Quando vuoi realizzare il secondo capitolo di un horror che nel suo piccolo si è fatto apprezzare, che cosa fai? La ricetta, basata sul glorioso passato anni ’70-’80, te la dava il buon Wes Craven nel suo Scream 2, che come sequel lasciava a desiderare ma aveva le sue ragioni. “Più morti, più sangue, più orrore…” scandiva il buon movie-nerd Randy (prima di essere fatto a pezzi da Ghostface, va detto).
Ebbene, se ti appresti a metter mano ad un tuo stesso film che è stato ben recepito da pubblico e critica, ha fatto il botto al botteghino e per alcuni è un piccolo classico moderno, queste cose devi prenderle in considerazione. Wolf Creek 2 è il ritorno sul luogo del delitto – mai modo di dire potrebbe essere più azzeccato – del regista australiano Greg McLean, uno che ha discrete qualità di cineasta e che anche come sceneggiatore sa dare quel “qualcosa” che rende i suoi film diversi da una pletora di horror “rurali” tutti uguali.
Perché ti sto parlando di Wolf Creek 2? Semplice, perché sta finalmente per arrivare nei cinema italiani (il 10 giugno 2015) e, francamente, vale la pena di essere preso in considerazione.
Ma andiamo con ordine: tutto inizia nel lontano 2005, quando eravamo tutti più giovani, innocenti e svagati. In quel lontano 2005, uno sconosciuto regista dell’Oceania raccattava un buon budget in madrepatria per realizzare quello che gli sarebbe piaciuto descrivere come “il miglior horror australiano di sempre”.
Riuscire nell’intento non era impossibile, sebbene una pietra miliare del genere horror (sui generis, ma neanche poi tanto) è quella gemma di Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir, datato 1975, che guarda caso arriva proprio dall’Australia.
Il 2005, tra l’altro, è stato un anno molto prolifico sotto il profilo dell’orrore sul grande schermo: eravamo reduci dall’exploit del torture-porn di Saw – L’Enigmista che proprio quell’anno avrebbe visto il primo sequel.
Lo stesso torture-porn sarebbe stato subito portato ai limiti estremi da quel pazzo di Eli Roth e dal suo Hostel. Il 2005 è stato anche l’anno del sopraffino La Casa del Diavolo, sequel in odor di capolavoro di La Casa dei Mille Corpi del diabbbolico Rob Zombie. Altri notabili esempi di horror di quell’anno sono il bellissimo The Descent e il The Ring 2 americano.
Il quadretto è dunque fatto. Quale mostro brutto e cattivo ci metterà davanti il giovane rampante McLean? Un uomo nero che ti mangia dalle ombre? Un gruppo di deformi psicopatici? Un’orripilante famiglia cannibalica o sadici torturatori prezzolati? Niente di tutto questo: un cacciatore di maiali ultra-nazionalista, misogino e completamente fuori di melone, con una risata nevrotica e insopportabile. Ammappate! Cioé, scusa, ti sto forse parlando di uno di quei caciaronissimi slasher di serie B con dei trogloditi in salopette? No, per niente.
Anche se a raccontare la trama in due righe potrebbe sembrare, il primo Wolf Creek frulla in maniera abbastanza sagace gli stilemi horror classici e recenti per arrivare a sequenze di violenza realmente disturbanti e cattive.
L’unico appunto che gli si può fare è quello di prenderla molto larga e far ingranare la storia per davvero solo nell’ultima mezz’ora, però c’è da dire che a differenza di altri illustri colleghi, il Greg regista e sceneggiatore tiene a bada la noia e ci introduce il personaggio del folle Mick Taylor, questo il nome del suo iconico cattivone rozzo e col cappellaccio da Crocodile Dundee, nel miglior modo possibile.
Wolf Creek gioca in gran parte su una delle caratteristiche più apprezzate, suggestive e temibili dell’Australia: il suo Outback.
Ovvero, le zone interne, desertiche, impervie e temibili per chiunque ci si addentri senza preparazione, viveri, attrezzatura idonea e coltello tra i denti. Non per niente, l’Outback viene spesso chiamato “il cuore rosso” perché la terra inospitale e impossibile da coltivare deve il suo colore al ferro che contiene.
Esatto, lo stesso Outback che fa da scenario ai vecchi e nuovi Mad Max e che tanto ci fa esaltare per il suo fascino post-atomico. Un po’ come i deserti americani, solcati soltanto da una lunga e solitaria strada e con un orizzonte in cui l’occhio si perde, ma se possibile ancora più solitario e micidiale.
Il primo film, dunque, metteva in scena tre ragazzi – un maschietto e due femminucce inglesi – con la voglia di attraversare il continente e fare qualche sosta di natura turistica. Sarà letale proprio la fermata nei pressi del cratere di Wolf Creek dove cadde un meteorite, tra l’altro realmente esistente, dove l’auto deciderà di abbandonarli.
Qui McLean mete in atto un gioco di ambiguità che non viene approfondito e che dona un fascino sinistro al suo film: sono davvero forze di natura sconosciuta che mettono fuori uso i mezzi di trasporto (e non solo) e che rendono necessario il tempestivo intervento del nostro assassino Mick Taylor? Tranquilli, non sono spoiler, perché la trama si riassume in tre parole e Wolf Creek gioca soprattutto con l’atmosfera, prima, e l’insostenibilità della violenza, dopo. Senza rinunciare a qualche corsetta in auto e a piedi.
Dunque, alla sua uscita Wolf Creek raccatta consensi e si trasforma in un successone commerciale, considerato che dopo l’uscita in patria fa il giro del mondo e dal milione di dollari di budget se ne ricavano circa trenta solo dalle visioni nelle sale.
Le recensioni, specialmente quelle della critica, non sono però tutte benevole, anzi: grosse frecciate arrivano dal guru Roger Ebert, e sostanzialmente c’è chi vede del talento registico, sì, ma asservito ad una storia senza vero mordente, che si trasforma in qualcosa di troppo exploitation per essere preso sul serio.
Non del tutto vero, naturalmente: Wolf Creek è un film di genere, un horror non solo fisico, ma anche psicologico, onestissimo e che sa andare dritto al punto senza perdersi in inutili spettacolarizzazioni o discorsi “meta”. Ancora oggi si può riguardare senza rimpiangerlo.
E arriviamo, circa otto anni dopo quel 2005, al sequel che sta finalmente per sbarcare nei cinema italiani. Greg McLean ha realizzato nel frattempo solo un altro film, che non ha riscontrato il successo sperato nonostante l’appeal dell figura centrale del coccodrillo gigante e assassino: Rogue.
Era il 2007, un po’ in anticipo sulla Asylum e i suoi monster-movie pacco ma che pochi anni dopo hanno fatto il boom quanto a hype e meme. Quindi Greg fa un passo indietro fin quando non sente l’esigenza di tornare in quell’Outback che gli ha dato notorietà, per raccontare di nuovo le gesta del redneck australiano xenofobo Mick Taylor, ancora una volta portato sullo schermo con gigantesco carisma dall’attore John Jarratt.
Wolf Creek 2 è a tutti gli effetti un secondo capitolo, non un sequel diretto in senso stretto o un remake inessenziale: è proprio, come direbbero gli americani, “just another day” nella vita dello psicopatico dal coltello facile. Non c’è bisogno di aver visto il primo, non serve aver memoria di dettagli o avvenimenti della pellicola precedente. Il buon Mick Taylor sta semplicemente ancora scorrazzando nelle lande desolate in cerca di qualche occasionale facile preda, con il suo odio cieco verso gli stranieri, i turisti in particolare, visti come “volgari invasori”. Ancor peggio se questi sono cittadini dell’odiata ex-madrepatria Inghilerra. Ma, insomma, anche su una coppietta di autostoppisti tedeschi non ci sputa su…
L’incipit del film, che gioca tutto sulla potenza folle del suo protagonista-maniaco, è folgorante e setta il mood dell’intera opera: sopra le righe, serio ma scanzonato, ultra-pop. Taylor viene preso per un rozzo contadino da prendere in giro e i malcapitati che lo sottovalutano ne fanno le spese. Segue poi un vorticoso giro di eventi che spostano l’attenzione del mostro da una vittima all’altra.
McLean sa giocare con i generi e infarcisce Wolf Creek 2 di adrenalina, citazioni a horror e thriller del passato, persino strizzatine d’occhio al primo Spielberg, a John Ford e Sergio Leone con i loro western. Insomma, il pregio migliore di questo film è non soltanto quello di non replicare la formuletta del predecessore, ma di superarlo a destra impennando con un tir lanciato a velocità smodata, facendogli il dito medio e gridandogli: “Benvenuto in Australia, succhiacazzi” (ogni citazione di scene realmente esistenti è puramente casuale!).
Wolf Creek 2 parte quasi da horror “revisionista”, ha un cuore centrale action anni ’80 e infine rivela tutta la sua carica inquietante con una parte finale da applausi. John Jarratt si mangia la scena nei panni dello stralunato e letale bifolco, ma raramente ho visto un povero malcapitato tanto convincente come quello di Ryan Corr, attore giovane ma di talento, a differenza dei tre del capostipite…
Un horror grottesco e divertente
Confesso che all’inizio ero piuttosto scettico riguardo all’operazione Wolf Creek 2, ma dopo averlo visto in anteprima su grande schermo mi sono ricreduto. Non si grida al miracolo, ma ci si diverte da matti – non vi rivelo una scena assolutamente da culto che ha a che fare con dei poveri canguri – e alla fine ci si inquieta non poco con una mezz’ora finale ad altissima tensione e ricca di trovate gustosissime.
Insomma, ancora una volta Greg McLean è riuscito a farci passare la voglia di avventurarci da soli nell’outback autraliano. Tutto questo, giocandosi la carta del film completamente incentrato sulla sua “creatura” deviata, senza sputtanarla.
E non è poco. Mick Taylor partiva già da una base over-the-top quanto a espressività, quindi le sue frasi e le sue boccacce non sorprendono: rimane un fottuto bastardo come potrebbero esisterne molti nelle realtà, per cui ti spaventa in modo genuino, e non si trasforma nel corso del film in una macchietta, com’è accaduto ad altre icone dell’horror recente.
Quindi può fare ancora molta strada… e incrociare ancora molti turisti… siete avvertiti.
- Wolf Creek 2, sito ufficiale (wolfcreek2.multiplayer.it)