sorrido di me stesso. Lei mi parla, è amorevole e premurosa.
Mi raddrizzo ogni tanto, un po’ di contegno, poi faccio commenti da metaesame, ignorati. Finora è stato tutto facile, anche rassettarmi per dire qualche parola in più. È evidente che ho fatto qualcosa di simile allo studio. Ma sto qui a farmi cambiare il pannolino, dopotutto è la prima mamma da tempo, e ormai l’evidenza è finita nel cesso.
Non c’è traccia delle mandrie di parole, non ho un mouse con me. L’assistente trascende i convenevoli, trascende la mia muta ridarola. Sono così stanco che vado a tentoni, così stanco di rendicontare la bruttezza di un pc-man che preferisco fare smorfie ed inebetirmi mentre l’assistente compatisce.
Mi offre un 18, non mi aspettavo nemmeno di arrivare ad un voto, era un esame? Ondeggiavo. Le dico sì, poi rammento di essere nato per quel sì fatidico, ma è ancora presto per il godimento platonico, devo riparare, meritocrazia!
Devo familiarizzare subito con quel voto così brutto e indifeso, e tenero, un lembo di pelle butterata della grandezza di un neo, che non posso rifiutare, nemmeno se si trattasse di un esame.
Le dico che sono agli sgoccioli, che non è stato un coito interrotto, che è il penultimo esame, che lo accetto.