Se i primi due articoli della serie vi hanno fatto sentite già più giovani, siete pronti per la fase tosta. Continuiamo il nostro viaggio alla ricerca dell’eternità spingendoci ancora oltre.
Nella seconda parte abbiamo visto come la ricerca stia facendo passi da gigante grazie soprattutto alla genetica. Ci sono però esperimenti ancora più originali, dotati di un fascino decisamente particolare, anche se inquietanti. Ma attenzione: non è roba per cuori deboli.
Sangue fresco
No, non mi riferisco a strane pratiche di vampirismo né a sbornie di Tru Blood, ma a quello che rock star di lungo corso sapevano già da tempo: quando sei marcio fino al midollo vai in clinica e fatti sostituire tutto quanto il sangue. Bastava chiedere ai Rolling Stones o ad Ozzy Osbourne.
Come moderni Frankenstein prendiamo le nostre due solite cavie di laboratorio, suturiamo i fianchi di entrambe attaccandole l’una all’altra e uniamole sottopelle attraverso una rete di vasi sanguigni in modo che il sangue circoli in tutti e due le cavie in modo continuativo. In loop.
Quello che abbiamo fatto si chiama parabiosi, tecnica chirurgica nata a metà del XIX° secolo che unisce il sistema vascolare di due animali viventi imitando le situazioni naturali di condivisione del sangue, come ad esempio accade nei gemelli siamesi. Questa pratica, in uso fino agli anni ’70, era caduta nel dimenticatoio fino a qualche anno fa quando qualcuno di notte ha pensato:
E se cucissi insieme un topo giovane, aitante e forte con uno vecchio, scemo e malandato? Chi avrebbe la meglio?
Con grande sorpresa per i ricercatori cuore, cervello, muscoli e praticamente tutti i tessuti esaminati del topo vecchio sembravano aver ricevuto nuova vita: il sangue fresco del topo più giovane aveva avuto un effetto ringiovanente rendendo il topo vecchio più forte, intelligente e soprattutto molto più sano. Anche il pelo era diventato incredibilmente più lucido.
Così dopo 35 anni sono ricominciati gli esperimenti in diversi laboratori per cercare la causa di questo straordinario effetto ringiovanente. I ricercatori hanno isolato una proteina nel plasma chiamata growth differentiation factor 11 (GDF11) che sembra essere collegata agli effetti ringiovanenti osservati in laboratorio ed hanno iniziato ad iniettarla direttamente nei topi anziani, ottenendo gli stessi benefici effetti della parabiosi come illustrato nella seguente immagine:
Alcuni ricercatori sono cauti, sostenendo che non si ottiene un vero e proprio ringiovanimento cellulare quanto piuttosto una riparazione dei danni cellulari. Ci sono invece altri ricercatori, come Tony Wyss-Coray della Stanford University, che ci credono a tal punto da aver fondato una startup in Silicon Valley (Alkahest) con la quale sta portando avanti un trial clinico a doppio cieco su 18 pazienti over 50 affetti da Alzheimer, ai quali viene trasfuso sangue di persone giovani.
Si attendono risultati per fine 2015, per ingannare il tempo potete leggere qui la (lunga) storia. Che si tratti di ringiovanimento o di sola riparazione dei danni cellulari, nei prossimi 5-10 anni potrebbero annunciare l’esistenza di una vera e propria fontana della giovinezza.
Trapianto di testa
Il cervello è noto per essere autoimmune. Il che vuol dire che il corpo non rigetterebbe un cervello nel modo in cui a volte respinge altri organi, come fegato o reni, ma è piuttosto difficile trapiantare una testa considerando la difficoltà di collegarla al sistema nervoso, in modo tale che il paziente non diventi tetraplegico. Non è certo facile staccare una testa e riattaccarla come se niente fosse, ma nel 1970 il Dr. Robert White trapiantò una testa di scimmia su un’altra scimmia.
Dopo l’intervento chirurgico, poiché i nervi cranici all’interno del cervello erano ancora intatti e ricevevano nutrimento dal sistema circolatorio del nuovo corpo, la scimmia poteva ancora sentire, odorare, gustare, mangiare e seguire gli oggetti con gli occhi. A causa però dell’impossibilità di collegare la spina dorsale, l’animale fu di fatto paralizzato dal collo in giù. Purtroppo, per varie complicazioni, la scimmia morì dopo soli 9 giorni.
Alcuni articoli riportano di un nuovo tentativo di trapianto da parte di White nel 2001, ma le informazioni a riguardo sono piuttosto confuse e si mescolano a quelle dell’intervento originale.
Nel 2002 in Giappone venne eseguito con successo un trapianto di testa di topo, stavolta però lasciando attaccata la testa originale (praticamente ottennero un topo a due teste). Una scoperta utile di questo esperimento fu l’uso delle basse temperature: il team giapponese operò con successo ad una temperatura controllata di 19 °C. Quando invece ripeterono l’esperimento a 29 °C, temperatura comunque inferiore a quella corporea, il cervello ne risultò gravemente danneggiato.
Per il problema della spina dorsale, il grosso scoglio degli esperimenti di White, alcuni ricercatori tedeschi riuscirono nel 2012 a riparare quella danneggiata di un topo, grazie all’uso di hydrogel, biopolimeri e glicole polietilenico 600 (PEG), portando la ricerca ad uno step successivo.
Nel 2015 il neurochirurgo italiano Sergio Canavero ha dichiarato che una nuova procedura, con tecnologia migliorata, potrebbe essere fattibile prima della fine del 2017. Con molta probabilità avverrà alla Harbin Medical University, in Cina, dove il chirurgo Xiao-Ping Ren dal 2013 ad oggi ha già effettuato un migliaio di questi interventi sui piccoli roditori. Ho scritto bene, un migliaio.
Gran parte della comunità scientifica ritiene la questione una follia alla Frankenstein e gli specialisti hanno espresso molti dubbi sulla possibilità che questa procedura veda mai la luce. Ma lo scorso luglio Xiao-Ping Ren ha pubblicato un articolo su CNS Neuroscience and Therapeutics in cui descrive la tecnica da lui già utilizzata sugli oltre mille topi, definendola
abbastanza promettente, tanto da avvicinare la possibilità di effettuare l’intervento sull’uomo
Canavero progetta da più di vent’anni HEAVEN, il nome coniato per il suo esperimento (HEad Anastomosis VENture, o anastomosi cerebrosomatica). Il sistema prevede il raffreddamento dei due corpi per prolungarne la resistenza in assenza di ossigeno, poi una volta tagliato il tessuto del collo e collegati i vasi sanguigni si passerà al midollo spinale. L’utilizzo di glicole polietilenico, come abbiamo visto già sperimentato con successo nel 2012, renderebbe possibile la fusione dei due midolli. Infine i muscoli e i vasi sanguigni verrebbero suturati ed il paziente indotto in coma per 3-4 settimane, nelle quali la spina dorsale verrebbe stimolata elettricamente.
Canavero è sicuro di farcela, ma per ora non è riuscito nella più difficile impresa di ricevere
pieno sostegno dalla comunità scientifica e dai media, come avvenne invece per il primo trapianto di cuore nel 1967 eseguito a Cape Town (Sudafrica) dal Dr. Christiaan Barnard.
Valery Spiridonov, un trentenne programmatore informatico sulla sedia a rotelle da quando aveva un anno, ha contattato via Skype il nostro Canavero offrendosi come cavia per il trapianto, di fatto permettendogli di poter eseguire il suo intervento e di fissarne un’ipotetica data nel 2017.
Possibile o meno, in caso di successo sarebbe un traguardo medico non indifferente anche se dalle mille implicazioni etiche. Non ci resta che aspettare un paio di anni e vedere se la tecnica ipotizzata da Canavero sia veramente in grado di funzionare o se avevano ragione i critici.
Animazione sospesa
Come i fan di Grey’s Anatomy, E.R. o altri medical drama sanno bene, i medici di pronto soccorso affrontano una vera e propria corsa contro il tempo. E finzione televisiva a parte, quando il cuore arriva a fermarsi sotto i ferri meno di 1 paziente su 10 sopravvive.
L’animazione sospesa è il rallentamento o l’arresto temporaneo dei processi vitali. Piccoli organismi (ad esempio gli embrioni fino a otto cellule) possono essere conservati criogenicamente e tornare in vita. Alcuni sono rimasti in animazione sospesa per ben 13 anni.
Dal 1970 l’ipotermia indotta è stata usata per alcuni interventi chirurgici a cuore aperto come alternativa alle macchine cuore-polmone. Tuttavia non molti ospedali hanno implementato l’ipotermia come parte del loro protocollo di terapia intensiva. Questa tecnica fornisce solo una quantità limitata di tempo in cui operare e c’è un rischio molto alto di danni ai tessuti e al cervello se si supera tale limite. A temperature corporee normali, infatti, la morte cerebrale avviene in 4-5 minuti perché con bassi livelli di ossigeno le cellule producono tossine che le uccidono. Raffreddando però il corpo a 15 °C le cellule vengono messe in uno stato di animazione sospesa che ne evita la morte, lasciando ai medici una finestra temporale che va dai 45 ai 60 minuti.
Sugli animali, però, si è arrivati anche all’estremo con ben 190 minuti di sospensione a 10 °C. Nel giugno del 2005, infatti, fece molto scalpore l’esperimento degli scienziati dell’Università di Pittsburgh, ribattezzato dalla stampa Zombie Dogs, in cui dei cani in animazione sospesa vennero riportati in vita senza danni dopo 3 ore in cui erano stati clinicamente morti.
Uno studio coordinato dal Dr. Samuel Aaron Tisherman ha un nome lungo ma ben esplicativo, ossia Emergency Preservation and Resuscitation for Cardiac Arrest and Trauma (EPR-CAT).
Il funzionamento della procedura è il seguente: si posiziona un tubo direttamente nell’aorta, poi una soluzione salina fredda viene pompata attraverso il cuore e subito verso il cervello, essendo l’organo più vulnerabile e che può sopravvivere solo pochi minuti senza ossigeno. La soluzione viene quindi pompata nel resto del corpo, svuotando così il sangue rimanente. Il paziente quindi si ritroverà senza più sangue e senza alcuna attività cerebrale. Una volta effettuato l’intervento la soluzione salina viene sostituita nuovamente con il sangue e, se il cuore del paziente non dovesse ripartire, si passerebbe all’uso della macchina cuore-polmone.
C’è però un’altra strada che si sta percorrendo per indurre l’animazione sospesa: Mark Roth, biochimico del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, Washington, scoprì negli anni 2000 un modo per rallentare i processi metabolici abbassando la quantità di ossigeno nel paziente. Per questa importante scoperta vinse il premio MacArthur “Genius Grant” nel 2007.
Scoprì quelli che chiamò Elemental Reducing Agents (ERA), dei composti normalmente presenti nel corpo in piccole concentrazioni, ma che in quantità maggiore rallentano la combustione di ossigeno delle cellule. Roth dimostrò che esponendo delle cavie di laboratorio ad 80 parti per milione di acido solfitrico miscelato a temperatura ambiente, poteva indurli in uno stato di animazione sospesa reversibile senza evidenti segni di danno una volta rianimati.
Naturalmente queste ricerche interessano molto la Difesa americana, che contribuisce con ingenti finanziamenti sperando di poter un giorno salvare migliaia di soldati feriti gravemente.
Si spera sempre di non finire su un tavolo operatorio sospesi tra la vita e la morte, perché se 9 su 10 ci lasciano di solito le penne non è un bell’affare. Ben vengano quindi ricerche come queste.
Crionica
Certo, l’animazione sospesa salverà un sacco di vite che si sarebbero sicuramente interrotte prematuramente, ma non ci farà vivere più a lungo in condizioni normali. Ecco perché, prendendo in prestito dalla fantascienza qua e là, i ricercatori stanno lavorando sulla crionica.
Attenzione a non confonderla con la criogenia, branca della fisica che si occupa dell’utilizzo di temperature molto basse. La crionica è dedicata esclusivamente ad esseri umani ed animali.
La crionica è fondamentalmente diversa dall’animazione sospesa, già testata in diversi interventi, perché essendo ancora in via di sviluppo si porta dietro una buona dose di critiche e scetticismo. Ma qual’è il suo obiettivo? Conservare a bassissime temperature (normalmente a −196 °C ovvero il punto di ebollizione dell’azoto liquido) un corpo umano od animale per un tempo indeterminato, in attesa che i progressi tecnologici siano talmente avanzati da ripristinarlo e curarlo una volta riportato a temperatura corporea. Questo processo è detto criopreservazione.
Dato che l’abbassamento di temperatura usato ad esempio nell’animazione sospesa non può andare sotto certi livelli, per i danni irreparabili che verrebbero provocati dalla formazione di cristalli di ghiaccio nei fluidi corporei, nella crionica si utilizzano dei crioprotettori, ossia speciali proteine che fungono da “antigelo”. Non a caso alcuni dei glicoli usati come crioprotettori, come ad esempio il glicole etilenico, sono proprio usati nei liquidi antigelo per le automobili mentre il glicole propilenico viene usato per ridurre la formazione di ghiaccio nel gelato.
Grazie a questi crioprotettori si è potuta sviluppare la tecnica della vitrificazione nella quale i fluidi aumentano la loro viscosità mentre vengono rapidamente portati a temperature estreme senza congelare, mantenendosi in uno stato amorfo detto “solido liquido”. La tecnica della vitrificazione abbassa la temperatura al ritmo incredibile di 15.000 °C – 30.000 °C al minuto!
Normalmente solo piccoli organismi possono essere vitrificati e ripristinati con successo, come ad esempio il nostro solito vermettino Caenorhabditis elegans in cui nel 100% dei casi sono rimaste inalterate le funzioni della memoria una volta tornato a temperatura normale. Ma già nel 2009 particolari miscele di crioprotettori hanno permesso all’azienda californiana 21st Century Medicine di vetrificare il rene di un coniglio a -135 °C, trapiantandolo poi con successo in un altro coniglio con il pieno ripristino delle funzionalità biologiche vitali, senza problemi sul lungo periodo.
Come risaputo però, se conserviamo un prodotto nel freezer di casa per troppo tempo, questo perderà molte delle sue caratteristiche fisiche ed organolettiche. La crioconservazione di materiali biologici non si sottrae a questa regola ed è proprio per questo motivo che dopo un certo periodo di conservazione, normalmente 5 anni, il materiale risulta così tanto diverso chimicamente dall’originale da non poter più essere utilizzato per gli scopi prefissati.
Cellule, embrioni e gameti che attualmente vengono già conservati con questa tecnica, essendo l’unica possibile, non vengono usati una volta passati 5 anni dalla criopreservazione.
Ma c’è una parte della comunità scientifica che sostiene la fattibilità della criopreservazione dell’essere umano per un tempo indefinito. Una lettera aperta di sostegno alla crionica è stata firmata da ben 63 scienziati, tra cui il nostro amico barbuto Aubrey de Grey. I sostenitori della crionica dicono che sia già possibile con le attuali tecnologie preservare le strutture cellulari del cervello, in cui risiedono la memoria e l’identità, e che non è per forza necessario riuscire nel procedimento inverso adesso. Con le tecniche di Neuropreservazione si può conservare il corpo e la mente fino a quando non sarà possibile in futuro il ripristino dalla criopreservazione.
E se in caso di sfiga o in vecchiaia volessimo ibernarci, in attesa di essere in futuro risvegliati e curati?
Buone notizie. Non siete soli. Alla Alcor in Arizona sono già conservate ben 129 persone criogenizzate e 45 animali domestici, ed altre 126 persone al Cryonic Institute vicino Detroit.
Per la vostra gioia, ho messo a confronto i costi di tutte le società che si occupano di criogenia:
Per soli 28.000$ potete crioconservarvi al Cryonic Institute, impresa più piccola e meno costosa, oppure con 200.000$ potete farvi conservare dal colosso Alcor. Hanno accordi con “becchini” in tutto il mondo in grado di spedirvi oltreoceano sotto ghiaccio, come foste del pesce fresco.
Io preferirei farmi criogenizzare subito, senza il passaggio del ghiaccio che potrebbe rovinare i miei pochi neuroni rimasti. Quindi un attimo prima di tirare le cuoia… tutti negli States!
Come abbiamo visto, quindi, potete ingannare la morte in attesa che un giorno ci sia la tecnologia in grado di ripristinarvi e farvi tornare in vita. Magari a Wayward Pines.