Tocca a Roman Polanski chiudere il Fuori Concorso del 70° Festival del Cinema di Cannes con il thriller al femminile D’après une histoire vraie tratto dall’omonimo romanzo di Delphine de Vigan e con protagoniste Eva Green ed Emanuelle Seigner.
Nell’ultima giornata del 70° Festival del Cinema di Cannes, prima di scoprire i vincitori di questa settantesima edizione, a chiudere la Selezione Ufficiale spetta a Roman Polanski con D’après une histoire vraie, film tratto dall’omonimo romanzo di Delphine de Vigan e che vede alla sceneggiatura sia Polanski che Olivier Assayas, già conosciuto a Cannes per le pellicole Personal Shopper e Sils Maria.
Protagoniste di questa pellicola thriller e dalle tinte seducenti la bella e dannata Eva Green e la giovane moglie di Roman Polanski, Emanuelle Seigner, accompagnate dall’unico – poco importante – uomo della storia, Vincent Pérez.
La storia si incentra sulla stessa autrice, Delphine de Vigan (Emanuelle Seigner), che sull’onda del successo del suo ultimo libro, si ritrova sfibrata, stanca e repressa dal suo stesso lavoro. Incapace di metabolizzare fantasmi che, possiamo intuire, sono emersi proprio dalle pagine del suo ultimo lavoro.
Delphine ha bisogno nella sua vita di un tocco di colore, quella fiamma che possa riaccendere in lei la passione e la possa condurre verso nuovi stimoli e motivazioni più interessanti.
Questa fiamma arriva e si chiama Elle (Eva Green), Lei.
Elle è una donna misteriosa, comparsa all’improvviso. Una donna dolce e seducente, dalla quale Delphine si lascia subito travolgere. Un’amica che sa ascoltare, sa comprendere le sue paure e incertezze, e sempre più velocemente Delphine inizia a restare magneticamente attratta dalla presenza di Elle.
Ma Elle sembra avere una duplice personalità. Se in un primo momento appare come una donna sensuale e meravigliosa, dall’altra parte Delphine non comprende l’attaccamento quasi possessivo che la donna inizia a riversa nei suoi confronti. Più passa il tempo e più Elle inizia a vestire, portare i capelli e truccarsi come Delphine. La sensuale linea rossa delle sue labbra sparisce, i suoi capelli perfetti e i suoi intensi occhi rappresentano sempre più una proiezione distorta della mente di Delphine. Elle diventa così un’abile manipolatrice, aggressiva e violenta, pronta a spingere Delphine oltre il baratro.
D’après une histoire vraie si sviluppa interamente attorno alla vita di Delphine e al suo rapporto con Elle. Un rapporto dalle duplici sfumature che parte da quella che sembra essere un’attrazione fisica e intellettuale a tutti gli effetti, poi un rapporto quasi tra sorelle e, infine, un’ossessione folle e claustrofobica che sfiora la tragedia.
Se all’inizio la pellicola appare intrigante, strizzando l’occhio sia ai primi lavori del regista che alla sfacciataggine dei suoi ultimi personaggi, come Vanda – interpretato dalla stessa Seigner – in Venere in Pelliccia, successivamente la storia rimane incastrata delle sue stesse suggestioni, fantasmi, illusioni che vorrebbe portare avanti, che dovrebbe sviluppare, ma che alla fine galleggiano in un’infinita linea piatta priva di attrattiva.
Ci è subito chiaro quando il film inizia a perdere il tocco, quel poco che si può davvero vedere, di Polanski e inizia a diventare una lunga riflessione, senza fine, di Olivier Assayas. Il difetto di Assayas è proprio quello di portare sullo schermo storie a tal punto viscerali, visionarie e costellate di personaggi che si perdono nella proiezione di se stessi, da far incastrare la narrazione nei propri meccanismi, senza riuscire ad arrivare davvero a un punto.
Un enorme spreco di tempo e risorse che rende D’après une histoire vraie quasi un’occasione persa. Un Polanski talmente tanto sbiadito da essere totalmente inglobato dallo stile, sia di scrittura che di regia, di Assayas.
Un inizio interessante, una parte centrale noiosa, un finale affrettato. L’impressione che D’après une histoire vraie da allo spettatore è quella di essere un film non abbastanza ragionato.
Una pellicola ancora al suo stato primordiale, che avrebbe avuto bisogno di ancora qualche mese, e che invece è stata condensata in pochissimo tempo pur di arrivare in tempo per il Festival.
Non a caso, infatti, Roman Polanski è entrato nella Selezione Ufficiale del 70° Festival di Cannes a poche settimane dall’inizio del Festival, quasi 15 giorni dopo la conferenza stampa ufficiale che annunciava tutti i titoli di questa edizione. Il sospetto, in questo caso, si fa ancora più prepotente, arrivando a sfiorare la certezza.
Inoltre, in conferenza e davanti al pubblico, il regista appare piuttosto stanco e non proprio nella sua forma migliore. Del resto, il caro Polanski ha i suoi 83 anni suonati, sebbene negli anni ha sempre dimostrato – tralasciando i trascorsi personali che non interessano assolutamente la materia cinematografica in questione – di essere un autore di immenso spessore, e le ultime pellicole come, il già citato, Venere in Pelliccia e Carnage, ne sono la prova.
Il finale, pur non dando totale soddisfazione e portando a una risoluzione fin troppo sbrigativa e che lascia fin troppi interrogativi in sospeso, nonché alcune incongruenze, alimenta l’ipotesi della teoria del doppio. Doppio che spesso si ritrova nelle pellicole di Assayas, soprattutto nei suoi ultimi lavoro, ma che alla fine non riesce a trovare una sua totale dimensione. Troppo astratto, troppo superficiale. Una sospensione forzato, per quanto interessante sia l’incipit iniziale.
La domande è: chi è reale e chi no? A cosa può portare un’ossessione? Domande che non trovano una risposta, il ché andrebbe anche bene, ma che perdono di tutta la loro intensità nella risoluzione.
Lo sviluppo del film castra di poco, per fortuna, le stupende interpretazioni di Emanuelle Seigner ed Eva Green. La prima, in particolar modo, scivola negli inferi di un personaggio che deve sapere trovare la via d’uscita affrontando i propri demoni e i propri fantasmi.
La seconda, sempre perfetta e misteriosa, con quel carisma pericoloso e letale, ma che ancora una volta resta incastrata in un ruolo che, per quanto calzante perfettamente, non riesce più a trovare una dimensione originale.
In Penny Dreadful, pur rientrando in questa categoria, Eva Green ha saputo andare ben oltre la semplice donna “bella e dannata”, sviscerando un personaggio complicato e colmo di sfumature. Elle si sarebbe potuto prestare allo stesso tipo di lavoro ma, purtroppo, la superficialità della narrazione si riversa anche sulla caratterizzazione dei personaggi.
La Green resta, in ogni caso, un’attrice di immensa bravura ed elegante bellezza, e presto la vedremo in altre due pellicole, e magari in un ruolo che possa finalmente regalarle una meritata nomination agli Oscar.
Come molti dei film in concorso, D’après une histoire vraie risente del “non voler andare oltre”. Pellicole dalla vita breve e poca intensità emozionale, di grandi autori adagiati sugli allori di un festival ad una delle sue edizioni più stanche e spente.
D’après une histoire vraie ha distribuzione in Italia ma non è stato ancora reso noto il rilascio del film.