Da quando nel 3000 a.C. gli antichi egizi trapanavano i crani dei pazienti per curare i mal di testa, molte scoperte geniali hanno rivoluzionato la scienza medica. Il tubo radiogeno è una di queste. Oggi andremo ad esaminare il suo funzionamento e la sua storia.
La storia
Una notte di novembre del 1895 Wilhelm Conrad Röntgen, professore di fisica dell’università di Wurzburg, stava smanettando eseguendo delle ricerche con il suo nuovo tubo di Hittorf.
Nello specifico, stava osservando la luminescenza che i raggi catodici generano su un pezzo di cartone che egli aveva spalmato di platinocianuro di bario.
Il tubo di Hittorf consiste in un’ampolla di vetro contenente un anodo ed un catodo, in quest’ampolla viene prodotto un vuoto parziale e applicata un’alta tensione tra i due elettrodi.
Così facendo il catodo genera elettroni (raggi catodici) che si muovono verso l’anodo ionizzando il gas e producendo un fascio luminescente.
Accidentalmente interpose la sua mano tra il tubo di Hittorf ed il cartone e vide apparire proiettata quella che in un primo momento egli pensò essere “la mano della morte”. Röntgen ancora non sapeva di aver eseguito la prima radiografia della storia.
Il professore, impaurito da quello che aveva visto, scappò di casa e non vi tornò più per due settimane, fino a quando il 22 novembre 1895, da bravo pazzo scellerato scienziato, rientrò in casa e provò a riprodurre le condizioni dello strano evento e a cercare una spiegazione.
La sera stessa, dopo ore e ore d’esperimenti produsse il “baciamano di Röntgen”, ovvero un radiogramma della mano della moglie. In pochi giorni eravamo passati dalla “mano della morte” alla mano della moglie… magari qualcuno vuole leggerci una correlazione.
Il professore presentò la sua scoperta all’università di Wurzburg comunicando di aver scoperto un nuovo tipo di raggi. Date le molte incognite riguardanti la sua scoperta decise di chiamarli raggi X, ispirandosi all’incognita matematica.
Egli intuì subito il potenziale che il nuovo tipo di radiazione poteva avere in ambito medico, tant’è che alla presentazione richiese anche la presenza di Kolliker, famoso professore d’anatomia di quel periodo.
Tuttavia, il pubblico stentò a capire l’importanza scientifica dei raggi X, e li considerò come un progresso nel mondo della fotografia.
Gli effetti dannosi dei raggi X ancora non erano noti, e fu così che farsi un #selfie del proprio cranio divenne la nuova moda dei primi anni del ‘900.Röntgen vinse il premio Nobel per la fisica nel 1901; ma, come per la maggior parte delle invenzioni, fu necessaria una guerra perché si iniziasse ad usufruire in larga scala dei raggi X in campo medico.
Nel 1914 scoppiò il primo conflitto mondiale, fino ad allora i medici erano soliti ricercare le pallottole nei corpi dei pazienti inserendo una lunga asticella metallica nel foro d’entrata per poi proseguire in profondità alla ricerca di rumori metallici.
Potete immaginare che tutto questo portava il paziente a bestemmiare in aramaico antico causava non pochi discomfort al paziente.
L’utilizzo dei raggi X divenne quasi d’obbligo negli ospedali militari e furono attrezzate anche alcune ambulanze radiologiche.
Il tubo radiogeno moderno
Dal 1895 il tubo radiogeno ha subito una notevole evoluzione, ma il principio di funzionamento è sempre lo stesso: un diodo a vuoto al quale viene applicata un’alta tensione.
Sulla superficie del catodo abbiamo uno o due filamenti di tungsteno, i quali vengono alimentati a bassa tensione (circa 10 V) ma alto amperaggio (da 3 a 7 A), per effetto termoionico si produce una nuvola di elettroni intorno al filamento.
La nuvola elettronica tenderà a muoversi dal catodo all’anodo (tra i quali c’è una differenza di potenziale che può variare dai 40kV ai 130kV), acquistando energia cinetica.
L’impatto degli elettroni sull’anodo viene disperso al 99% in energia termica; solo l’1%, per effetto Bremsstrahlung (frenamento) va a produrre raggi X.
Il grande calore generato provoca non pochi problemi di surriscaldamento che possono portare l’anodo alla rottura. Ricordiamoci che tutto il sistema è posto in un’ampolla in cui è stato creato il vuoto, che è un pessimo conduttore di calore.
Per risolvere questo problema gli ingegneri hanno sviluppato un anodo rotante in grado di disperdere il calore su un’area più ampia senza interrompere l’erogazione di raggi X.
Ormai la quasi totalità dei tubi radiogeni in circolazione per radiografia, radioscopia e TAC utilizzano un anodo rotante.
Tutto il tubo radiogeno è poi immerso in dell’olio che viene raffreddato da uno scambiatore di calore.
Ora, se pensate che un’efficienza dell’1% sia poca, vi sbagliate! Infatti il tubo radiogeno è circondato da cuffia schermante e solo la radiazione che si produce nella direzione del paziente viene effettivamente utilizzata.
Questa radiazione viene poi filtrata con filtri di alluminio o rame per rimuovere la parte “molle” della radiazione, ovvero raggi X a bassa energia che porterebbero solo un aumento di dose al paziente senza dare alcun valore diagnostico.
Il sistema in sé è molto delicato: bastano piccole variazioni di corrente o di tensione per disturbare il processo e non garantire un imaging di qualità. Vengono quindi utilizzati generatori ad alta frequenza (fra 80 e 120 kHz) e con ondulazione residua praticamente inesistente (inferiore all’1%). Vi sono poi circuiti di stabilizzazione dell’amperaggio e di compensazione per le cadute di tensione.
Il tecnico di radiologia deve andare ad interagire su vari parametri per produrre una radiografia. Ormai molti sistemi sono gestiti parzialmente o interamente dal computer, ed il tecnico vi interagisce solo in determinate situazioni.
Tuttavia, se mai vi capiterà di trovarvi dietro la consolle di una diagnostica radiologica potrete riconoscere i 3 parametri principali per la gestione del tubo radiogeno:
- La corrente (in A), che fa riferimento all’intensità di corrente che scorre nel filamento catodico. Maggiore sarà la corrente, maggiore sarà la quantità di elettroni prodotta, e di conseguenza anche di raggi X.
- Il tempo (in Sec), ovvero il tempo di erogazione dei raggi X.
- La tensione (in V), con la quale potrò modificare la differenza di potenziale tra catodo e anodo. Variando così l’energia cinetica dei raggi X e di conseguenza la loro penetrazione.
Se ad esempio avrò un paziente cicciopanza di grandi dimensioni aumenterò i kV, o al contrario se devo studiare un distretto anatomico di piccole dimensioni come un dito o la spina nasale diminuirò il voltaggio.
Conclusione
Un tubo radiogeno non è altro che il fratello grosso più grosso [cit. Sio] del televisore a tubo catodico di vostra nonna.
Quando andate a fare una radiografia i raggi X non sono generati da uranio impoverito che gira nei tubi sul soffitto (come molti credono), e come mi è successo qualche giorno fa non chiedete al tecnico “scusi, potrebbe aprire le finestre così con il giro d’aria i raggi X escono?!”
Spero di non avervi tediato troppo, ecco a voi una patata radioattiva.