Nonostante decenni di indagine, rimangono sconosciuti gli autori della prima sigla di Lamù. Un mistero assurdo e l’ombra di una domanda: perché nessuno parla?
Correva l’anno 1981. I bimbi di tutta Italia sono ormai già assuefatti agli anime Made In Japan in modo irreversibile, tanto da formare quella che più tardi sarà ricordata come “la generazione dei figli di Goldrake“.
Ma tra un robottone corazzato ed un altro, si fa strada pure un personaggio (ed una serie) diversi da qualsiasi cosa si fosse visto sino ad allora.
Al posto di alabarde spaziali e affini, ecco arrivare reggiseni tigrati, alieni improbabili, liceali perennemente arrapati e tonnellate di umorismo demenziale. Stiamo parlando ovviamente di “Urusei Yatsura” di Rumiko Takahashi, noto in Italia come “Lamù, la ragazza dello spazio“.
Le ragioni di un successo
L’anime si affermò in pochissimi anni, nel nostro mercato, tra le maggiori icone pop nipponiche degli anni 80, grazie ad una narrazione leggera, ad un adattamento rispettoso ed anche ad una sigla di apertura catchy e rockeggiante che ti entrava nella testa per non uscirne mai più.
https://www.youtube.com/watch?v=Y3yXVNsCazM
Una opening, questa, di cui a 34 anni di distanza dalla prima messa in onda italica del cartone, non si sa ancora assolutamente nulla.
È la nascita di un’epopea tanto divertente quanto paradossale, quella delle indagini sul mistero della sigla di Lamù.
Mistero buffo (e assurdo)
Già dai primi anni di messa in onda si poteva intuire come ci fosse qualcosa di strano riguardo il pezzo, il quale mai era accompagnato, in apertura o chiusura di puntata, dai relativi credits. I fan battezzarono quindi ufficiosamente la canzone “Com’è difficile stare…“, prendendo spunto dal refrain della stessa, e si rassegnarono ad attendere l’ovvia produzione del relativo 45 giri per carpire qualche informazione in più.
In fondo, a loro magari sarebbe bastato anche solo per sapere com’era la chiusura della sigla stessa,la quale nella TV version risultava brutalmente tagliata dopo un minuto e mezzo.
Per quanto ovvio però, non fu commercializzato alcun disco, e tra i fan si iniziò a parlare ufficialmente di “mistero della sigla“.
Si deve aspettare la nascita delle prime web community italiane, quindi la metà degli anni ’90, perché i nerd di tutto lo Stivale iniziassero a coordinarsi in questa assurda caccia al tesoro.
Il primo passo, fu quello di stabilire una dimensione istituzionale cui fare riferimento, vale a dire lo storico “KBL forum” di sigletv.net, parzialmente attivo ancora oggi e frequentato pure da mammasantissima della discografia italiana.
Tutti si interessano al mistero della sigla di Lamù ma ad oggi, dopo vent’anni, di passi in avanti se ne contano pochissimi.
Il problema alla fonte: Telecapri?
Gli “investigatori” si danno effettivamente un gran daffare, riuscendo a ricostruire step by step tutta la filiera relativa all’import, all’adattamento ed alla rivendita di una serie animata.
Ci si rende immediatamente conto di quanto “Lamù” sia un caso del tutto anomalo. Non si capisce bene la data di prima messa in onda, a chi spettasse l’anteprima, né a chi sia da addurre l’effettivo acquisto del primo pacchetto di episodi.
Il consenso comune, però, sembra convergere a questo proposito su un nome solo, quello dell’emittente napoletana Telecapri.
I referenti del network vengono inseguiti per anni e anni da orde di fan appassionati, ma rifiuteranno sempre di rilasciare informazioni riguardo Urusei Yatsura, limitandosi a sostenere di essere
entrati in possesso della serie già completa di traduzione e sigla.
Ulteriori tentativi di approfondimento con il patron della società non portarono a nessun risultato utile.
La Ricmon Sound
Già, ma senza titoli di coda come sapere chi ha curato queste operazioni preliminari? In base ai doppiatori riconoscibili nella prima tranche di puntate, sembra di poter indicare la storica Ricmon Sound quale responsabile del voice-over, ma la società è chiusa da eoni ed i vecchi proprietari, vale a dire la famiglia Cadueri, rifiutano a più riprese di fornire indicazioni agli improvvisati detective.
Di fronte a tutte queste inaspettate difficoltà, non si può che iniziare a sparare nel mucchio, un po’ alla cieca…
Omertà. Per una sigla.
La faccenda ha assunto ormai toni grotteschi e surreali, si parla della canzoncina di un cartone animato ed attorno c’è un muro di silenzio che nemmeno Ustica.
Non sapendo come portare avanti un’indagine di fatto già compromessa, gli appassionati iniziano a smuovere mari e monti, nel disperato tentativo di carpire qualcosa.
Vengono sentiti doppiatori, musicisti (inclusi quelli che contano nell’ambito siglistico), personalità televisive, montatori, tecnici, ma niente.
I fan hanno chiesto l’aiuto anche della supercampionessa nonvedente di Sarabanda, Valentina Locchi, la quale ha affermato di non riconoscere la voce misteriosa.
Nessuno sa, nessuno ricorda, nessuno immagina, nessuno ha nulla da dire. Nemmeno quei professionisti all’epoca legati a doppio filo con Ricmon Sound o Telecapri. Ma è davvero possibile?
L’ultimo spiraglio
Solo un artista tra i tanti ha dato l’impressione di voler rompere il muro di gomma. Si tratta del cantautore siciliano Vincenzo Spampinato, che nel 2011 lascia intendere in un’intervista a Siciliamediaweb di sapere qualcosa a riguardo, per poi sottrarsi ad ogni successivo contatto da parte degli indagatori
Nascono intanto leggende metropolitane di dubbio gusto riguardo il mistero della sigla, tutte raccolte sul forum di sigletv.net.
Per alcuni la voce misteriosa è quella di Alex Baroni, per altri quella di Costantino Federico, patron di Telecapri. O ancora, si tratta di un mix di due voci femminili fuse in un’unica traccia (eh?). Oppure è Peppino Di Capri? Douglas Meakin? I Cavalieri del Re? Addirittura un boss della mala campana o capitolina?
Neanche la SIAE…
Teorie in libertà. Nei primi anni duemila viene aperto l’accesso digitale all’archivio SIAE. Si constata subito, senza troppa sorpresa, come della sigla misteriosa non ci sia alcuna traccia.
Un pezzo non depositato dunque, andato in onda su scala nazionale per trent’anni senza mai indicare i titoli di coda, e di cui nessuno ricorda nulla…
Perché gli autori hanno lasciato che accadesse, rinunciando a decenni di popolarità, soldi e carriera?
Indagini e vicoli ciechi
Gli anni passano, gli appassionati invecchiano, la soluzione sembra sempre più lontana.
I forum diventano obsoleti, così la parte dei fan più attivamente coinvolta nelle indagini cambia registro.
Viene fondata così la pagina Facebook “Il Mistero della Sigla di Lamù“, che oggi conta qualche migliaio di iscritti. La piattaforma però sembra più che altro voler essere una sorta di archivio generale delle indagini, piuttosto che portare avanti il filo del discorso investigativo.
Cionondiméno però, la pagina è stata negli anni ripetutamente destinataria di strani messaggi anonimi. Missive impossibili da classificare come tentativi di “trolling” a priori, e che spesso invitano ad abbandonare l’investigazioni in modo abbastanza inquietante
Nei giorni scorsi la piattaforma social ha celebrato il secondo “#Escilasigla Day”, evento pensato nell’ottica di creare awareness attorno alla questione e coinvolgere enti e gruppi più importanti nelle indagini.
Ancora una volta, senza risultato.
Perché?
Il 2017 segnerà il quindicesimo anno di ricerca “attiva” e tracciabile online. A questi, si deve aggiungere almeno un altro decennio di inchieste “analogiche”. Un periodo di tempo del tutto esagerato visto il tema dell’indagine stessa, non è vero?
E allora la domanda vera forse non è chi abbia cantato la sigla di Lamù. E neanche chi l’abbia composta. La questione è altra in realtà: perché c’è tanta omertà anche se si parla di canzoncine di sei lustri or sono?
Evidentemente nella nostra Italia, per antonomasia paese delle mezze verità, tutto questo non deve sorprendere.